In Contropiano Anno 1 n° 3 – 22 settembre 1993
Pubblichiamo la prima parte dell’intervento del compagno Shafik Handal coordinatore generale del FMLN e segretario del Partito Comunista del Salvador
L’accordo di Chapultepec contiene il più profondo, il più nazionale e concreto programma per la democratizzazione della storia del nostro paese, il che implica una ristrutturazione istituzionale del potere dello Stato ponendolo nelle mani delle autorità civili democraticamente generate; una profonda riforma militare e della polizia, strutturale, concettuale e dottrinaria: la riforma dell’amministrazione della giustizia e del sistema elettorale; l’istituzionalizzazione della protezione dei diritti umani.
Anche se la parte economico-sociale dell’Accordo di Pace è comparativamente meno sviluppata, essa contiene senza dubbio il trasferimento della terra nelle zone di guerra ai suoi possessori di fatto e agli ex combattenti, il che, insieme ad altri strumenti e programmi e ai risultati della riforma agraria interrotta agli inizi degli anni ’80, costituisce un consistente punto di partenza per la creazione di un forte settore popolare dell’economia. Questo settore, nella nostra concezione attuale della rivoluzione democratica, si vede assegnato un ruolo essenziale e dinamico per assicurare uno sviluppo sostenibile, ecologicamente possibile e un progresso sociale nel lungo periodo, più avanzato delle frontiere del capitalismo. L’Accordo di Chapultepec ha creato due scenari e a volte gli strumenti per mantenere e, se possibile, approfondire il consenso nazionale pluripartitista e multiclassista. Mi riferisco alla COPAZ e al Foro di Concertazione Economico/Sociale.
In ogni caso, le elezioni generali che si terranno nel marzo del 1994 influenzeranno molto la definizione del come continuare a sviluppare questo consenso nazionale, con quali ritmi e con quale progetto. Le elezioni definiranno anche quanta forza e capacità hanno le forze più reazionarie civili e militari che si stanno riaggruppando per fermare e far arretrare questo processo.
Un nuovo modello rivoluzionario
In questo contesto sorge un nuovo problema teorico: il dibattito della sinistra latinoamericana intorno alla via della rivoluzione, in modo particolare dopo la Rivoluzione Cubana, si è scontrato con due tesi che nella loro espressione pura, ortodossa possiamo definire: la via armata o la via pacifica (o non armata).
La nostra esperienza suggerisce una tesi eterodossa rispetto alle strade della rivoluzione: è possibile che pur essendosi realizzata una lotta armata militarmente efficace non si possa risolvere totalmente o parzialmente il problema del potere e che, sulla base dei nuovi rapporti e aggregazioni di forze raggiunti, si possa e si debba risolvere questo problema sul terreno della lotta politica e sociale, fondata su una nuova e superiore relazione di forze capace di svilupparsi su un livello e una qualità anche superiore.
In poche parole, non occorre solo combinare le forme di lotta ma anche le strade della rivoluzione con le dosi e nei modi che le condizioni concrete della situazione interna ed internazionale in quel momento consentono.
Sicuramente la nostra tesi deve essere dimostrata nella pratica e sono legittimi i dubbi e le contestazioni. Noi stessi stiamo valutando costantemente la nostra marcia che avanza in mezzo ai dubbi, alle tensioni e al canto di certe sirene robuste e con le mani lunghe che cercano di tirare la corda delle nostre differenze accentuate dalla sconfitta del socialismo reale per far arenare definitivamente a metà strada la nave guidata da questi cinque argonauti farabundisti. Ma le sirene possono essere sconfitte e la nave può arrivare alla sua meta.
Siamo convinti che valga la pena fare questa esperienza adogmatica e che tutta la sinistra deve stimolarci con le sue idee, con la sua esperienza e le sue critiche per mantenere la nave in marcia, l’unità del suo equipaggio e del suo progetto.
Noi siamo convinti del carattere rivoluzionario dell’Accordo di Pace; esso contiene fondamentalmente il programma di trasformazione democratica maturato nella storia nazionale, esprime l’agenda delle priorità nazionali ed ha il più ampio consenso nazionale. Ciò che in questo programma gode di tale consenso e che si va determinando come asse della lotta centrale e determinante della vita politica del paese è, senza dubbio, una conquista rivoluzionaria che va molto al di là della semplice formulazione di un programma.
E’ ovvio che la rivoluzione democratica non si è consumata. Abbiamo raggiunto un punto della guerra rivoluzionaria che ha collocato il paese nella strada di questa trasformazione, però il volo su questa strada non ha ancora superato il punto di non ritorno.
Consumare la rivoluzione esige di risolvere il problema del potere e della conduzione dello Stato da parte del blocco di forze impegnate con il programma di Chapultepec. Il grado di fedeltà e devozione di questo blocco di forze a tale programma dipende, in buona misura, dalla forza politica, organica, organizzativa e mobilizzante della sinistra il cui nucleo è il FMLN. L’unità del FMLN, almeno per tutto il periodo di esecuzione del consenso di Chapultepec, è indispensabile e determinante.
Presa del potere e democrazia
Arrivati a questo punto, abbiamo un secondo problema teorico: quale è il carattere, la composizione, il metodo e lo stile di governo del potere che corrisponde alla rivoluzione democratica propria dell’attuale processo nazionale? Quando abbiamo iniziato la guerra popolare rivoluzionaria, ci sembrava indiscutibile che la soluzione del problema del potere consistesse nella distruzione della dittatura militare oligarchica e nella presa del potere da parte delle forze rivoluzionarie che lo avrebbero esercitato insieme ai loro alleati democratici più vicini. Dopo 12 anni di una guerra rivoluzionaria di eccezionale livello e capacità offensiva, non c’è stata distruzione né presa del potere. La dittatura non è rimasta certo in piedi incolume ma anzi mutilata e malmessa, logorata moralmente e politicamente sul piano locale ed internazionale, però conserva alcune posizioni e strutture importanti. Ha la possibilità di restaurarsi con nuove forze. Le forze rivoluzionarie non hanno preso il potere ma sono indispensabili per sostenere il nuovo consenso nazionale per la democratizzazione e noi ci stiamo convertendo rapidamente in una forza politica altamente organizzata e di massa.
Inoltre, e questo è l’aspetto essenziale e più di fondo, l’esperienza mondiale degli ultimi anni ha mostrato molto chiaramente che il potere rivoluzionario deve essere in tutte le rivoluzioni, qualunque sia il loro carattere, più democratico quanto più è avanzato. E’ nel suo carattere profondamente democratico-partecipativo e non nella pura capacità coercitiva che risiede il suo principale potere e la sua garanzia di sopravvivere di fronte alla controrivoluzione restauratrice del vecchio potere. E’ in questo suo carattere democratico-partecipativo che risiede anche la garanzia della sua efficacia economica e della giustizia sociale.
La democrazia è una componente strutturale del modello alternativo di sviluppo e, nel progetto popolare, può e deve andare più lontano della democrazia borghese che è limitata da interessi classisti meno corrispondenti con gli interessi della società nel suo insieme.
CREDITS
Immagine in evidenza: Schafik Hándal
Autore: PCS
Licenza: Public domain
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