da Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro. Un contributo al dibattito
In questa fase storica ci troviamo più che mai a fare i conti con la divaricazione tra le condizioni oggettive imposte dalla realtà e le capacità soggettive dei comunisti di farvi fronte.
La situazione oggettiva presenta forti contraddizioni di classe sia in Italia che a livello planetario, ma i comunisti italiani appaiono disgregati, disorientati, disorganizzati. in alcuni casi subalterni all’egemonia riformista oppure rinchiusi su miniipotesi settarie e dogmatiche. La ricostruzione di un punto di vista comunista e di un partito conseguente appaiono non solo necessari ma rafforzati dallo sviluppo delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico. Ma affermare un punto di vista comunista sulla crisi, sui rapporti sociali ed internazionali che ne derivano significa innanzitutto rinnovare la rottura profonda e radicale con l’opzione riformista.
I riformisti hanno molti difetti, ma hanno il pregio di partire sempre dalle condizioni oggettive spesso drammatizzandole oltre il dovuto per avanzare strategie e programmi che vengono presentati sempre come il “meno peggio”, come ”l’unica soluzione possibile” per non dover mai presentare la soluzione più avanzata come alternativa alla crisi.
La relazione di Lucio Magri al congresso di Rifondazione Comunista è esemplare: estremo pragmatismo, massimo allarmismo, soluzione più arretrata (cioè integrazione nel polo progressista) come unica strada possibile. E’ la scuola di pensiero di Ingrao il padre dell’opportunismo di sinistra in Italia. Oggi questa cultura politica è egemone sulla sinistra neocomunista ed ostacola la riaffermazione di un punto di vista comunista.
L’esito del congresso di Rifondazione Comunista ha permesso al riformismo di mantenere l’egemonia su gran parte delle forze del movimento di classe. L’esistenza di questo partito si sta rivelando come una ipoteca sulla ricostruzione di un livello politico e teorico più avanzato di riorganizzazione dei comunisti italiani e rappresenta anche la “quadratura del cerchio” rispetto all’egemonia ingraiana. Dentro questo quadro non pensiamo che il compito dei comunisti possa essere ancora quello di tirare per la giacca i partiti riformisti ma sia, piuttosto, quello di riconquistare la propria autonomia politica, teorica, progettuale ed anche organizzativa .
Se però non vogliamo limitarci alla declamazione e alla mera enunciazione di principii, si pongono a questo punto alcuni interrogativi :
1) Perché, nonostante le condizioni oggettive favorevoli e tradizioni politico/teoriche consolidale, non si è ancora riusciti a rinnovare una ipotesi rivoluzionaria e di classe nel nostro paese. Molti compagni riducono questo problema alla presenza di una “egemonia revisionista” sul PCI ieri e su Rifondazione Comunista oggi, alla egemonia riformista sul sindacato e sulle organizzazioni di massa. Ma la categoria e l’esistenza del revisionismo non bastano a spiegare questa situazione così come, a nostro avviso, non sono state sufficienti a spiegare la perestrojka, Gorbaciov e la dissoluzione dell’URSS. In realtà ci sembra che manchi una analisi vera della composizione di classe nel nostro paese, del suo nuovo ruolo nella divisione internazionale del lavoro e del processo di ricomposizione di un blocco sociale reale (e non mitologico) capace di riaprire contraddizioni antagoniste con il blocco sociale avversario.
2) Nonostante vari tentativi effettuati in questi anni, non si è riusciti a dare vita ad un polo organizzato dei comunisti nel nostro paese. E’ solo a causa di un eccesso di personalismo dei compagni che pure hanno maggiori capacità politiche? Oppure è colpa solo di un eccesso di autosufficienza di ogni singola esperienza politica (riviste, circoli, gruppi organizzati ecc.)? E’ per la scarsa omogeneità dei gruppi o dei compagni che pure si richiamano all’esperienza storica del movimento comunista e al marxismo-leninismo?
Il problema, secondo noi. risiede piuttosto nella mancanza della necessaria dialettica tra condizioni oggettive e ruolo soggettivo dei compagni cioè nella incapacità dei comunisti di saper trasformare le contraddizioni in organizzazione, di dare una direzione politica ai conflitti e ai movimenti sociali che si esprimono nella realtà, infine, ma non per importanza, di ridefinire una sintesi strategica e teorica sulla base di una indagine effettiva e non mitologica della realtà sociale e di classe nel nostro paese e nei rapporti internazionali.
L’attitudine spesso meramente descrittiva e meccanicistica verso i processi (crisi capitalistica, disoccupazione, licenziamenti ecc.) o il ruolo di testimonianza sulle questioni generali a cui non si dà seguito sul piano politico, organizzativo, materiale, hanno molto spesso confinato i comunisti in un molo fortemente marginale. A questo spesso si accompagna un altro fattore che va discusso e, tendenzialmente, rimosso: la subalternità che produce l’entrismo nei partiti riformisti o nei sindacati ufficiali. Molti compagni confondono la militanza in Rifondazione o nella CGIL con il “lavoro di massa” (e qualche volte con le “masse” stesse) in realtà lo trascurano o lo confondono completamente. Il richiamo alle indicazioni di Lenin in questo senso non rischia di diventare solo liturgia ma rischia anche di coprire una subordinazione che porta alla rassegnazione e può rivelarsi alla lunga una ambizione che porta ai carrierismo burocratico negli apparati politici e sindacali.
Sono molti i compagni che sono entrati in Rifondazione Comunista o nella CGIL nel tentativo di spostarne l’asse politico verso una linea marxista-leninista e di classe, ma i risultati concreti di anni e anni di tentativi ci dicono che questa strada si è rivelata perdente e per molti aspetti fuorviante. Ha privato ipotesi di classe di energie e di quadri e ne ha assorbiti molti troppi – nell’illusione che una mozione di minoranza o una battaglia generosa potessero avere un peso politico decisivo nell’orientamento di Rifondazione Comunista o della CGIL. I fatti ci dicono che questa strada è inservibile e che occorre definirne di nuove.
La situazione attuale sta riaprendo un ampio spazio sociale che può rivelarsi un ampio spazio politico per i comunisti. I riformisti – anche con la spregiudicata operazione dentro Rifondazione Comunista – si vogliono affrettare a chiuderlo facendosi forza dei dati oggettivi come il nuovo sistema elettorale e il pericolo di un governo di destra.
La situazione ci presenta però uno scenario da esaminare con rigore :
Nei punti alti dello sviluppo capitalistico si manifestano profonde contraddizioni sociali ed internazionali. L’euforia del dopo ‘89 ha dovuto cedere il passo alla recessione economica, alla instabilità del nuovo ordine mondiale imperialista, a contrasti crescenti tra i maggiori poli imperialisti. La ripresa economica capitalista procede in modo disuguale e non sarà in grado di creare ricchezza, né di ridurre la disoccupazione né di ricorrere ai meccanismi di protezione sociale per mediare i conflitti.
Stiamo entrando in una fase di pesante instabilità delle economie capitaliste e della loro egemonia mondiale.
L’egemonia riformista sul movimento operaio è ancora forte, ma è attesa al varco da verifiche pesanti sul piano delle scelte economiche e politiche. La subalternità dell’Italia agli organismi finanziari, politici, militari sovranazionali non solo priva il nostro paese della sovranità nazionale e di autonomia nelle scelte strategiche ma riduce anche i margini di manovra nell’adottare scelte che riducano i conflitti e le tensioni sociali interne.
Le strettoie imposte dal nuovo sistema elettorale e dalla fittizia polarizzazione dello scenario politico tra progressisti e destra modifica le forme di rappresentanza politica/istituzionale ma non cambia la sostanza dei rapporti sociali di produzione né gli istituti di potere effettivo che li sanzionano.
Se ci limitassimo ancora una volta ad un ruolo di testimonianza oppure ritenessimo questo sufficiente a definire il nostro spazio politico e la nostra autonomia dal riformismo, non faremmo alcun passo avanti né sul piano strategico né quello della credibilità di un progetto comunista alle soglie del Duemila. Piuttosto abbiamo la necessità, anzi il dovere, di definire la dialettica tra riaffermazione dei principi della teoria marxista con la pratica leninista dentro la realtà del conflitto di classe.
Oggi la ricostruzione di un punto di vista comunista non può che essere elaborato “dall’alto” cioè dalla sintesi teorica e strategica che potrà emergere solo sullo sforzo collettivo ed unitario dei gruppi comunisti esistenti e in formazione. Occorre socializzare – al livello più alto possibile – sforzi, analisi, risultali di inchieste realizzate nelle varie realtà, intuizioni, esperienze specifiche e generali accumulate in questi anni da decine di compagni.
L’internazionalismo è l’altro elemento decisivo sia per la definizione di un punto di vista comunista che per il suo rafforzamento obiettivo nella realtà italiana. Non si tratta solo della solidarietà internazionalista ma della necessità di acquisire l’esperienza accumulata dalle forze rivoluzionarie in altri paesi, di collegarsi con queste realtà, di interagire con esse nella ricostruzione di un fronte antimperialista mondiale capace di affrontare questa fase storica e la dimensione fortemente internazionalizzata del dominio capitalista.
Ma sintesi teorica ed internazionalismo devono assumere un carattere dialettico con la realtà oggettiva e non convertirsi in nuovi “talmud” che ostacolano lo sviluppo dinamico del nesso tra teoria e prassi.
Non basta ribadire la nostra identità di comunisti, occorre rinnovarla e concretizzarla ponendola in relazione con una capacità reale e non declamatoria di essere avanguardie di classe tra i lavoratori, i disoccupati, i settori popolari della metropoli. Questo lavoro di massa, di ricomposizione di un blocco sociale antagonista e di direzione politica, o lo svolgono i comunisti oppure sarà la destra ad esprimere una egemonia anche sulle contraddizioni e sui settori popolari.
Il riformismo non lo battiamo solo sul piano ideologico ma anche sulla capacità di dare al movimento di classe una direzione più avanzata e più adeguata alla posta in gioco.
Con il nuovo sistema elettorale e la conseguente ipoteca riformista sulla rappresentanza politica delle forze della sinistra, vogliono costringerci ad un ruolo subalterno e ad accettare come terreno prioritario l’elettoralismo.
In questo senso occorre ribadire con forza l’autonomia di classe rispetto alle esigenze del capitale nella crisi. I discorsi sugli “interessi generali del paese” (asse trainante del vecchio e del nuovo riformismo) sono una trappola per i lavoratori. Questa tesi sull’autonomia di classe appare fondamentale per avviare qualsiasi processo rivoluzionario nei punti alti dello sviluppo capitalistico e alla vigilia di fortissime tensioni tra le potenze capitaliste che sono emerse in questo che è stato il più lungo ciclo di accumulazione capitalistica dalla seconda guerra mondiale.
In primo luogo la presenza e la direzione dei comunisti nel movimento sindacale, dei disoccupati, dei senza casa è fondamentale. Ciò significa anche costruire nuove organizzazioni di massa (sindacali, sociali ecc.) e non limitarsi al dissenso dentro quelle esistenti.
In secondo luogo occorre tenere conto che esiste un vasto tessuto di avanguardie di classe politicizzate ma non marxisti-leninisti. Vi è la necessità di distinguere il rapporto e il confronto con questi compagni sia da quello esistente nelle organizzazioni di massa sia da quello esistente in un partito di comunisti. Appare necessario, piuttosto, dare vita ad un movimento politico di massa che gestisca sul piano politico le lotte sociali e sindacali, quelle per le libertà politiche ed antimperialiste.
In terzo luogo esiste il problema dell’organizzazione dei comunisti che è ben distinto dai primi due. E’ infatti realistico pensare ad un partito dei comunisti solo se riuscirà ad aggregare quei settori di compagni che fondano la loro analisi e la loro azione politica sul materialismo dialettico. Non esistono, infatti, mille modi di essere e di agire da comunisti. Se appare ancora difficile la ricostruzione di un partito dei comunisti in Italia, diamo vita ad un “Forum dei comunisti” che avvìi una fase di confronto, elaborazione teorica ed iniziativa politica generale comuni e prepari il terreno ai passaggi successivi nella direzione della costituzione del partito.
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Immagine in evidenza: Shirts for sale in Vientiane, Laos
Autore: Adrian Fleur
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