in Contropiano Anno 1 n° 1 – 26 maggio 1993
Assassinato Chris Hani, morto Oliver Tambo, contraddizioni sociali e razziali ancora irrisolte. La transizione in Sudafrica appare assai difficile e illusoria. Uccidendo Chris Hani non hanno “sparato nel mucchio” ma hanno colpito un progetto politico rivoluzionario capace di andare oltre l’obiettivo della stabilità su cui puntano De Klerk e i gruppi finanziari sudafricani ed internazionali. “L’ottimismo è fuori luogo,” dice un dirigente dell’ANC. Dal Sudafrica viene un’esperienza importante per i modelli rivoluzionari.
È una primavera micidiale quella che sta vivendo il movimento rivoluzionario e progressista in Sudafrica. L’assassinio di Chris Hani e la morte di Oliver Tambo lo hanno privato di due figure prestigiose e significative. Ma i colpi sparati dal solito “estremista bianco” contro il segretario del Partito Comunista Sudafricano non erano puntati nel mucchio, erano diretti a colpire uno degli artefici di un progetto politico rivoluzionario estremamente importante per il popolo nero e per i popoli del terzo mondo. Chris Hani non era stato solo il responsabile dell’organizzazione militare dell’ANC (Umkhonto We Sizwe) ma con la legalizzazione era diventato il segretario del Partito Comunista Sudafricano andando a sostituire Joe Slovo che ne è diventato presidente. Il PCSA era stato uno dei pochi partiti comunisti a comprendere per tempo i disastri della “nuova mentalità gorbacioviana” per le lotte di liberazione e le relazioni internazionaliste.
La nuova condizione aveva creato le condizioni per una transizione interna al Sudafrica fondata sulle aperture di De Klerk nel quadro di quella politica di concertazione pacifica diventata un modello di soluzione ai conflitti a cavallo tra l’89 e il ’90. In realtà questa “democrazia concertativa” come la definisce Hélène Pastoors, dirigente dell’ANC all’estero, si è via via rivelata come un tragico inganno verso la maggioranza nera ed un obiettivo dell’establishment “bianco” per fare fronte alla recessione economica, agli effetti dell’isolamento diplomatico internazionale, alla crescita del movimento popolare e rivoluzionario in Sudafrica.
Il sistema legale dell’apartheid è stato smantellato, ma il sistema di discriminazione razziale si è trasferito naturalmente sul terreno della discriminazione sociale.
Questo passaggio di fase, seppur formale, ha posto all’ANC nuovi ed enormi problemi di tattica e strategia. In questa nuova realtà, non era un mistero per nessuno che l’organizzazione politica meglio preparata ad affrontare la situazione era il Partito Comunista Sudafricano più che l’African National Congress. Che nel primo congresso “legale” dell’ANC fossero sorti problemi ed impostazioni diverse è noto (vedi “Le Monde Diplomatique” del settembre 1991) ma che l’alleanza tra PCSA e ANC fosse solida ed indiscutibile è stato riconfermato anche dallo stesso Chris Hani (vedi l’intervista che pubblichiamo più avanti).
Il passaggio da un movimento politico di massa contro l’apartheid ad un movimento di trasformazione delle relazioni economiche e sociali del paese ha trasferito gran parte dei problemi sul terreno della lotta politica e per il potere. Questo aveva compreso chiaramente Chris Hani e questo si apprestava a realizzare il PCSA sia con l’ANC che con l’organizzazione sindacale COSATU.
Chi ha deciso di eliminare Chris Hani aveva le idee ben chiare. Nello scenario politico sudafricano, il PCSA aveva acquisito tutte le capacità per svolgere un ruolo di direzione politica sia nella fase di transizione sia in quella della lotta per il potere.
Il PCSA è un partito che ha dimostrato una grande lucidità nella realizzazione del rapporto tra partito-organizzazioni di massa-fronte politico. Nel conflitto sudafricano, il PCSA appare più come organismo di direzione che come soggetto politico mentre sono le organizzazioni di massa (i sindacati) e il fronte politico (l’ANC) a svolgere un ruolo di primo piano nell’iniziativa e nella mobilitazione. Il punto di forza appaiono le organizzazioni di massa capaci di interdire l’economia mentre all’ANC è affidato il compito di una espressione politica ampia e rappresentativa di tutte le istanze democratiche, sociali, civiche della popolazione nera e “bianca” che ad esso si è avvicinata o integrata. Dopo più di trenta anni di illegalità e clandestinità, questa articolazione non sarebbe possibile se oggi come ieri non avesse funzionato una direzione politica solida e capace.
Chris Hani era parte integrante e fondamentale di questa direzione, per queste ragioni le forze controrivoluzionarie hanno deciso di eliminarlo.
Il pericolo di una controrivoluzione, era ben chiaro nell’analisi di Hani e resta l’incognita vera sulla transizione in Sudafrica. “Il sostegno di cui godono i conservatori tra poliziotti e soldati, è materia di analisi da almeno tre anni” sottolinea Francis Seymour “Pensare che tutto possa filare liscio è pura illusione”. L’obiettivo di De Klerk e del settore capitalistico sudafricano più internazionalizzato (il quale da tempo manifestava la sua sofferenza verso il predominio dei militari sulla società e verso l’isolamento internazionale) è quello della stabilità.
Il SACOB, la Confindustria sudafricana, nel suo rapporto annuale per il 1993 mette al primo posto tra gli obiettivi quello della stabilità interna, subito dopo quello del “controllo della violenza”. La ricerca della stabilità, nelle intenzioni del SACOB, equivale alla pace sociale, alla concertazione con i sindacati, alla cooptazione di una élite nera capace di controllare le spinte più radicali o ribellistiche delle masse nere. Sull’altare di questi obiettivi strategici era possibile anche sacrificare il regime dell’apartheid.
Ma la realtà sociale parla chiaro: il 55% dei sudafricani neri è senza lavoro; per dare una casa a tutte le famiglie nere occorrerebbe costruirne 170.000 all’anno per 15 anni; le spese sociali sono pari all’11%, mentre sarebbe necessario portarle al 35% del PIL per affrontare le necessità di un’istruzione, sanità, previdenza e servizi elementari adeguati. Fino al 1980 il 5% della popolazione (bianca) possedeva l’86% delle terre e l’88% della ricchezza.
Questi dati si sono modificati ora con una lentezza divaricante sia rispetto agli incrementi demografici sia rispetto ad una vera “Crescita attraverso la redistribuzione” indicata nel programma dell’ANC del 1990 (ma scomparsa nel maggio del ’92 dai documenti ufficiali).
Le classi dominanti sudafricane e soprattutto quelle comportatesi intorno al progetto di De Klerk sono fortemente preoccupate dalla recessione economica che attanaglia il ricchissimo Sudafrica dalla fine del 1989. Il PIL sudafricano è infatti sceso dello 0,4% nel 1990; dello 0,5% nel 1991 e dell’1,1% nel 1992 (Sole 24 Ore del 24 marzo 1993). Il Fondo Monetario Internazionale ha chiesto al Sudafrica di contenere il deficit pubblico entro il 3%, ma si prevede che nel 1993 sarà superiore al 9% del PIL. Il Ministro delle Finanze ha già annunciato severe misure economiche di austerità.
“Le imprese statali vengono privatizzate ad un ritmo folle, compresa l’ARMSCOR, una fabbrica d’armi a livello mondiale” denuncia Hélène Pastoors. La politica economica del regime non potrà che peggiorare le condizioni di vita della popolazione nera e soprattutto di quella che vive all’interno e ai margini della città. Si calcola che nei ghetti delle townships viva il 60% della popolazione nera del Sudafrica in condizioni di miseria e degrado. La discriminazione su base razziale ha coinciso con una discriminazione su base sociale che i decreti di De Klerk non possono né vogliono abrogare.
La questione della stabilità e del controllo della violenza diventa quindi strategica per le classi dominanti sudafricane. Questo obiettivo deve essere raggiunto con la concertazione oppure con la repressione.
Che De Klerk non nutra eccessive illusioni sul carattere pacifico della transizione è confermato dal richiamo in servizio dei riservisti realizzato nel marzo di quest’anno e dai pesantissimi interventi di militari e polizia contro le manifestazioni dei neri. Se il processo di concertazione non rispetterà le esigenze di stabilità dei gruppi economici dominanti, la controrivoluzione è assai probabile.
Era stato sulla base di questa chiarezza di vedute che Chris Hani si è opposto nel 1990 e poi nel 1992 (dopo il referendum nella comunità bianca vinto da De Klerk) allo scioglimento dell’organizzazione militare dell’ANC. Umkhonto We Sizwe ha sospeso le azioni militari ma non ha cessato la sua esistenza né il suo ruolo, anche se le mutate circostanze lo hanno visto impegnato più come fattore di autodifesa contro le aggressioni della “terza forza” (reparti di poliziotti e militari) e delle bande dell’Inkhata.
Ma proprie le nuove circostanze avevano visto crescere il ruolo del Partito Comunista Sudafricano come la forza politica più capace di dirigere la volontà di lotta della popolazione nera e delle masse dei ghetti.
Il punto di forza dell’ANC e del PCSA resta il sindacato COSATU che continua a dimostrare una grossa capacità di mobilitazione, ma occorre rammentare che solo il 45% della forza lavoro nera ha un lavoro, il resto vive di attività precarie, marginali o extralegali. Un’eccessiva omologazione dell’ANC dentro il processo di concertazione non poteva che favorire la crescita dell’influenza delle altre organizzazioni radicali nere come il Pan Africanist Congress (PAC) o l’AZAPO che rifiutano invece la concertazione e si rafforzano tra i giovani neri.
I fischi a Nelson Mandela durante i funerali di Chris Hani sono un segnale che la disponibilità della popolazione nera è al limite. Assassinando un dirigente come Chris Hani non si mirava ad esasperare, ma ad indebolire la capacità di risposta delle masse nere di uno dei paesi più ricchi e più vergognosamente disuguali dell’Africa.