in Contropiano Anno 2 n° 3 – 21 aprile 1994
Le elezioni politiche del 27 e 28 marzo, svoltesi con il nuovo sistema elettorale maggioritario, hanno visto una inquietante vittoria della destra. La rissosa coalizione di destra, con il 43% dei voti, ha ora la maggioranza assoluta in Parlamento. La coalizione progressista ha ottenuto i voti che aveva il PCI nei momenti migliori degli anni ’70 (34%). Se la destra ha vinto, perché i progressisti hanno perso?
Dalle elezioni italiane emerge un mutamento radicale ma prevedibile della situazione politica e sociale. La coalizione progressista, forte dei risultati elettorali di dicembre scorso in cui erano stati eletti sindaci “progressisti” a Roma, Napoli, Genova, Venezia e Trieste, puntava alla conquista del governo attraverso un accordo con il Partito Popolare – riesumando così un nuovo compromesso storico – e confermando Ciampi alla guida del paese.
La destra ha puntato invece alla conquista del potere con un programma che rovesciasse completamente gli attuali equilibri sociali e le scelte strategiche nell’economia e negli assetti istituzionali. La differenza tra “conquista del governo” e “conquista del potere” esiste: è una differenza di concezione nella lotta politica che spiega l’estrema determinazione con cui la destra ha impostato, condotto e vinto la campagna elettorale.
L’esperto del Pentagono, Edward Luttwak, ha sottolineato proprio in questi giorni “La predisposizione al fascismo generata dal capitalismo sfrenato” e spiega l’onda lunga della destra con la capacità dimostrata di riempire lo spazio rappresentato dall’insicurezza economica delle classi medie. “Questo è lo spazio che si spalanca di fronte a un rinnovato partito fascista proteso a rafforzare la sicurezza economica personale delle larghe masse composte da colletti bianchi”.
La destra, dunque, ha vinto perché ha individuato un blocco di interessi materiali (interessi di classe) da rappresentare politicamente contro gli altri interessi. Ma quale è oggi il blocco sociale su cui si regge l’egemonia della destra nella società italiana? Sui numeri precedenti di Corttropiano avevamo individuato nei settori di borghesia speculativa; nella piccola e media impresa; nei commercianti; nei ceti parassitari legati al clientelismo dei vecchi partiti oggi dissolti come DC, PSI, PSDI e infine, ma non per importanza, negli interessi della grande criminalità mafiosa rientrati in campo dopo le sconfitte subite nell’ultimo anno. Quella “massa critica” molto ampia in grado di esercitare un’egemonia reazionaria anche su vasti settori popolari delle grandi città del Nord e del Meridione.
La sintesi di questo progetto di destra che ha unificato forze politiche assai diverse tra loro come la Lega e Alleanza Nazionale, è stato il nuovo movimento politico Forza Italia creato pochi mesi fa da Silvio Berlusconi che ha saputo interpretare e rappresentare meglio di altri quella “insicurezza” della classe media segnalata da Luttwak e trasformarla in progetto politico.
Forza Italia ha in sostanza coperto lo spazio politico moderato che in passato veniva coperto dalla DC. Ha ottenuto circa 8 milioni di consensi strappando voti anche alla Lega e recuperando gran parte del vecchio elettorato della DC e del PSI.
Nella coalizione di destra ci sono anche dei contrasti politici ma vi è una sostanziale omogeneità di interessi materiali da difendere e rappresentare. Mai come oggi la piccola e media impresa (industriale, commerciale o finanziaria) ha condizionato le elezioni e gli equilibri politici. Sulla base della forza ottenuta nelle elezioni, adesso questa destra e il blocco sociale che rappresenta andranno a “trattare” con gli altri interessi forti. La grande industria e finanza – che non ha appoggiato la destra nelle elezioni e che avrebbe preferito una vittoria del centro – ha già fatto capire di essere disposta a trattare. “Il risultato elettorale è un passo avanti verso la modernizzazione del paese”, ha commentato il presidente della Confindustria. Dunque, il nuovo governo di destra cercherà un accordo con la grande industria e finanza per gestire un programma antioperaio e antipopolare fino in fondo che in qualche modo rinsaldi quell’alleanza che negli anni ’80 ha portato alla sconfitta la classe operaia.
Ma la mediazione tra gli interessi “forti” della industria e finanza e quelli emersi con il blocco di destra nelle elezioni, potrebbe rappresentare il vero punto di crisi del nuovo blocco di potere. La Confindustria, Mediobanca, le nuove aziende miste pubbliche-private vogliono relazioni industriali che mantengano l’asse stabilito con CGIL, CISL, UIL con gli accordi di luglio. Il “polo del lavoro” – come lo ha definito molto acutamente La Repubblica – non intende in alcun modo rimettere in discussione il patto neo-corporativo messo in piedi con quegli accordi, mentre i contrasti tra Confindustria e Confapi continuano ad alimentare quella guerra tra piccola/media industria e grandi imprese su cui sono prosperate la Lega e Forza Italia.
Il programma della destra è in sostanza la riproposizione della reaganomics liberista che dovrà però conciliarsi con interessi regionalisti, nazionalisti, razzisti e corporativi presenti nel blocco sociale che l’ha portata al potere. Il Sole 24 Ore del 29 marzo, metteva benissimo in evidenza le contraddizioni tra la base sociale/elettorale di Alleanza Nazionale e i programmi liberisti della Lega e Forza Italia. Diversamente, i contrasti tra Lega e Berlusconi hanno una caratteristica più “politica” che sociale essendo queste due forze espressione del medesimo blocco di interessi.
Ma un programma di offensiva strategica contro le conquiste dei lavoratori, i diritti sociali e le libertà politiche e sindacali, avrà bisogno di un esecutivo molto forte e di una mediazione solida con gli interessi della grande industria e finanza. È un obiettivo non impossibile ma che ancora non è stato raggiunto. Confindustria, Mediobanca, il grande capitale finanziario internazionale vuole avere in mano le redini e le regole del gioco e Berlusconi queste garanzie ancora non è in grado di offrirle. Nel frattempo, il governo di destra dovrà misurarsi con le modifiche della Costituzione e varare un nuovo sistema elettorale ancora peggiore di quello semi-maggioritario appena introdotto in Italia.
Per queste ragioni, non si può escludere che in Italia si torni a votare assai presto e in condizioni assai vantaggiose per la destra economica e politica più feroce.
Se la destra ha vinto, perché i progressisti hanno perso?
La coalizione progressista, sta ora discutendo le ragioni della sconfitta e le scelte da fare. Ma una riflessione approfondita e razionale di questa vittoria della destra ancora non è emersa. I candidati progressisti hanno vinto nelle regioni centrali dell’Italia (Emilia, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo), hanno tenuto in aree dell’ex “triangolo industriale” come Torino e la Liguria o in “isole-meridionali come la Calabria, ma nel resto del paese la destra ha dilagato, confermando che l’Italia si configura sempre più come un paese profondamente disuguale.
Schematizzando, possiamo individuare alcuni fattori di questa sconfitta, del progetto del polo progressista ampiamente prevista dalla sinistra più realista.
- L’illusione di poter utilizzare l’onda lunga dei risultati delle elezioni locali di dicembre che avevano invece messo in evidenza una crescita della destra a livello sociale che raccoglieva la dissoluzione della DC e del PSI e un malessere vendicativo quanto diffuso.
- Non aver individuato – a differenza della destra – un blocco di interessi materiali e di classe da rappresentare politicamente. La “marcia al centro” del PDS ha annichilito il rapporto con i lavoratori e i settori popolari e non ha funzionato come elemento di attrazione verso le classi medie. L’aver riproposto Ciampi come futuro premier di un governo di coalizione tra progressisti e centristi (il nuovo compromesso storico): l’aver messo in campo economisti e ministri del ‘liberismo dal volto umano” non poteva certo rappresentare una vera alternativa al liberismo della destra.
- Aver accettato e collaborato al nuovo sistema elettorale maggioritario è stato, come era prevedibile, un suicidio per la sinistra. Il referendum del 18 aprile ’93 per la modifica della legge elettorale si era manifestato come un vero e proprio plebiscito reazionario di massa. Ma il PDS, i Verdi, Alleanza Democratica avevano appoggiato questo referendum e le modifiche della legge elettorale, salutandolo come una grande “vittoria progressista”.
Secondo lo storico Paul Ginsborg, anche la “questione morale”, cioè il ruolo di denuncia contro la corruzione del sistema politico svolto in passato dal PCI/PDS, non ha più funzionato: ”La sinistra non aveva più il monopolio dell’indignazione morale“, ha rilevato Ginsborg. “Non ha capito che l’effetto Di Pietro poteva (molto) tradursi in voti per Gianfranco Fini”. Occhetto ha visto la sua ipotesi di governo subire una pesantissima sconfitta, ma non sembra trarne le dovute conclusioni. Anzi, in una recente intervista a Repubblica, ha ribadito di aver cercato l’accordo con la ex DC per dare vita a un governo di compromesso storico. “Ho chiesto a Martinazzoli (segretario della ex DC, Nella R) la disponibilità a dichiararsi per un governo con la sinistra”. Non solo, ma rinnovando la tradizione “politicista”, il PDS si trastulla ancora sui contrasti tra le forze politiche della destra, sperando che da esse emerga uno spazio per il proprio recupero e sottovalutando completamente il fatto che i contrasti “politici” – se non corrispondono a contraddizioni reali di interessi di classe – non possono aprire alcuno spazio reale per una ripresa della sinistra nel nostro paese.
Rifondazione Comunista, se da un lato ha ottenuto un decente bottino elettorale (grazie anche all’appoggio ricevuto da una buona parte della sinistra di classe), dall’altro non ha sciolto le contraddizioni che la tengono inchiodata al bivio (vedi Contropiano di gennaio) tra la scelta di una autonomia politica e strategica legata alle contraddizioni di classe e la subalternità politica al progetto “progressista”. Se non si indaga a fondo sulla realtà di classe del nostro paese e non si individuano i “nervi scoperti” su cui far ripartire movimenti di massa autonomi e fortemente conflittuali, non ci sarà alcuno spazio né alcun ruolo per una sinistra all’altezza della sfida lanciata dalla destra.
È un nodo gordiano che va tagliato assai rapidamente.