9° Meeting Internazionale per la pace e la solidarietà tra i popoli
In Contropiano Anno 1 n° 2 – 30 giugno 1993
La nona edizione del Meeting pone al centro un complesso di questioni che incidono profondamente su ogni prospettiva di cambiamento. “Crisi internazionale, imperialismo e fascismo negli anni ’90 – rappresentano l’inquietante scenario di questo fine secolo al quale occorre saper contrapporre un’alternativa internazionalista.
Il mondo contemporaneo è entrato in una fase di contraddizioni sempre più profonde ed acute. I nuovi aspetti della crisi internazionale non hanno sostituito quelli vecchi che, anzi, si ripresentano con maggiore pesantezza.
La recessione economica che scuote tutte le economie dei paesi capitalisti più sviluppati, pare destinata a lasciare il segno.
È abbastanza evidente come la crisi che stiamo vivendo sia il contraccolpo di quella crisi irrisolta dei primi anni ’70 e che sta riproponendo per intero le due contraddizioni più laceranti del modello di sviluppo capitalista: la caduta del saggio di profitto e la sovraproduzione di merci.
Le economie capitaliste più sviluppate, con la dissoluzione dell’URSS e del COMECON, avevano ritenuto di aver ormai tutto il mondo a disposizione. Il “mercato mondiale” senza più rotture, avrebbe dovuto garantire margini di profitto e mercati senza più limiti. Ma i paesi capitalisti sviluppati hanno dovuto verificare come questo mercato sia in realtà limitato ai paesi dell’OCSE (che assorbono il 70% del commercio e degli scambi internazionali), mentre il resto del mondo (dalla nuova frontiera economica dell’Europa dell’Est al terzo e quarto mondo) non ha la possibilità di diventare un mercato adeguato all’offerta né un debitore solvente per i crediti occidentali.
Dunque, la debolezza della “domanda” e l’eccesso di “offerta” si sono ritorti come un boomerang contro le maggiori economie capitaliste. La chiusura o il trasferimento di impianti, la distruzione di capacità produttiva “in eccesso”, la concentrazione monopolistica delle società più grandi a livello internazionale, la crescita della disoccupazione di massa anche nelle aree sviluppate, caratterizzano la riorganizzazione.
Negli anni ’80 la dimensione finanziaria dell’economia capitalista si è allargata a dismisura. Circa 1000 miliardi di dollari girano quotidianamente il mondo attraverso le transazioni finanziarie alla ricerca di margini speculativi più alti e vantaggiosi, ma il loro spostamento devasta intere economie, condiziona gli equilibri monetari, alimenta la bolla speculativa della economia della carta, delle cedole, dei rentiers. “L’imperialismo”, sosteneva Lenin, “è l’immensa accumulazione in pochi paesi di capitale liquido… da ciò segue, inevitabilmente, l’aumentare della classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del taglio di cedole, non partecipano ad alcuna impresa ed hanno per professione l’ozio”.
Quasi novanta anni dopo l’analisi di Lenin dell’imperialismo, è ancora difficile dargli torto.
Ma il lato interessante è che nuovamente la crisi parte dai punti alti dello sviluppo capitalista. Gli anni ’80 avevano visto il tentativo di superare la crisi delle economie capitaliste scaricandone gli effetti sul terzo mondo attraverso il rastrellamento di materie prime a prezzi stracciati, il rientro dei capitali investiti “al sud” nei decenni precedenti (facendo così scoppiare la bomba del debito estero), l’accentuazione dello scambio disuguale e del protezionismo.
Ma questa rapina ai danni degli “anelli deboli” del sistema, non è servita a riportare in equilibrio le economie dei paesi capitalisti, anzi, ha accentuato la divaricazione tra un ristretto club di “stati finanziariamente più forti” e il magma dei paesi poveri; “insolventi” e dunque a domanda debole.
UNA NUOVA SPARTIZIONE DEL MONDO
La dissoluzione dell’URSS ha consentito la realizzazione di quella “unità” del mercato mondiale al quale puntavano da decenni tutti i maggiori gruppi capitalisti transnazionali (vedi le tesi ed il ruolo della Trilaterale proprio su questo aspetto).
Fino al 1989, le potenze capitaliste più grandi o più piccole si erano compattate in alleanze militari, trattati economici per regolare il commercio ed evitare il protezionismo, accordi per consentire la libera circolazione dei capitali.
La minaccia dell’URSS era riuscita ad unificare gruppi economici e stati anche con interessi ed obiettivi diversi tra loro.
La scomparsa di questo fattore, ha rimesso in discussione tutto. Nuovi poli imperialisti stanno emergendo dopo anni di subalternità verso gli Stati Uniti (Germania, Giappone): l’accordo GATT sul commercio mondiale sta finendo nelle ortiche per essere sostituito da guerre commerciali e ritorni al protezionismo; le potenze occidentali riscoprono il neocolonialismo come unica relazione possibile con la vecchia e nuova periferia del sistema capitalista.
Il mercato mondiale richiede dunque una nuova spartizione tra le economie e i gruppi finanziari più forti. La competitività economica diventa così competizione e nessuno, onestamente, può oggi escludere che torni ad essere conflitto tra i vari poli imperialisti.
In Europa, nelle Americhe in Asia, si vanno delineando aree economiche distinte legate alle maggiori potenze e fortemente segnate dal protezionismo (vedi il Rapporto della Banca Mondiale del giugno 1992). Mentre i vari poli imperialisti manovrano per stabilire rapporti più solidi nelle loro aree di influenza e manovrano per decidere se sarà ancora la concertazione o una esasperata competizione a stabilire i nuovi equilibri internazionali, il resto del mondo ribolle di conflitti, frammentazioni, crisi acutissime, fermenti di rivolta che possono assumere, di volta in volta, carattere nazionalista, religioso, sociale.
Questo nuovo e tumultuoso movimento non coincide più con il ciclo di lotte anticoloniali ed antimperialiste degli anni ’60 mancandone i riferimenti politici e culturali (basta pensare alla crisi del Movimento dei Non Allineati e alla dissoluzione del fronte antimperialista mondiale che si poggiava sull’URSS o sulla Cina).
A questa realtà le maggiori potenze capitaliste rispondono con un crescente interventismo militare (spesso con la copertura dell’ONU) e il neocolonialismo economico.
“L’impero del caos” che pare caratterizzare le soglie del Duemila, vede già oggi una gerarchizzazione dei poteri e delle istituzioni internazionali. Ma l’autoritarismo planetario espresso dall’ONU al servizio della supremazia USA ricade all’interno di ogni singola società.
DALLA CRISI RINASCE IL FASCISMO
La competizione economica mondiale e il carattere sempre più oligarchico della ricchezza e dei rapporti sociali ed internazionali, sta rafforzando la tendenza ad un nuovo patto corporativo all’interno di ogni società sviluppata. All’insegna degli interessi generali, le classi dominanti puntano ormai apertamente a cooptare i lavoratori del proprio paese nella competizione con le altre economie e nel rapporto neocoloniale verso i popoli del terzo mondo (sia verso gli immigrati che verso i paesi ricolonizzati).
I frequenti discorsi sul “Sistema Italia” dentro alla competizione economica internazionale, il progetto di sindacato unico, il legame del salario ai risultati dell’impresa sono la faccia speculare e “subliminale” della normalizzazione delle lotte operaie, sociali e giovanili, dell’autoritarismo come sistema di relazioni interne alla società e del razzismo. Su questi si è fondato il fascismo, su questo si va delineando il nuovo fascismo in Italia e in Europa.
Il 9° Meeting Internazionale per la pace e la solidarietà tra i popoli, ha il pregio di voler dimostrare il necessario realismo e coraggio politico per affrontare e discutere questo scenario. La sinistra italiana e il movimento pacifista paiono aver perso da troppo tempo ogni capacità razionale nell’individuazione delle dinamiche reali. È un aspetto del tutto speculare a quella perdita di rapporto con la società emersa nel referendum del 18 aprile e confermata dalle elezioni del 20 giugno. Su questa divaricazione, la destra sta guadagnando velocemente terreno e il riformismo non è assolutamente capace di rappresentarne una barriera né una alternativa.