in Contropiano Anno 1 n° 1 – 26 maggio 1993
La assegnazione del nuovo esecutivo a Ciampi e la conseguente nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia, segnano un salto di qualità nella direzione della politica economica e modificano gli equilibri su cui si è fondata la distribuzione del potere in Italia.
La nomina di Antonio Fazio a Governatore della Banca d’Italia è emblematica della nuova mappa del potere nel nostro paese. Lamberto Dini (democristiano osservante) ritenuto il successore naturale di Ciampi si è visto sbarrare la strada per diventare governatore. Gli hanno preferito Fazio, anche lui cattolico e, pare, legato all’Opus Dei ma abbastanza distante da quella concezione “monetarista” della banca centrale invocata ad esempio da Mario Monti.
La Confindustria e il mondo finanziario si ritengono soddisfatti anche se non entusiasti. Avrebbero preferito il tecnocrate Padoa Schioppa perché temono la “sensibilità “di Fazio verso le esigenze stella spesa pubblica, ma la raggiunta separazione tra le competenze della Banca centrale e il Ministero del Tesoro riduce ogni rischio in tal senso ed inoltre, per dirla con la voce del padrone, Fazio è ritenuto “molto pragmatico”. Con Ciampi al governo, i ‘tecnici” ai ministeri economici e Fazio alla Banca d’Italia, il triangolo della stabilità su cui punta il nuovo esecutivo ha adesso la garanzia di poter contare su tutti i fattori fondamentali : politica di bilancio, politica dei redditi e politica monetaria sono ormai sotto stretto controllo e apertamente funzionali alle esigenze padronali. L’unica variabile sembra essere quella degli interessi sui titoli di stato. Nessuno vuole castigare il “BOT people” ma si fa più forte la tendenza a trasformarli in investimenti di Borsa piuttosto che in risparmio congelato a spese del bilancio statale. Che la Banca d’Italia fosse diventato uno dei perni della ristrutturazione neocapitalista in Italia è noto ma ancora poco compreso anche “a sinistra.
La banca centrale è arbitrariamente ritenuta una sorta di tempio, le annuali relazioni del Governatore un testo sacro verso cui è doveroso mostrare referenza e l’istituzione stessa una garanzia di “neutralita” negli indirizzi di politica economica del paese. Nulla di più sbagliato.
In realtà nella politica economica seguita in questi anni, c’è molta farina del sacco della Banca d’Italia (basta leggere le relazioni annuali del governatore degli ultimi tre anni).
In modo particolare va segnalato l’asse strategico seguito che ha portato l’Italia all’interno del processo di integrazione economico/finanziaria europea prima con lo SME, poi con l’Atto Unico Europeo, poi con la liberalizzazione dei capitali e il Trattato di Maastricht, infine con la richiesta del prestito CEE – relativo sul piano quantitativo ma sostanziale su quello qualitativo- con cui l’economia italiana ha via via perso la sua autonomia e si è resa subalterna agli istituti finanziari europei.
Del resto la Banca d’Italia da tempo ha cominciato a muoversi come una variabile indipendente dalle vicissitudini della politica economica seguita dai governi “nazionali” ma piuttosto come longa manus della finanza internazionale all’interno del nostro paese.
L’autonomia invocata dalla banca centrale dagli esecutivi si è convertita in un fattore di potere dell’istituto e di maggiore integrazione nel modello finanziario europeo (vedi la Bundesbank).
Le coordinate della Banca d’Italia coincidono infatti con le esigenze del settore più internazionalizzato del capitalismo italiano.
Nel conflitto tra banche e industria sul costo del denaro, la Banca d’Italia ha fatto proprie le esigenze di quest’ultima, facendosi così perdonare la velleità con cui aveva difeso il cambio della lira nella guerra monetaria del Settembre ’92 (bruciando riserve per migliaia di miliardi) e accettando infine quella svalutazione invocata da anni dagli imprenditori.
La liturgia della politica economica della Banca d’Italia, non si è mai scostata dai temi della riduzione della spesa pubblica e della denuncia – ma solo della denuncia – delle distorsioni provocate dal debito pubblico. Memorabile è l’attacco ai contratti del 1990 perchè incompatibili con le esigenze del fabbisogno statale.
Le bacchettate al ceto politico (che hanno sempre entusiasmato sia la Confindustria che i riformisti) sono servite a spianare la strada all’autonomizzazione della banca centrale dal governo, un obiettivo raggiunto in queste settimane separando le competenze della Banca d’Italia da quelle del Tesoro.
Questa divisione tra “onori e oneri” rafforza il potere della banca centrale e ne fa uno dei centri decisivi degli assetti economici, finanziari e monetari (lei capitalismo italiano. Ancora prima del gioco al massacro di Tangentopoli, dentro e sulla Banca d’Italia si sono combattute guerre feroci tra i vari gruppi finanziari legati al vecchio sistema di potere.
Con la nomina di Fazio ha vinto la mediazione, segno evidente che la “rivoluzione italiana” (è difficile immaginare un termine più infelice di questo) è più conservatrice di quanto vorrebbero far credere. Ma ritenere ancora la Banca d’Italia una istituzione “autorevole e neutrale’ è una illusione su cui non sarà più consentito cullarsi.
CREDITS
Immagine in evidenza: Banca D’Italia
Autore: Angelo Benedetto; 22 maggio 2016
Licenza: Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
Immagine originale ridimensionata e ritagliata