In piazza, il 25 aprile e il 1° maggio
in Contropiano Anno 2 n° 3 – 21 aprile 1994
Le elezioni sono state vinte non dalla destra ma dalle destre, cioè da un coacervo di tematiche e di obiettivi differenziati, conservatori, regressisivi e reazionari, che hanno conquistato una vasta fascia di voto popolare e che, pur non superando il 42%, grazie all’antidemocratico sistema maggioritario, voluto cocciutamente e masochisticamente dal PDS, hanno fatto il «pieno di parlamentari» e si sentono autorizzati a operare un «golpe» istituzionale per garantirsi un durevole regime.
Ma c’è un tratto unitario e dominante nel successo delle destre? I milioni di lavoratori, pensionati e giovani che hanno votato per le destre vogliono forse il fascismo, un regime autoritario, lo smembramento dell’Italia, un attacco feroce al lavoro dipendente e alle condizioni di vita dei meno abbienti? Certamente no. Ciò che ha determinato la sconfitta progressista sta in un elemento di «sinopia capitalistica» che ha fatto breccia in tanti settori popolati: l’illusione che lo Stato, e in generale il «pubblico», sia un intralcio al «libero sviluppo dell’economia», che privatizzando tutto e lasciando totale spazio all’iniziativa privata, rifiorirà e ci sarà reddito per tutti. Mentre le «privatizzazioni» provocano disastri crescenti e in tutti i luoghi, miseria e corruzione, questa «utopia capitalista» ha sfondato proprio in Italia.
Ma se questo è l’elemento base del «vento di destra», allora essa era già imperante sotto la guida Craxi, a partire dai primi anni ’80, dopo la distruzione dei fondamenti del «decennio rosso»: ed esso è, da anni, accettato anche nel fronte progressista.
Il PDS ha sposato da tempo la strategia della privatizzazione, della logica dei sacrifici per le masse popolari, del taglio netto allo stato, o meglio al salario, al sociale, al fine di rilanciare lo sviluppo capitalista. Il PDS è da tempo convinto di poter governare solo facendo proprie tutte le richieste del capitalismo italiano e coartarlo a esse i salariati. A Berlusconi che prometteva un milione di posti di lavoro, il PDS ha replicato che era un sogno, che le masse popolari dovevano aspettarsi ancora tagli ai servizi sociali, contratti e salari bloccati, accordi come quelli di luglio e altri governi Ciampi.
Invece di replicare che non uno ma due milioni di posti di lavoro avrebbe creato il nuovo governo progressista, riducendo drasticamente l’orario di lavoro, introducendo tagli socialmente necessari, garantendo comunque un lavoro-reddito a tutti, la maggioranza progressista si è collocata, socialmente, a destra non solo delle classi socialdemocratiche europee ma anche al programma politico clintoniano. Avrà così forse conquistato – come dice Occhetto – la maggioranza della «borghesia colta», ma ha perso milioni di voti popolari e giovanili: e ciò nonostante i parziali sforzi di Rifondazione che, Bot o non Bot, non ha saputo o potuto ribaltare l’impostazione da «sinistra del capitale». Il PDS ha perso per sua esclusiva colpa una battaglia che preparava da un ventennio.
UN COMPITO STORICO
La sinistra italiana deve convincersi che può riprendere a vincere solo scrollandosi di dosso l’egemonia che il filo-capitalismo del PDS ha esercitato e vorrebbe continuare a esercitare su di essa. L’area dell’autorganizzazione, dell’autogestione, dell’anticapitalismo ha il compito storico di portare tutta la sinistra italiana a guasto riscatto, alla riconquista dell’egemonia ideale e politica sulla trasformazione del nostro paese.
La sinistra anticapitalista ha le carte in regola per questo. Ha un programma che, oltre un lungo elenco di importanti altri obiettivi, si fonda sulla drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e ritmi lavorativi, sul lavoro-reddito garantito, sulla difesa-riqualificazione del «pubblico», sulla riconquista-rigenerazione del territorio; e contro l’oligarchismo, la mediocrazia, il potere ducesco, il razzismo, contro i «maggioritari» di ogni tipo – sulla rivendicazione e valorizzazione delle differenze di sesso e di razza, sulla rivendicazione pluridecennale di autogestibile potere trasformativo della democrazia di base, diretta, popolare. Anche noi vogliamo modificare la Costituzione. Ma intendiamo inserire massicce dosi di democrazia diretta, consiliare, sovietista.
Intanto, milioni di italiani si oppongono, con ogni mezzo, ai «golpe» istituzionali che fascisti, leghisti e regressisti di ogni risma stanno preparando: e noi saremo carne, nervi e muscoli di questa sollevazione popolare.
A tal fine, è il momento che l’intera area dell’autorganizzazione, dell’autogestione, dell’anticapitalismo organizzato, politicamente, sindacalmente e socialmente, vada a far fronte comune e pur mantenendo le diverse identità organizzate, stabilisca un programma comune e un’alleanza organizzativa, elastica ma efficace: e a tal proposito, riteniamo che si debba arrivare, in tempi ragionevolmente brevi, a un appuntamento nazionale che discuta termini e modalità di questo processo.
UN PROGRAMMA ALTERNATIVO
Saremo in piazza il 25 aprile a Roma e il primo maggio in molte città. Invitiamo caldamente a riflettere sull’inutilità di mettersi in piazza per un puro rituale rivolto al passato, a capire che va combattuto il diffondersi di un movimento di massa di destra: per far ciò servirà un programma sociale alternativo e non bastano citazioni, pur doverose, sull’Olocausto e gli orrori del ventennio. La pura riproposizione del fronte progressista, in nome della difesa della Costituzione, non attenuerebbe di un grammo il peso della sconfitta elettorale. Una manifestazione, che si ponga come principale obiettivo di vedere insieme i Martinazzoli e i La Malfa e magari, come ha chiesto Barbera, addirittura il nemico numero uno Berlusconi, non farebbe i conti con la perdita di interi strati sociali popolari che, anche nell’urna, hanno respinto il programma sociale dei progressisti.
Non si tratta di chiamare a raccolta il ceto politico, ma di rendere centrale, per tutta la sinistra, ciò che già da tempo caratterizza l’intervento dell’autorganizzazione: potenziare, riportare a sinistra e garantire rappresentanza politica all’antagonismo e al conflitto sociale.
Coordinamento nazionale Cobas, Radio Città Aperta, Francesco Babusci (FLMU-Cub), Piero Bernocchi (Cobas scuola), Pier Paolo Leonardi (Rdb Cub), Vincenzo Miliucci (Cobas energia), Minimo Teramo (Cobas Tlc)