Intervista a Piergiorgio Tiboni – Coordinatore nazionale CUB
in Contropiano Anno 1 n° 1 – 26 maggio 1993
Quali pensi che siano gli effetti in campo sindacale del risultato referendario del 18 aprile?
Credo che il referendum del 18 aprile avrà sulle relazioni sindacali in Italia un effetto sostanzialmente nullo, nel senso che le relazioni sindacali in Italia sono ampiamente al di là del risultato referendario sulle leggi elettorali. Nelle fabbriche, come è noto, non si vola più da un sacco di tempo, per cui CGIL-CISL-UIL sono appunto al di là di un sistema di tipo maggioritario: nelle fabbriche siamo di fronte ad un monopolio non sottoposto a verifica con regole democratiche ormai da molto tempo. Secondo me, sul piano istituzionale non si è fatto altro che ratificare quale era la situazione che si era determinata nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nei rapporti tra lavoratori, sindacato, imprese e governi. Credo che la situazione di mancanza di democrazia a livello dei luoghi di lavoro, sia stata anche alla base di questo risultato, di questa spinta alla semplificazione della vita democratica.
Si sta sviluppando un acceso dibattito, che vede da una parte le varie ipotesi di sindacato “unico” o “unitario”, e dall’altra le critiche sempre più serrate al monopolio della rappresentanza. Il nuovo assetto politico “maggioritario”, come pensi che modificherà i rapporti interni a CGIL-CISL-UIL?
Non lo so, nel senso che le dinamiche sindacali mi pare che siano in parte slegate dalle questioni istituzionali, perché all’interno del sindacato vige già da tempo un meccanismo elettorale che rende difficile il manifestarsi di posizioni diverse da quelle dei gruppi dirigenti nazionali. Nel sindacato ci sono 30.000 funzionari, e questi rispondono in larga parte a quelli che vincono i congressi; i congressi vengono fatti con regole democratiche molto approssimative. L’unica cosa che forse può derivare da questo risultato referendario è il fatto che si accentuino le spinte ad una definitiva trasformazione del sindacato in senso istituzionale, ma anche questo mi sembra un processo molto avanzato. Insomma, nel sindacato chi non era allineato rispetto ai vertici di CGIL-CISL-UIL non contava niente prima e non conterà niente neanche dopo. Il problema di fondo, che si pone sempre con maggior forza, è proprio l’esigenza di rompere il monopolio di CGII,-CISL-UIL, attraverso la ricostruzione dal basso – in un rapporto democratico con i lavoratori – di una nuova forma, di un nuovo modo di essere del sindacato. Dobbiamo ricostruire dal basso il sindacato, e ricostruirlo al di fuori di CGIL-CISL-UIL. Da questo punto di vista, la battaglia perché si arrivi ad una legge che consenta la libertà di associazione sindacale, mi pare che sia una battaglia non più differibile, perché CGIL-CISL-UIL, padronato, partiti e governo hanno tutto l’interesse a mantenere l’attuale situazione di monopolio, le proposte di legge che sono state presentate prima da Giugni e poi da Ghezzi vanno in questa direzione, cioè quella di mantenere il monopolio di CGIL-CISL-UIL.
Certo il risultato referendario tende a sostenere le ipotesi che vogliono impedire la presenza di altre organizzazioni sindacali, anche se su questo terreno credo che dovranno fare i conti non solo con la presenza sempre più estesa del sindacalismo indipendente e di base, ma anche con gli obiettivi che – per esempio – ha la lega sul terreno sindacale. La Lega Lombarda ha l’obiettivo di contrastare il monopolio di CGIL-CISL-UIL, in quanto vuole costruire un proprio sindacato tra i lavoratori. Diciamo che, per spiegarmi meglio, rispetto alla definizione di una nuova legge sulle relazioni sindacali, non ci sarà in Parlamento e nel paese lo stesso schieramento che si è determinato intorno al referendum del 18 aprile, anche se, ripeto, lo “zoccolo duro” della questione è rappresentato da CGIL-CISL-UIL, padronato, governo e partiti che sostengono CGIL-CISL-UIL, costoro non vogliono cambiare.
Dopo la vittoria dell’offensiva referendaria contro i pur esigui spazi di sovranità popolare, in una fase di grave crisi economica ed occupazionale, quali alternative alla politica delle “compatibilità” e della “codeterminazione” ritieni siano praticabili per la difesa dei lavoratori?
Io penso che la situazione sia molto grave dal punto di vista dei lavoratori e dei pensionati, perché negli ultimi dieci anni hanno cancellato l’idea stessa del conflitto, della lotta per affermare il punto di vista delle classi subalterne, dei lavoratori, della classe operaia. Per cui, una cosa che bisogna fare è riprendere una battaglia di tipo culturale e politico per contrastare l’ideologia dominante, l’ideologia padronale che sta alla base di questo sistema, per cominciare a dire, nel maggior numero possibile, che esiste una alternativa alla situazione attuale.
Dall’altro versante, bisogna che i lavoratori si rendano conto che, se vogliono evitare questo continuo peggioramento delle proprie condizioni di vita, si debbono riaggregare a partire dai luoghi di lavoro, costruire le nuove forme del sindacalismo di base, poi, a partire da questa aggregazione, cercare dei collegamenti più ampi di tipo sociale e politico, però partendo da un punto di vista costruito in modo autonomo e indipendente da parte dei lavoratori sui luoghi di lavoro, nelle fabbriche e negli uffici.
Io credo che siamo di fronte ad una situazione che per essere recuperata, richiede parecchi anni di lavoro, perché come dicevo all’inizio, hanno distrutto innanzitutto l’idea che sia possibile opporsi all’attuale situazione e che sia possibile costruire una alternativa. Questo è il lavoro che stiamo cercando di fare come organizzazioni sindacali di base, e credo che il processo di continua perdita di consenso da parte di CGIL-CISL-UIL tra i lavoratori, sia destinato ad ampliarsi. Il fatto che i lavoratori abbandonino queste organizzazioni è un fatto assolutamente positivo, che può accelerare quel percorso di cui parlavo prima.