in Contropiano Anno 1 n° 2 – 30 giugno 1993
1. La battaglia per la liberazione dei detenuti politici non è semplice testimonianza e neppure, in primo luogo, un problema di solidarietà verso coloro che pagano con la prigione e l’esilio un’istanza di libertà che dolorosamente si è data negli anni ’70.
Con questo non si vuole dire che simili atteggiamenti non abbiano legittimità e ragion d’essere, che essi siano ininfluenti al raggiungimento dell’obiettivo fondamentale che resta la liberazione dei detenuti: o, viceversa, che questa liberazione sia il risultato di una pura spinta rivoluzionaria, sulla base di una vuota rivendicazione di continuità indifferente ai tempi storici, alle mediazioni, alle opportunità.
Ma è indubbio che rimanere attestati a questo livello di testimonianza civile e di “ragionevole” minoritarismo entro il quale è finora vissuta la battaglia sulla detenzione politica degli anni ’10 anziché favorire rischia ora di dissolvere e annullare ogni urgenza politica della questione, la sua necessità. Significa consentire al rischio che l’oblio scenda sulle ragioni di una decisiva vicenda storica e su questa non più tollerabile consunzione dei corpi e delle menti che è la vendetta dello Stato contro chi si è battuto per la sua trasformazione. Con troppa cautela si è concesso di sospendere ogni considerazione storico-politica sulla lotta degli anni ’70 che avesse una pur minima aderenza col presente, nullo è stato in questi anni il soggetto che avrebbe dovuto con legittimità e con coraggio rivendicare discontinuità e appartenenze di quella stagione. Tutto ciò non ha favorito, così come si pensava, un percorso di liberazione. La decisione fondamentale è stata rinviata e oggi rischia di vanificarsi dentro il corso impetuoso della delegittimazione di questo ordine politico. Non si è manifestata particolare disponibilità, né si è trovata udienza presso le colpevoli teste di una classe politica che già allora fu chiamata a rispondere. L’istanza umilmente avanzata è caduta nelle mani delle forze che in diverso modo fronteggiarono quel movimento ed è stata giocata secondo la loro convenienza ed utilità, con cinismo e spregio della verità oltre che degli uomini. Ora, in questo momento di trapasso e di trasformazione profonda della società, va colto lo spessore politico e tutta l’urgenza di una battaglia di identità quale è quella per la liberazione dei detenuti politici.
2. Il movimento degli anni ’60 e ’70 praticò la critica della Repubblica degli Inganni, delle Stragi, della Mafia e della Corruzione ben prima che qualsivoglia Lega facesse di questa crisi e di questo pubblico disfacimento la sua bandiera e la sua forza, la sua virtù politica. Quel movimento si confrontò in modo unitario, al di là delle differenze che pure conobbe al suo interno, col problema della costruzione di uno spazio politico dell’opposizione sociale. Questo, dal punto di vista del bilancio e del significato storico obiettivo di quella esperienza.
Solo chi non è in grado di elaborare la discontinuità rispetto alla propria storia in declino e manca di giudizio critico verso il presente prima ancora che verso il passato può contestare questo fatto e rivendicare la propria verità di parte, scioccamente discriminando tra un movimento “buono” e un movimento “cattivo”. La falsa coscienza della sinistra sembra al riguardo non avere fine ma la questione della detenzione politica e del giudizio sugli anni ’70 che ad essa è collegato gettano una luce straordinaria sull’intera vicenda della sinistra e stanno a dimostrare la sua insussistenza politica, la sua inerzia, il suo moderatismo e l’abisso del suo travaglio interiore.
3. Il tema della liberazione dei detenuti politici non è oggi, né lo è mai stata, una questione di secondo piano per una sinistra che abbia una nuova identità, e non si aggiunge alla lista delle sue sensibilità civiche accanto alla lotta contro la vivisezione e alla salvaguardia dei diritti dei consumatori.
Essa attraversa alcuni nodi decisivi della crisi di questo ordinamento e rimanda alla necessità di rispondere nelle condizioni inedite della Seconda Repubblica ad altrettante fondamentali domande che il movimento degli anni ’60 e ’70 pose nonostante la sua sconfitta e i suoi errori. La crisi dei partiti e della rappresentanza politica, le nuove forme di una democrazia extraparlamentare, la scomparsa della sinistra, sono questioni scottanti che ancora oggi discriminano.
Essa testimonia inoltre della caduta di un soggetto in grado di contrattare e contendere il percorso, le forme e i modi di questa liberazione. È l’altra faccia di una più generale crisi di identità a cui ci troviamo a dover dare risposta.
Questo tema della liberazione dei detenuti politici e del giudizio sulla storia degli anni ’70 va sollevato fortemente come terreno aperto di conflitto di una sinistra di fine secolo.
4. La questione dei detenuti politici va rimessa al centro della nostra azione pubblica, va liberata con il necessario coraggio dalla manipolazione cui la storia degli anni ’70 fu sottoposta. Questa manipolazione e falsa coscienza restano come un residuo di quella stagione di acuto conflitto, un preciso vincolo allo sviluppo di un movimento in grado di orientare verso altri esiti questo presente di trasformazione.