Editoriale in Contropiano Anno 1 n° 2 – 30 giugno 1993
Le elezioni e i ballottaggi svoltisi lo scorso 20 giugno in diverse ed importanti città italiane, hanno confermato la tendenza inquietante già manifestata nel referendum del 18 aprile. Le illusioni della sinistra che per un attimo erano state alimentate dal primo turno elettorale del 6 giugno, sono crollate sotto i colpi di una dinamica reale, reazionaria e centrista che caratterizza la nuova fase politica italiana. La svolta a destra nel nostro paese e soprattutto nella società è un dato drammatico ma reale. È un dato che si rafforza anche sullo scollamento tra le ragioni della sinistra “istituzionale” e la società, e confermato da un altro fattore, intuibile da tempo, che è l’aumento dell’astensionismo (nel secondo turno ha raggiunto il 35%, è prevedibile che crescerà fino a stabilizzarsi sulle medie europee).
La svolta a destra in Italia si fonda su ragioni strutturali strettamente connesse a quanto accade nello scenario europeo ed internazionale. L’esasperata competizione economica tra le varie economie sviluppate è stata accentuata dalla recessione. La consapevolezza della posta in gioco ha fatto sì che i gruppi dominanti accelerassero la resa dei conti interna (vedi tangentopoli) e avviassero un nuovo patto corporativo nella società dietro lo schermo della stabilità e della efficienza del “Sistema Italia” nella competizione con le altre economie.
Un progetto del genere può essere gestito solo dalla destra o da un “centro” sufficientemente vasto ed articolato da tenere dentro tutto e tutti. Un settore non irrilevante di lavoratori o, meglio, una nuova aristocrazia operaia sono stati cooptati dentro questo progetto neocorporativo avendo chiara coscienza che il loro status occupazionale salariale, professionale potrà essere mantenuto solo a scapito dei settori più deboli del mondo del lavoro e della società. Il progetto di sindacato sostenuto da CGIL – CISL – UIL unico è coerente a questa nuova realtà. Intorno a questo nuovo blocco storico, si va delineando un “centro” politico che si candida a gestirlo in nome di nuove regole di rappresentanza, stabilità, decisionalità. Parallelamente a questo centro stanno prendendo vita due variabili che fondano sull’alternanza il loro ruolo materiale nello scenario politico in maniera strettamente complementare e funzionale al progetto neocorporativo. Ritenere la Lega una scheggia impazzita è profondamente sbagliato. Essa rappresenta una delle variabili (a destra) di questo progetto. A Milano l’Assolombarda ha sostenuto Formentini.
Allo stesso modo, ritenere l’asse PDS/Alleanza Democratica/Verdi una alternativa “di sinistra” al nuovo blocco dominante corrisponderebbe ad un inganno senza precedenti.
Queste due variabili sono l’espressione di una democrazia formale che ha bisogno di una “destra” e di una “sinistra” per avere legittimità e dimostrare di esistere. L’alternanza di governo che propone il PDS non ha nulla in comune con l’alternativa politica che la sinistra deve saper costruire.
Si apre un problema serissimo. I risultati elettorali ottenuti ad esempio da Rifondazione Comunista dimostrano una contraddizione tra una crescente base elettorale (almeno fino ad oggi) e una sempre più ristretta presenza istituzionale. In sostanza, l’elettoralismo non paga più. Arrivati a questo punto per Rifondazione Comunista si apre un bivio: o segue Ingrao e gli ingraiani che da più di venti anni “non ne azzeccano una” e ripropongono il politicismo come prospettiva oppure avvia quella trasformazione di cui si avverte la necessità. Il capitale ereditato dal vecchio PCI si va esaurendo e logorando e il politicismo impedisce alla sinistra di riconquistare egemonia, influenza e iniziativa nella società.
Nei prossimi mesi, almeno fino alle elezioni politiche, un PDS ormai apertamente centrista guarderà ancora “a sinistra” nella speranza di rastrellare tutto e azzerare le opzioni politiche.
Chi cederà a questo richiamo saranno coloro che a questo puntano e questo vogliono. La sinistra di classe e alternativa ha il diritto/dovere di costruire una ipotesi politica e sociale diversa, magari scontando difficoltà oggettive ma recuperando un radicamento e un antagonismo di cui si sente estremo bisogno.