in Contropiano Anno 2 n° 1 – 20 gennaio 1994
Con l’accordo del 23 luglio ’93, sul costo del lavoro tra Governo, CGIL-CISL-UIL e Confindustria si è proceduto alla determinazione di un quadro di relazioni industriali il cui perno principale sono le Rappresentanze Sindacali Unitarie. Con l’accordo interconfederale del 31 dicembre scorso, che ne ha stabilito i termini e le modalità di realizzazione, le RSU entrano nella fase operativa. Anche nel Sindacato funzionerà il sistema maggioritario e il monopolio della rappresentanza.
L’ultima disciplina sulle rappresentanze sindacali nei posti di lavoro risale a 30 anni fa e nelle fabbriche da ormai 13 anni non vengono eletti i Consigli dei delegati.
In realtà l’impianto e le modalità di elezioni previste dal protocollo d’intesa con la Confindustria hanno trasformato quelle che avrebbero dovuto essere le nuove espressioni unitarie rappresentative dei lavoratori in uno strumento di perpetuazione del monopolio della rappresentanza da sempre detenuta dai sindacati cosiddetti maggiormente rappresentativi.
Non solo a CGIL-CISL-UIL viene riservato il 33% dei delegati che saranno nominati direttamente dalle OO.SS. firmatarie di contratto, ma la partecipazione alle elezioni da parte di altre associazioni sindacali viene subordinata alla raccolta del 5% di firme dei lavoratori interessati; inoltre, è richiesta una formale adesione al contenuto dell’accordo e la rinuncia a costituire la propria rappresentanza sindacale aziendale, con la perdita conseguente dei poteri previsti dallo statuto dei lavoratori (diritto di affissione, di assemblea, permessi, ecc.).
Insomma, un meccanismo con cui si precostituisce la maggioranza assoluta per i confederali, a cui basterà ottenere il 18% dei voti per avere il 51% dei delegati, e con cui si cerca di stroncare qualsiasi possibilità di esistenza per le strutture sindacali di opposizione. L’accordo d’altronde non affronta il problema della maggiore rappresentatività, cioè di chi è chiamato a stipulare i contratti nazionali, prerogativa ancora una volta attribuita a CGIL-CISL-UIL, né stabilisce un nesso tra le RSU elette sui posti di lavoro e le delegazioni abilitate alle contrattazioni nazionali.
Di fatto Confindustria e Sindacati tentano di mettere una pietra definitiva su un’era di lotte sindacali che, con alti e bassi, ha caratterizzato il conflitto sociale nel nostro paese, ma soprattutto sull’autonomia dei lavoratori che anche in anni non facili hanno saputo darsi strumenti partecipativi alternativi trovando nelle strutture sindacali indipendenti un punto di riferimento per contrastare le scelte di compatibilità collaborazionista con le politiche antipopolari dei nostri governanti, operate dai confederali.
CGIL-CISL-UIL stanno attraversando una crisi molto pesante: i provvedimenti di Amato prima e di Ciampi poi, il blocco dei contratti pubblici, la distruzione dello stato sociale, il pacchetto Cassese contro il P.I. hanno minato alla base la loro credibilità: le contestazioni dell’autunno del ’92, la perdita di migliaia di iscritti, il fallimento degli ultimi scioperi, la crescita delle strutture di base ne sono la dimostrazione più evidente.
Serviva quindi uno strumento – delimitato dalla gabbia dell’accordo sul costo del lavoro che ha vanificato la contrattazione decentrata e allungato di quattro anni la durata dei contratti nazionali – che ridasse una facciata di “democrazia”, di rinnovamento a un edificio ormai pericolante.
Uno strumento che permetta le elezioni sui posti di lavoro ma senza rischiare di perdere il potere e il monopolio sulla rappresentanza e sui diritti sindacali. Ed ecco allora le RSU: un mix tra criterio elettoralistico puro e criterio associativo aziendale, che riserva al sindacato firmatario di contratto, e cioè “maggiormente rappresentativo”, una parte determinante degli eletti e rassicura la Confindustria sul fatto che i contratti di lavoro non vengano rimessi in discussione in sede di contrattazione decentrata.
Da una parte si cede nel riconoscere al sindacato il diritto alla contrattazione aziendale, finora non sancito, dall’altra si ingabbia con regole che permettono di tutelare meglio le esigenze del padronato aumentando il grado di prevedibilità delle strutture di rappresentanza.
Viene risolta così anche l’anomalia dei Consigli dei delegati, come l’abbiamo conosciuta negli anni ’70, liberamente eletti dai lavoratori che riassumevano in sé la prerogativa degli organismi a legittimazione sindacale: da una parte agenti contrattuali, dall’altra strumento articolato di controllo del processo produttivo e canale di trasmissione delle istanze dei lavoratori, che non garantiva l’adesione alla disciplina di organizzazione riducendo il rischio che la contrattazione aziendale possa svolgersi in modo incontrollato e scoordinato con quanto stabilito a livello nazionale. A questo obiettivo di controllo risponde anche la clausola, contenuta nell’accordo del 23 luglio, per cui il diritto alla contrattazione è riconosciuto alle RSU, ma con l’assistenza dei sindacati territoriali! Giugni, Ministro del Lavoro, ha preparato un disegno di legge con il quale in pratica si recepisce l’accordo interconfederale, attribuendogli validità “erga omnes”, cioè per tutti. CGIL-CISL-UIL, che in principio erano tiepidi verso la legge, hanno cambiato atteggiamento: si sono resi conto che senza una legge di sostegno, un sindacato che si opponeva alle RSU e voleva mantenere la propria rappresentanza sindacale aziendale potrebbe farlo.
Inoltre, il progetto di legge Giugni stabilisce gli indicatori sulla rappresentanza sindacale per la maggiore rappresentatività; consistenza territoriale numerica, esercizio attivo della contrattazione collettiva, elevando di molto i criteri già vigenti nel Pubblico Impiego: per essere considerata maggiormente rappresentativa, un’organizzazione sindacale dovrà avere il 5% degli iscritti sul totale dei dipendenti del settore, o aver ottenuto il 10% dei voti nelle elezioni della RSU. Ma se CGIL-CISL-UIL già hanno per accordo il 33%, che valore può avere una normativa di questo tipo?
Come possiamo ben vedere, non si scappa – il monopolio della rappresentanza deve essere mantenuto a tutti i costi a favore dei confederali!
A questo proposito, forti perplessità esprimono giuristi e costituzionalisti: le proposte contenute nella legge sono considerate dubbie ed esposte ad obiezioni di incostituzionalità perché contrarie all’art. 39 della Costituzione. Qualcuno pensa già di riscriverlo!
L’AMBIGUITÀ DEI “CONSIGLI”. I SILENZI DI BERTINOTTI
Abbiamo dovuto registrare la quasi totale acquiescenza e la subordinazione a questo accordo dimostrato dal movimento dei Consigli di Fabbrica – che tanto ha coinvolto le anime belle della sinistra nell’autunno-inverno ’92-’93, – promotore del referendum per l’abrogazione parziale dell’art. 19 della legge 300 e il silenzio quasi totale degli esponenti di “Essere sindacato” che al massimo hanno elevato deboli critiche per bocca dei loro massimi esponenti. Cremaschi e Tibaldi, alla riserva del 30%.
In generale, hanno esaltato il “nuovo” che avanza anche nel sindacato, hanno giudicato le RSU strumenti di democrazia reale “dotati di forte autonomia” e di poteri contrattuali propri, dimenticando i limiti di ferro posti alla contrattazione aziendale dall’accordo del 23 luglio.
Come mai i contenuti di questo accordo, la riserva del 30%, non incrina la certezza della parte più democratica e di “sinistra” del sindacato confederale?
Non abbiamo sentito indicazioni di opposizione alle RSU neanche da Bertinotti, che pure sul recupero democratico dei lavoratori, sullo slogan “una testa un voto” aveva in passato condotto la sua battaglia congressuale nella CGIL.
C’è da pensare che l’accettazione delle RSU sia, per molti esponenti della sinistra sindacale, il prezzo da pagare al tavolo dell’unità delle sinistre.
Sia cioè un altro di quegli elementi che hanno portato Bertinotti alla candidatura a segretario di Rifondazione Comunista.
La CGIL non si tocca, dalla CGII non si esce, l’unità della CGIL sopra ogni altra cosa è il leitmotiv che abbiamo sentito ripetere per anni da Ingrao, dalla lobby del “Manifesto”, dai cossuttiani della Camera del Lavoro di Milano, Crippa in testa, da quell’area di forze, cioè, che oggi sta lavorando per costituire il polo progressista con Rifondazione e PDS.
In presenza di un quadro politico profondamente mutato, di nuove regole elettorali che modificheranno completamente l’assetto istituzionale, ma che in ogni caso, faranno pagare prezzi ancora più cari ai lavoratori.
L’operazione Bertinotti-Rifondazione si presenta con questo chiaro segno: un’operazione politicista, subordinata al PDS, che salta a piedi pari il problema della rappresentazione politica e sociale delle necessità dei lavoratori, dei disoccupati, dei giovani.
Si rinuncia a ricostruire la sinistra nella società, nei posti di lavoro, tra la gente riducendo scopertamente tutto a patteggiamenti elettorali in vista anche della possibile partecipazione al governo, un “governo progressista”, magari con Ciampi Presidente del Consiglio, che non potrebbe sopportare conflitti sociali.
Non meraviglia, in questa visione politica, il silenzio di “Essere sindacato” e del movimento dei consigli sulle RSU, né l’assenza dei problemi della democrazia sindacale dal dibattito sulla costruzione dell’unità delle sinistre.