da Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro. Un contributo al dibattito
Nel discutere e nello scrivere questo documento siamo stati spinti dalla necessità di trovare un quadro unitario al lavoro che stiamo facendo per individuare una prospettiva valida.
Avevamo ed abbiamo anche la coscienza che le cose scritte hanno valore soprattutto come elemento di discussione e di dibattito, e non certo come verità assoluta. Siamo stati purtroppo edotti dalia storia di questi ultimi anni sulle difficoltà immani che esistono per chi ha “l’ardire” di lavorare per la trasformazione di questa società.
Su una cosa però pensiamo di avere le idee chiare e cioè che è impossibile credere di ricostruire una prospettiva senza tentare continuamente di mantenere un “filo rosso” che non divida la parte del lavoro teorico e di analisi dalla pratica politica concreta.
Sul crinale teoria/prassi ci capita spesso di vedere una continua divaricazione.
Da una parte i “praticoni” che puntano solo al risultato politico contingente, che spesso coincide con quello istituzionale, e che magari pensano di coprire la loro natura con posizioni apparentemente di sinistra.
L’esempio più immediato che ci viene è quello del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista che mantiene tutte le etichette necessarie ma che in realtà si basa essenzialmente su quel ceto politico che si riproduce solo e sempre in cattività, ovvero a livello istituzionale.
Dall’altra troviamo chi, invece, rimane fermo sui principi ma si dimentica della dialettica che nel marxismo è un elemento ineludibile.
Per cui ci sembra che questi compagni, di fronte alle difficoltà enormi che oggi esistono, rispondono rifugiandosi nei giusti principi i quali però non vengono collocati nella concretezza delle cose perché su questa, loro stessi, hanno rinunciato di fatto ad operare per modificarla.
In questo modo si rischia di scambiare i propri riferimenti per la realtà, di irrigidirsi nelle proprie visioni e soprattutto di trovarsi, magari senza accorgersene, lontani dall’obiettivo posto cadendo così nel dogmatismo e nel settarismo.
Dicendo che, tutto sommato, comprendiamo più i secondi piuttosto che i primi, vogliamo comunque affermare che, per quanto difficile, l’obiettivo principale è quello di non rompere mai il “filo rosso” di cui abbiamo parlato.
Affermiamo questo con forza e convinzione perché la nascita di “Contropiano’’ ha origine proprio da questo tipo di dialettica che ha portato ad un forte scontro, ed a delle separazioni, nella nostra struttura organizzata.
Prima con una tendenza, che potremo definire dogmatica, che pretendeva di risolvere sul piano organizzativo, alla ricerca di garanzie inesistenti, i problemi posti da un passaggio politico difficilissimo come quello di questi ultimi 3/4 anni.
Periodo che è stato vissuto drammaticamente da lutti i comunisti.
Poi con una tendenza “pragmatica” che ci proponeva di scioglierci in una generica sinistra subordinata di fatto a quelli che oggi si definiscono “i progressisti”.
Diciamo questo perché quando parliamo dei “Comunisti”, della “rappresentanza politica di classe” e della “rappresentanza sociale organizzata” intendiamo sicuramente piani di lavoro separati a causa delle condizioni politiche generali attuali. Cioè quello che prima era unificato, la teoria, l’adesione politica di massa e l’egemonia nelle strutture sindacali e sociali, in questa contingenza storica vive in modo separato.
A questa sistematizzazione concettuale corrisponde però una pratica che di fatto non vede una separazione vera, netta tra questi livelli.
Ovvero dobbiamo sapere dell’importanza della ricostruzione di un punto di vista solido teoricamente e forte nell’analisi, ma questo processo di ricerca non può essere assolutamente separato da un ruolo che bisogna avere sia sul piano politico contingente che su quello sociale.
E’ su questo difficilissimo equilibrio, sulla capacità di individuare le FASI politiche da affrontare e le scelte concrete da fare che si può riacquistare nel tempo un ruolo rispetto ai lavoratori ed alla società nel suo complesso.