In Contropiano Anno 1 n° 3 – 22 settembre 1993
I contrasti tra Italia e Stati Uniti in Somalia indicano un nuovo modello di relazioni tra i due “alleati” o rivelano la vocazione da “media potenza” del nostro paese? L’acutizzazione della guerra a Mogadiscio tiene lontane le tensioni dalle aree strategiche della Somalia. È lì che gli USA lavorano con i guanti invece che con i massacri.
La guerra in Somalia continua a mietere vittime e sfornare massacri, mentre la resistenza si trasforma, ogni giorno di più, in una rivolta popolare contro l’invasione militare delle potenze occidentali.
Ma se osserviamo più a fondo la dinamica del conflitto, ci si rende conto che i contrasti tra le varie potenze presenti nell’UNOSOM e il carattere degli scontri stanno configurando un conflitto estremamente aspro tra gli interessi strategici in campo. L’Italia punta sulla Somalia, vuole tornare a farne una delle proprie periferie neocoloniali, partecipa alla corsa internazionale nella conquista di nuovi giacimenti petroliferi (vedi l’Adriatico e le repubbliche asiatiche della ex URSS), ma soprattutto vuole dimostrare ai partner e a se stessa di avere ormai una politica internazionale adeguata al proprio status di media potenza. Il modello di interventismo politico/militare dell’Italia dà priorità alla cooptazione delle varie comunità somale e al tentativo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo bellico (è in sostanza quel modello “libanese” che ha rafforzato la politica italiana nel mondo arabo negli anni ’80 e fatto scattare i primi allarmi negli USA sul carattere della politica estera di Andreotti). L’Italia ha cercato di rinnovare la relazione storica con la colonia Somalia cercando di sotterrare le proprie responsabilità nel sostegno decennale al regime di Siad Barre. In fondo gli amici di Barre come i vari De Michelis, Pillitteri sono scomparsi dalla vita e dai centri decisionali della politica italiana.
L’AGIP ha ripreso le perforazioni sulla punta del Corno d’Africa e nel mare adiacente, e i militari italiani hanno cercato di limitare il loro ruolo a quello di “polizia”. I soldati evitano di partecipare alle brutali rappresaglie e aggressioni scatenate quotidianamente dalle forze armate americane ma applicano una sorta di “Legge Reale” nelle aree assegnate al loro controllo: il 6 settembre i bersaglieri (appena arrivati) hanno ucciso due somali ad un posto di blocco, il 10 settembre hanno ferito una bambina in una situazione analoga. Nonostante la cortina fumogena degli italiani brava gente”, i militari italiani sono stati fatti segno dalla reazione popolare a questi atti di repressione né più né meno di altri contingenti. Gli Stati Uniti adottano in Somalia quella politica di occupazione militare che ne caratterizza la storia ed il ruolo internazionale. Puntano alla conquista dei punti strategici del paese, allo smantellamento delle forze della resistenza popolare somala e alla cooptazione di quelle disposte a collaborare con l’ invasore. Occorre infatti chiedersi: come mai gli scontri, e così violenti, avvengono solo a Mogadiscio? Cosa succede nelle altre parti del paese? Come mai esistono dei contrasti così aspri con l’Italia? La Somalia è una “torta ricca” di petrolio e di punti strategici dai quali controllare la rotta del petrolio. Mentre si combatte a Mogadiscio, impedendo ogni normalizzazione che favorirebbe la penetrazione e il ruolo dell’Italia, le varie compagnie petrolifere americane si sono già spartite il resto della Somalia: la Texaco intorno a Chisimaio, la Conoco in Migiurtinia, l’Amoco nel Somaliland e a sud di Mogadiscio. La penetrazione USA in queste aree è proceduta senza sparare un colpo e trovandosi nuovi alleati come le milizie di uno dei due leader del FDSS (Fronte Democratico di Salvezza Somalo) Mohammed Abshir Moussa che controllano la Migiurtinia. Con le milizie del Movimento Nazionale Somalo, che ha dichiarato la secessione del Somaliland ma che soprattutto controlla la base strategica di Berbera, gli Stati Uniti sono stati diplomaticissimi e pragmatici. A Chisimaio operano le milizie del gen. Morgan (parente di Siad Barre) che non pongono alcun problema alla presenza economica USA. Gli Stati Uniti stanno dunque cercando di ottenere il massimo di concessioni petrolifere e la garanzia di poter continuare ad utilizzare la base navale di Berbera a danno delle altre potenze che partecipano all’operazione “Restore Hope” ma soprattutto dell’Italia che è quella che ha le migliori possibilità di “sistemare” in Somalia i propri interessi strategici.
La violenza e l’arroganza con cui le forze armate americane stanno gestendo l’occupazione militare di Mogadiscio devono impedire una prematura normalizzazione che rischierebbe di mettere tutte le potenze sullo stesso piano e dunque favorire l’Italia (occorre poi segnalare che anche la Germania ha sentito l’esigenza “umanitaria” di inviare le proprie truppe in terra somala).
Per l’Italia, dunque, non è solo un problema di orgoglio nazionale da far rispettare, né una più spiccata “sensibilità” per la vita della popolazione somala, ma è un test estremamente importante per verificare il proprio status di media potenza internazionale. Allontanarsi dalla trappola di Mogadiscio, come vorrebbe fare il governo italiano, dimostra che gli esperti strategici italiani hanno compreso la dinamica del conflitto in Somalia e il rischio insito nel continuare a combattere in un punto mentre la torta viene spartita e divorata in altri. Per queste ragioni costringere il governo italiano a ritirare il contingente militare dalla Somalia non sarà facile né breve. Sostenere con tutti i mezzi la resistenza somala diventa per questo sempre più urgente.