in Contropiano numero 0 – 2 Aprile 1993
Il conflitto interjugoslavo ha segnato il passaggio dall’ordine bipolare alla situazione odierna che per un periodo è stata definita il “nuovo ordine mondiale”. In realtà questo nuovo ordine si è rivelato un vecchio caos che ha riportato a galla entità statuali morte da mezzo secolo, il rischio di una terza guerra balcanica dopo quella del 1912 e gli appetiti dell’imperialismo dei regimi tedesco e americano. In questo quadro ritroviamo anche l’imperialismo straccione dell’Italia di antica memoria che cerca di garantirsi le proprie aree di influenza ritagliate tra gli interessi delle potenze imperialiste maggiori.
La crisi e i conflitti nella ex Jugoslavia sono diventati fattori decisivi nella ridefinizione delle competenze, delle alleanze militari occidentali.
Le vecchie strutture (la NATO) o quelle che sono venute ad assumere un peso crescente (la UEO e la CSCE) hanno rielaborato il loro ruolo ed i loro rapporti interni utilizzando proprio la ex Jugoslavia come situazione “paradigmatica” di quella immensa e potenziale area di crisi rappresentata dall’Europa dell’Est dopo il 1989 e la dissoluzione dell’URSS.
Questi fattori si sono interconnessi profondamente con la prima “guerra possibile” del dopo guerra fredda: quella contro l’Irak.
Tutte le organizzazioni politicomilitari che l’occidente capitalistico si era dato per sostenere il conflitto globale contro la “minaccia comunista”, hanno così potuto ridefinire le loro strategie non più su scenari immaginari di conflitto ma sulla base di sperimentazioni reali di guerra.
La fine del conflitto globale Est/Ovest, ha però fatto saltare o emergere nuovi equilibri in tutta la vecchia rete di alleanze persistenti. La compattezza del blocco occidentale contro l’URSS, anche se è durata ed ha retto quarantacinque anni, non regge più di fronte alle diverse esigenze strategiche tra i vari poli (Germania, Giappone) tendono a divaricare i loro interessi, e quindi anche le conseguenti esigenze politico/militari, da quelli della supremazia internazionale degli Stati Uniti.
Questi ultimi con il famoso documento del Pentagono (Marzo ’92) hanno fatto capire chiaramente che considerano i loro vecchi partner una “minaccia” per i propri interessi nazionali e che non tollereranno scostamenti troppo profondi dai vecchi equilibri fondati sulla supremazia USA, sulla centralità statunitense nella NATO e su un incontestabile unipolarismo degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali.
Indicativo di questo crescente contrasto nella ridefinizione delle competenze geopolitiche e militari della vecchia rete di alleanze, è la questione dei rapporti tra NATO e UEO.
Il tentativo di ridurre ogni concorrenzialità tra NATO e UEO (giunta al paradosso per cui nell’Adriatico il blocco navale viene realizzato da due flotte distinte) ha visto la presenza ufficiale di Woemer al vertice UEO di Roma (20 novembre `92).
Le preoccupazioni ci sono e sono reali. Le contraddizioni in seno ai paesi aderenti alla NATO (ma a questo punto anche dentro la UEO) potrebbero venire allo scoperto con l’estensione del conflitto jugoslavo al Kossovo.
Il fattore “albanese”, appare infatti quello capace di innescare una più vasta internazionalizzazione del conflitto in cui gli interessi divergenti tra le varie potenze emergerebbero con più evidenza.
Innanzitutto tra Grecia e Turchia che hanno tensioni accumulate da anni (Cipro) ed interessi geopolitici assai diversi nei Balcani.
La Turchia appoggia il nazionalismo pan albanese, vuole intervenire in Bosnia e minaccia di farlo anche in Macedonia. La Grecia ha compreso questo minaccioso ruolo della Turchia ed ha mantenuto buone relazioni con la Serbia, ha pessime relazioni con l’Albania, sfrutta la questione della Macedonia sia per fini di consenso interno sia come elemento di pressione contro la sua rnarginalizzazione nella CEE.
Esistono poi sospetti e divergenze crescenti tra gli Stati Uniti e la Germania che vede sempre più chiaramente una politica di “containement” contro se stessa nell’eccessivo dinarnismo statunitense nei Balcani.
La Germania si era ritenuta soddisfatta dagli assetti raggiunti in Slovenia e Croazia e dalla disgregazione della federazione jugoslava.
Lo sbocco sui mari meridionali era ormai assicurato e la propria area di influenza definita, quindi la prosecuzione del conflitto appariva del tutto indesiderata.
Gli Stati Uniti hanno sistematicamente lavorato a far saltare questa normalizzazione “tedesca” del conflitto prima puntando sulla Bosnia ed ora, mirando apertamente a far esplodere le tensioni nel Kossovo per poter intervenire direttamente.
Gli USA vogliono fare presto a battere in volata le potenze europee. Di conseguenza la Francia ha accelerato il proprio interventismo inviando una flotta da guerra ed aviogetti nell’area adriatica. Una scelta analoga è stata fatta dalla Gran Bretagna che, probabilmente, funzionerà ancora una volta da supporto europeo agli Stati Uniti. L’Italia, che ha già “incassato” la sua nuova colonia in Albania, dispone già di due porti sull’altra sponda (Durazzo e Valona) ed ha dislocato le sue unità militari navali sia dentro la flotta NATO che nella flotta UEO (confermando da un lato l’opportunismo della propria politica estera e dall’altro la propria opzione autonoma “a tutto campo” nei Balcani).
La fretta di determinare in tempi brevi un intervento nel Kossovo delle potenze europee è chiaramente desumibile da una dichiarazione del segretario generale della UEO Van Eckelen che ha proposto per il Kossovo “uno spiegamento preventivo, anche se si tratta di una operazione delicata, per ristabilire la credibilità dell’Europa”.
L’intervento nel Kossovo, secondo il segretario della UEO, dovrebbe avvenire in ambito UEO o ONU (è quasi perversa la intercambiabilità delle organizzazioni internazionali a disposizione delle potenze occidentali) e con una partecipazione logistica degli Stati Uniti.
E’ evidente quindi come un intervento militare della UEO vorrebbe lasciare agli USA solo un compito marginale cioè quello logistico.
Gli Stati Uniti, avendo compreso chiaramente il senso di tale proposta, premono per un intervento militare in Jugoslavia in cui le forze armate USA non vorranno certo svolgere il ruolo dei comprimari.
Appare dunque con tutta la sua drammatica evidenza come la disgregazione della ex Jugoslavia sia stato un processo largamente determinato dagli interessi delle varie potenze occidentali e di quanto siano enormi e nefaste le responsabilità della politica estera italiana negli esiti di questo sanguinoso processo di spartizione di un paese.
L’escalation del conflitto jugoslavo e dell’interventismo occidentale nel gennaio dell’anno appena cominciato non può che confermare le peggiori previsioni sulla guerra nei Balcani. La pesantezza degli avvenimenti ed il loro senso di marcia ha costretto addirittura una Russia da tre anni subalterna alla politica degli Stati Uniti ad uno “scatto di orgoglio” contro il bellicismo unilaterale dell’Europa e degli USA contro la Serbia.
La sensazione che “l’esperimento jugoslavo” sia il banco di prova delle potenze occidentali per prepararsi alle nuove crisi dovute alla dissoluzione dell’URSS e del Patto di Varsavia, è diventata sempre più reale in tutti gli ambienti di Mosca.
Il vulcano aperto con il 1989 ribolle ormai in ogni regione dell’Est ed il mondo capitalista si vede costretto ad utilizzare sempre più i “cannoni che il burro” per cercare di spartirsi questa enorme torta e controllarne i contraccolpi.
La Jugoslavia è stata la prima vittima di questo Nuovo Ordine Mondiale e l’ostaggio che l’Europa e gli Stati Uniti stanno utilizzando per ridefinire i loro rapporti di forza interni e ripartirsi le quote della spartizione.
CREDITS
Immagine in evidenza: Jugoslavia
Autore: Jo; 12 maggio 2017
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