Relazione per il convegno internazionale di Roma, 14 novembre 1998
Rete dei Comunisti
A gennaio del prossimo anno, buona parte delle risere auree e valutarie delle banche nazionali degli 11 paesi aderenti all’Unione Monetaria, prenderanno la strada per Francoforte e si andranno a depositare nei caveau della Banca Centrale Europea. Anche simbolicamente questo gesto sancirà un nuovo equilibrio nelle relazioni internazionali.
Dopo quasi trenta anni di tentativi (dalla fine degli anni sessanta) l’Europa sta dando vita ad un nuovo polo imperialista. E’ un polo in competizione con gli altri due (quello americano intorno agli Stati Uniti e quello asiatico intorno al Giappone) nella spartizione del mercato mondiale.
I rapporti di forza attuali
Unione Europea | Stati Uniti | Giappone | |
% PIL mondiale | 20,4 | 20,7 | 8,0 |
% export mondiale | 14,7 | 15,2 | 6,1 |
% emissioni obbligazionarie | 34,5 | 37,2 | 17,9 |
% riserve valutarie | 25,8 | 56,4 | 7,1 |
% transazioni valutarie | 35,0 | 41,5 | 12,0 |
Quota di obbligazioni finanziarie in circolazione
1981 | 1992 | 1995 | |
Dollaro | 52,6% | 40,3% | 31,2% |
Valute europee | 20,2% | 33,0% | 37,1% |
Quota nei portafogli privati mondiali
1981 | 1992 | 1995 | |
Dollaro | 67,3% | 46,0% | 39,8% |
Valute europee | 13,2% | 35,2% | 36,9% |
Tassi della produzione e degli investimenti
AREA del NAFTA | STATI UNITI | CANADA | ||
1988 | 1997 | 1988 | 1997 | |
Produzione | 4,7 | 5,6 | 5,9 | 6,2 |
Investimenti | 2,4 | 57,9 | 9,8 | 11,4 |
UNIONE EUROPEA | GERMANIA | FRANCIA | ITALIA | |||
1988 | 1997 | 1988 | 1997 | 1988 | 1997 | |
Produzione | 3,9 | 4,6 | 5 | 4,8 | 6 | 2,2 |
Investimenti | 4,4 | 0,2 | 9,6 | 0,2 | 6,9 | 0,6 |
La produzione industriale dei primi 20 paesi del mondo
(in miliardi di dollari, dati 1994)
Area Nafta | Europa | Asia | |||
Stati Uniti | 1.496 | Germania | 777 | Giappone | 1.836 |
Canada | 154 | Francia | 373 | Cina | 245 |
Messico | 106 | Italia | 318 | Corea del Sud | 162 |
Brasile | 216 | Benelux | 159 | Indonesia | 72 |
Argentina | 85 | Austria | 67 | Thailandia | 56 |
Svezia | 59 | India | 82 | ||
Gr. Bretagna | 326 | ||||
Totale Nafta | 1.756 | Totale Europa | 1.753 | Totale Asia * (prima della crisi del ‘97) | 2.453 |
+ Bra e Arg. | 1.857 | +Gr.Bretagna | 2.079 |
I principali esportatori industriali in tre settori strategici
(in miliardi di dollari)
Prodotti chimici | Macchinari e mezzi di trasporto | Beni strumentali e telecomunicazioni |
Germania | 68,55 | Germania | 85,05 | Giappone | 106,61 |
Stati Uniti | 61,70 | Giappone | 80,68 | Stati Uniti | 97,99 |
Francia | 36,39 | Stati Uniti | 52,51 | Singapore | 60,32 |
Gr.Bretagna | 33,22 | Canada | 43,94 | Gr.Bretagna | 36,61 |
Giappone | 30,12 | Francia | 33,42 | Hong Kong | 34,05 |
Chi domina il commercio mondiale
(% sulle esportazioni mondiali visibili e invisibili)
Esportazioni di beni | Esportazioni di servizi |
Nafta | UE | Asia | Nafta | UE | Asia | ||||||
USA | 11,95 | Germ | 10,83 | Giapp | 8,88 | USA | 16,59 | Fra | 9,66 | Giapp | 10,93 |
Can. | 3,93 | NL-B | 6,86 | Cina | 2,65 | Can. | 1,45 | NL-B | 9,52 | Singa | 1,71 |
Mex | 1,65 | Fra | 5,59 | Corea | 2,55 | Mex | 0,59 | Gr.Br | 9,25 | H.K. | 1,58 |
Gr.Br | 4,97 | Taiw | 2,29 | Germ | 7,77 | Corea | 1,21 | ||||
Italia | 4,79 | Malay | 1,53 | Italia | 4,19 | Cina | 1,03 |
Secondo il terzo rapporto su ” L’economia globale e l’Italia” curato da Mario Deaglio, le società statunitensi sono quelle che si sono avvantaggiate di più della crisi asiatica acquisendo a man bassa società di paesi asiatici (Corea, Thailandia etc.). In questo modo, il valore delle società statunitensi – sulle principali 1.000 società del mondo indicate da Business Week – è passato dal 45 al 53,7% del valore mondiale.
Il mercato azionario mondiale
(il quadro delle Borse alla fine del 1997)
Paese | Numero delle società quotate | Capitalizzazione delle Borse * | Percentuale del PIL |
Stati Uniti | 8.559 | 19.496 mld | 139% |
Giappone | 2.334 | 3.697 mld | 50% |
11 Paesi Euro | 2.769 | 4.859 mld | 44% |
15 paesi UE | 5.926 | 9.352 mld | 66% |
di cui : | |||
Germania | 699 | 1.403 mld | 38% |
Gran Bretagna | 2.456 | 3.800 mld | 163% |
* in miliardi di dollari
L’impatto dell’euro nelle relazioni internazionali
Quale sarà l’impatto dell’Euro sulle relazioni internazionali ? La moneta unica e la Banca Centrale Europea possono creare il mercato finanziario più grande del mondo eliminando il rischio di cambio tra le varie valute europee e unificando le regole per il funzionamento dei nuovi soggetti finanziari come gli investitori istituzionali (fondi pensioni, assicurativi etc.) ancora poco sviluppati in Europa ma dominanti nelle economie delle altre aree economiche (Americhe ed Asia). Si calcola che già oggi il 58% del valore delle borse mondiali sia nelle mani di questi fondi.
Ma l’esistenza di un’unica area valutaria e di una nuova moneta forte nelle transazioni internazionali produce anche altri effetti :
- L’Euro si appresta a diventare la valuta di riferimento per gran parte dell’Europa dell’Est e del Maghreb. Ciò porta al consolidamento di una “area di influenza” dell’imperialismo europeo.
- In un recente vertice tenutosi a Venezia, una ventina di compagnie petrolifere (tra cui l’ENI italiana, gran parte delle compagnie francesi, le compagnie dell’Iran e dell’Arabia Saudita, financo una statunitense), hanno ventilato la possibilità di stabilire il prezzo del barile di petrolio in euro e non più in dollari;
- L’esistenza di un’unica area valutaria consente alle multinazionali europee di coordinare i costi del loro giro d’affari nell’area europea. Questo dato non è irrilevante se teniamo conto che il tra il 60 e il 76% del mercato industriale e tra il 72 e l’84% del mercato dei servizi delle multinazionali tedesche, francesi, olandesi ed inglesi è all’interno dell’area europea (su questo vedi i dati nel capitolo sulle multinazionali).
Il processo di concentrazione monopolistica in Europa.
Il processo è cresciuto velocemente dopo l’Atto Unico europeo del 1986 e poi con la liberalizzazione dei mercati europei nel 1992. Da allora abbiamo assistito al boom delle privatizzazioni, delle fusioni e delle concentrazioni in tutti i settori..
Secondo la banca d’affari americana J.P. Morgan, solo nel 1997 in Europa ci sono state privatizzazioni per 53 miliardi di dollari soprattutto nel settore delle telecomunicazioni e dei servizi (il 56%)..Solo l’Italia – nel 1997 – ha realizzato privatizzazioni per 20 miliardi di dollari.
Nel 1996 fusioni e acquisizioni in Europa sono state pari a 280 miliardi di dollari I dati sulla prima metà del ‘97 parlano di una soglia di 296 miliardi di dollari già raggiunta. Di questi, fusioni e acquisizioni per più di 50 miliardi sono state realizzate da società tedesche.
Resta ancora aperto l’enorme mercato della previdenza sociale e delle prestazioni sanitarie. Quando sarà avviata la privatizzazione anche in questo settore – e in Italia è ormai solo questione di tempo – il processo di dominio del capitale finanziario sull’intera economia sarà completo.
Tra le prime sessanta società europee nella produzione di beni strumentali, elettronica, informatica e macchine automatiche, telecomunicazioni, trasporti e chimica :
20 sono tedesche; 11 sono francesi; 10 inglesi; 5 svedesi; 3 olandesi; 3 svizzere; 2 italiane; il resto di altri paesi.
Le prime dieci società europee in cinque settori industriali strategici
Beni strumentali | Elettronica ed elettrotecnica | Informatica e automazione | Telecomunicaz. | Trasporti |
Thyssen | ABB | Siemens | DeutscheTelek. | Deutsche Bahn |
Mannesman | Electrolux | Philips | France Telecom | Lufthansa |
Hoesch-Krupp | Schneider | Alcatel A. | STET | SNCF |
BTR | AEG | R. Bosch | British Telephon | British Airway |
Metallgesels. | Bosch Siemens | Gen. Electric | Telefonica | Air France |
Man | Electrowatt | Thomson | Schweizer. Tel. | P&O Steam |
Tetra Laval | Osram | Ericsson | PTT Nederland | KLM |
Finmeccanica | Miele | IBM Germania | Cable &Wireless | SAS |
AGIV | Hilti | IBM Gr. Bret. | U.P.T. | British Railway |
BICC | SEB | Nokia | Telia | Swissair |
Le prime società della chimica-farmaceutica
Società | Paese di origine | Fatturato (in marchi) |
Smithkline | USA/Gran Bretagna | 48 mld. |
Novartis (1) | Svizzera | 47 mld. |
Hoechst (2) | Germania | 46 mld |
Bayer | Germania | 41 mld |
Basf** | Germania | 36,2 mld |
Unilever** | Olanda/Gran Bretagna | 31,8 mld |
Dow Chemical | Gran Bretagna | 29,8 mld |
ICI | Gran Bretagna | 26,3 mld |
Rhone Poulenc | Francia | 23,5 mld |
Roche | Svizzera | 21 mld |
(1) Nata dalla fusione tra le multinazionali svizzere Ciba e Sandoz(2) La Hoechst ha ceduto la chimica classica alla svizzera Clariant AG nata dalla svizzera Sandoz. Acquisendo il 45% delle azioni della Nuova Clariant, la Hoechst ha superato la Basf.** Il riferimento è alla sole attività nella chimica delle società indicate.
Gli investimenti di capitale europei all’estero sono in crescita
Gli investimenti diretti esteri di capitali europei all’estero sono rilevanti (all’est, in Asia) sia come portafoglio che come delocalizzazione produttiva. Nelle filiere mondiali di produzione e nella nuova divisione internazionale del lavoro, le multinazionali con origine europea si competono apertamente i mercati (anche alleandosi) con le multinazionali statunitensi e giapponesi. Parallelamente agli investimenti di capitali “produttivi”, sono cresciuti anche gli investimenti finanziari delle banche.
I crediti delle banche sui mercati emergenti
(in miliardi di dollari)
Banche | Asia | America Latina | Europa dell’Est |
Germania | 41,7 | 31,3 | 49,3 |
Francia | 38 | 21,1 | 6,4 |
Italia | 4,2 | 10,9 | 6,6 |
TOTALE : | 83,9 | 63,3 | 62,3 |
Gran Bretagna | 26,4 | 16 | 1,8 |
Stati Uniti | 34,2 | 66,5 | 9,3 |
Giappone | 118,3 | 15,4 | 4 |
Sul terreno invece più classico delle esportazioni di merci, il dominio della Germania non sembra avere rivali, soprattutto nei nuovi mercati dell’Europa dell’Est.
quote % nelle esportazioni di Germania, Italia e Francia verso l’Est
Germania | Italia | Francia | |
Repubblica Ceca | 63,2 | 9 | 7,9 |
Slovacchia | 59 | 17,8 | 6 |
Ungheria | 53,9 | 16,1 | 7 |
Polonia | 49,7 | 13,7 | 7,5 |
Romania | 39,4 | 27,7 | 12,9 |
Bulgaria | 32,7 | 15,4 | 7,3 |
Totale Europadell’ Est (*) | 52,7 | 14,5 | 7,9 |
(*) Esclusa la ex URSS
La “fortezza Europa” e gli altri poli imperialisti
Da una analisi del giro di affari delle multinazionali, emerge però un dato che contrasta la tesi un pò mistica della “globalizzazione senza frontiere”. Infatti per le multinazionali europee, il mercato interno e quello nell’area europea, rappresentano ancora la stragrande maggioranza della loro attività. Si comprende bene allora cosa possa significare avere una unica moneta ed un unico mercato aperto – di fatto trasformato in mercato interno – come quello europeo.
Sulle prime trentadue multinazionali europee, 26 hanno più del 50% del fatturato all’esterno del loro paese di origine e solo 11 hanno più del 50% dei loro dipendenti all’estero.
Secondo uno studio condotto da due economisti inglesi Paul Hirst e Grahame Thompson, la realtà che emerge è appunto quella della “fortezza Europa” internazionalizzata soprattutto al suo interno e molto meno nelle altre aree. Ma questo fenomeno non è solo europeo : anche per le multinazionali statunitensi e giapponesi, il mercato interno o al massimo quello di “area” (Nafta e America Latina per quelle USA, Asia per quelle giapponesi) è ampiamente maggioritario.
Il mercato delle multinazionali europee
Servizi | Industria | |||
mercato interno | mercato europeo | mercato interno | mercato europeo | |
IMN francesi | 69% | 15% | 45% | 31% |
IMN tedesche | 65% | 13% | 48% | 27% |
IMN olandesi | 47% | 28% | 12% | 50% |
IMN inglesi | 62% | 10% | 36% | 24% |
Rapporto tra il mercato della “fortezza Europa” e il resto del mondo
Mercato europeo | Resto del mondo | |||
Servizi | Industria | Servizi | Industria | |
IMN francesi | 84% | 76% | 16% | 24% |
IMN tedesche | 78% | 75% | 22% | 25% |
IMN olandesi | 75% | 62% | 25% | 38% |
IMN inglesi | 72% | 60% | 28% | 40% |
Da questi dati – che gli stessi autori invitano però a maneggiare con cautela vista la difficoltà ad esaminare con precisione i bilanci delle società multinazionali, emergono :
- la centralità del mercato interno europeo per le principali multinazionali europee;
- la maggiore internazionalizzazione – o meglio integrazione – delle società inglesi con l’economia statunitense rispetto a quella europea;
- la necessità dell’internazionalizzazione per economie con un mercato interno ridotto come quello olandese rispetto ai paesi con un mercato interno più vasto come Francia e Germania.
Le maggiori multinazionali
(in miliardi di dollari)
Statunitensi | Europee | Giapponesi | |||
Società | Fatturato | Società | Fatturato | Società | Fatturato |
General Motors | 132 mld | Royal Dutch Shell | 98 mld | Toyota | 79 mld |
Exxon | 103 mld | Daimler Benz | 63 mld | Hitachi | 61 mld |
Ford | 100 mld | BritishPetroleum | 59 mld | Matsushita | 57 mld |
IBM | 65 mld | Volkswagen | 56 mld | Nissan | 50 mld |
General Electric | 62 mld | Siemens | 51 mld | Nippon T.T. | — |
I giganti del credito
(attività in miliardi di dollari, 1996)
Statunitensi | Europee | Giapponesi | |||
Banca | Attività | Banca | Attività | Banca | Attività |
Citicorp-Travelers | 697 mld | UBS-SBS | 590 mld | Bank Tokio-Mitsubishi | 647 mld |
ChaseManhattan | 365 mld | Deusche Bank | 570 mld | Sumitomo B. | 486 mld |
— | Bayerische Hypo Bank | 478 mld | Dai-Ichi K. | 454 mld | |
— | Credit Agric. | 477 mld | Fuji Bank | 453 mld | |
— | Dresdner B. | 361mld | Sanwa Bank | 447 mld |
Un altro aspetto che sarebbe interessante approfondire è una sorta di “nazionalismo” nel controllo delle società multinazionali europee. Una analisi della nazionalità dei membri dei Consigli di Amministrazioni (o dei Consigli di Sorveglianza come si chiamano in Germania), ci porterebbe a scoprire che l’elemento “nazionale” è ancora predominante. Certo i padroni non hanno e non amano frontiere per i loro profitti, ma è un dato che comunque deve far riflettere.
Tredici delle trentadue principali multinazionali europee, hanno la totalità dei membri dei CdA della nazionalità del paese di origine; una sola (la Philips) vede dirigenti nazionali e stranieri dividersi a metà il CdA; un’altra (la Alcatel-Alshtom) vede 10 stranieri su 24 membri del CdA; per le altre la quota di stranieri oscilla tra il 10 e il 20%.
Anche il recente caso della fusione tra la tedesca Daimler Benz e la statunitense Chrysler, ha visto predominare la componente “tedesca”, il che ha creato seri problemi. Ovviamente non problemi di “nazionalità” ma di bilancio perchè la nuova società è stata registrata in Germania dove le imposte sulle società sono più elevate che negli USA. Wall Street non ha gradito e le quotazioni della nuova società sono scese.
Competizione e concertazione con gli altri poli imperialisti
Il rapporto tra il nascente polo europeo con gli altri due poli della triade imperialista (USA, Giappone) è sicuramente di competizione. Secondo l’economista statunitense Martin Feldstein (ex capo dello staff economico di Reagan e di Bush) l’avvento dell’Euro potrebbe addirittura portare alla guerra tra USA ed Europa. E’ curioso sottolineare come anche l’ex cancelliere tedesco Khol, un anno prima di Feldstein avesse dichiarato che “L’integrazione economica europea era una questione di pace o di guerra nel XXI Secolo”.
Ma al di là di questi toni che nonostante l’autorevolezza di chi ha rilasciato tali dichiarazioni ma che comunque appartengono a forze oggi non al governo negli USA e in Germania, motivi di ccompetizione esistono e sono reali.
Le recenti tensioni tra Europa e Stati Uniti sul rapporto di cambio tra dollaro ed euro (dal quale dipenderanno sia i nuovi equilibri sui mercati finanziari sia l’andamento delle rispettive bilance commerciali), le conseguenze sull’economia europea della crisi generale in Russia in cui emergono con forza responsabilità del FMI e degli USA, o l’uso sistematico delle crisi geopolitiche nei Balcani come contraddizioni gettate contro l’Europa, sono esempi concreti di una competizione ormai abbastanza evidente.
Fa discutere in queste settimane il progetto di fusione tra Aereospatiale (Francia), British Aerospace (Gran Bretagna) e Dasa (Germania) e forse Finmeccanica (Italia), per dare vita ad un polo della produzione militare, aereonatutica ed aereospaziale per la competizione con i colossi statunitensi in un mercato strategico sul piano economico, tecnologico e geo-politico.
Ma questa competizione coesiste con un rapporto di collaborazione “trasversale” tra le transanazionali europee e statunitensi. Le fusioni e gli incroci azionari sono numerosi sulle due sponde dell’Atlantico. Se mettessimo mano solo al settore delle telecomunicazioni e dell’informazione, ci inoltreremmo in un ginepraio di accordi reciproci in cui sarebbe difficile distinguere la “nazionalità” dei capitali in gioco. Parallelamente però in un altro settore emergente come quello delle biotecnologie, la competizione è molto più marcata su base nazionale anche perchè gli investimenti di capitale sono elevati (e c’è dunque bisogno del sostegno dello “Stato”) e le società non negano di voler mantenere il predominio mondiale nel settore.
Infine occorre sottolineare come questo rapporto di competizione e concertazione ha le sue “stanze di compensazione” per le mediazioni e i compromessi necessari nelle organizzazioni sovranazionali del capitale finanziario (FMI, OCSE, OMC, BRI, vertici del G7, la stessa ONU). In queste sedi, i conflitti commerciali hanno trovato fino ad oggi il modo di essere discussi e risolti senza bisogno della guerra come è avvenuto per ben due volte nel XX Secolo.
A nessuno è sfuggito che le ultime riunioni del FMI, dell’OCSE e del G 7 siano state piuttosto turbolente. La crisi economica internazionale è vera e profonda, soprattutto perchè una crisi irrisolta che si trascina dai primi anni ’70 (è una vera crisi di sovraccumulazione di capitali di cui la bolla speculativa finanziaria è la rivelazione più evidente) e vede appunto ambizioni contrastanti tra il polo europeo e quello statunitense.
La stessa recente decisione del G 7 di varare un fondo di salvataggio nel FMI è oggetto di conflitto. Del resto è chiaro che se questo fondo viene utilizzato per “salvare il Brasile” ma non per “salvare la Russia” significa che si vuole intervenire per limitare i danni nell’area di influenza degli USA (Brasile e America Latina) ma non nell’area di influenza del polo europeo (Russia e Europa dell’Est). Così come è chiaro che i soldi per “salvare” il Messico nel ’95 e la Corea del Sud nel ’97 sono stati trovati mentre il FMI ha fatto il “muso duro” con la Russia.
L’Europa, l’imperialismo e il ruolo dello Stato
“La borghesia viene spinta a percorrere tutta la superficie terrestre dalla necessità di uno smercio sempre più largo. Ovunque deve introdursi, ovunque deve impiantarsi, ovunque deve intrecciare relazioni. Grazie allo sfruttamento del mercato mondiale essa ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con gran disappunto dei reazionari ha privato l’industria del suo fondamento nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state o sono giornalmente annientate. Vengono rimpiazzate da industrie nuove, la cui introduzione diventa una questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più materie prime locali, bensì materie prime importate dalle zone più lontane e i cui prodotti non vengono consumati esclusivamente nel paese ma dappertutto nel mondo”.
(Karl Marx : ” Il Manifesto del partito comunista”, 1848)
“Tipico “padrone” del mondo è già diventato il capitale finanziario, che è particolarmente mobile e flessibile, particolarmente intrecciato all’interno del paese e internazionalmente, particolarmente spersonalizzato e staccato dalla produzione diretta, particolarmente di facile concentrazione e, in particolare, già fortemente concentrato, di modo che letteralmente alcune centinaia di miliardari e milionari hanno nelle loro mani le sorti del mondo intero”. (1)
“La tendenza imperialistica ai grandi imperi è assolutamente realizzabile e viene in pratica realizzata spesso sotto forma di alleanza imperialistica tra Stati autonomi indipendenti in senso politico. Quest’alleanza è possibile e si configura non solo sotto la forma di fusione economica dei capitali finanziari dei due paesi,ma anche sotto forma di una “cooperazione” militare nella guerra imperialista”. (2)
(V. I. Lenin : (1) “La Pravda” 21 gennaio 1927; (2) ” Zviesdà”, ottobre 1916)
Esistono molti iconoclasti nella sinistra europea ed alcuni si definiscono anche comunisti, ma le categorie di Marx e Lenin ci sembra che colgano ancora meglio di altre la sostanza dell’imperialismo e si rivelino ancora insuperate. L’imperialismo – è bene sottolinearlo – non è una politica commerciale particolarmente aggressiva nè l’ostentazione degli strumenti militari, l’imperialismo è uno stadio particolare dello sviluppo capitalistico ed a questo stadio ci sembra che le principali economie europee e gli “Stati finanziariamente più forti” ci siano arrivate da tempo.
Nell’epoca di Lenin – nonostante la compiutezza di un mercato mondiale – la base statuale-nazionale del capitalismo era ancora dominante. Nei rapporti finanziari era dominante la banca mista che aveva sostituito le Borse per il reperimento dei capitali e il capitale finanziario era strettamente legato allo Stato (il capitalismo monopolistico di Stato).
Oggi l’imperialismo non è più organizzato sulla base dello Stato nazionale ma su poli dentro cui si coordinano vari Stati tendenzialmente sempre più omogenei sul piano economico, finanziario, valutario. Ed è errato ritenere che gli Stati non abbiano più una funzione determinante.
Lo Stato si è allargato a livello regionale (L’Europa) ma mantiene la sua funzione di sostegno politico ed economico all’accumulazione capitalistica sia attraverso la politica fiscale e di bilancio, sia attraverso la politica commerciale ed internazionale verso le altre aree e gli altri poli imperialisti.
Ad esempio Francia ha impedito l’approvazione dell’AMI in sede OCSE, anche se è vero che dallo stesso FMI erano venuti inviti espliciti a frenare alla liberalizzazione totale dei capitali alla luce della crisi finanziaria internazionale in corso dal 1997.
La funzione dello Stato nell’imperialismo dipende innanzitutto della natura dello Stato : esistono Stati “disgreganti” (forti) e Stati “disgregati” (deboli).
- La funzione degli Stati Uniti rispetto all’area del NAFTA è evidentemente una funzione centralizzatrice ed egemonica sia nei confronti degli altri paesi integrati nel blocco (Messico, Canada) sia nei confronti dell’area di influenza del blocco stesso (America Latina).
- In questo quadro non possiamo sottovalutare la funzione degli Stati Uniti nelle “terre di nessuno” (oggetto aperto di competizione e spartizione economica e geo-politica) come l’Africa o l’area petrolifera dell’Asia centrale. L’Africa -ad esempio – resta il teatro di uno scontro aperto tra Stati Uniti e Francia dal quale però potrebbe avvantaggiarsi una nuova stagione del pan-africanismo che sembra trovare soprattutto nell”Africa centro-meridionale (Congo, Angola, Zimbabwe, Sudafrica) le forze soggettive per affermarsi come modello alternativo allo scenario neo-coloniale degli ultimi decenni.
- Il Giappone non ha la stessa forza centralizzatrice e disgregante degli Stati Uniti. Non solo non ha una capacità di egemonia complessiva sul resto dell’Asia (pur mantenendo una solidissima penetrazione economica) ma deve competere con un nascente Stato forte come la Cina che ha dimostrato di avere ormai un ruolo strategico per la stabilità economica dell’Asia. Nè può essere trascurato il peso di una media potenza nucleare come l’India. Senza dubbio è l’Asia l’area in cui le contraddizioni economiche e geo-politiche si vanno accumulando con maggiore violenza.
- Il polo imperialista europeo – pur seguendo un processo che rimane più complesso – vede crescere la sua funzione centralizzatrice intorno all’asse franco-tedesco e la sua funzione disgregatrice verso l’Europa dell’Est (dalla crisi jugoslava, alla deflagrazione dell’URSS, alla secessione ceco-slovacca).
Si rivela ancora forte un limite di questo processo : in Europa è andata avanti la centralizzazione economica ma non è andata avanti quella politica. La Gran Bretagna si muove ancora molto più in sintonia con gli USA con la UE (vedi i negoziati sull’agricoltura, sulla Legge Helms Burton, sulla politica militare che contraddicono gli orientamenti del resto della UE). La Gran Bretagna nel recente vertice in Austria ha rilanciato la questione della difesa europea all’interno della NATO proprio per acutizzare le contraddizioni tra Francia (che non vuole la NATO ) e la Germania (che vuole invece un sistema di difesa europeo legato alla NATO). La questione politica viene utilizzata come contraddizione nella costituzione del polo europeo.
Ma la funzione determinante dello Stato nell’imperialismo non si limita agli aspetti geo-politici e della conquista dei mercati internazionali. Anche sul piano dell’accumulazione e del mercato interno, la funzione dello Stato si conferma decisiva in settori fondamentali.
- La scienza, intesa come forza produttiva – anche se i suoi risultati vengono monopolizzati dal profitto privato – richiede forti investimenti di capitale e possibilità di ammortizzazione dei costi che ancora oggi possono essere assicurati solo dallo Stato;
- La formazione del capitale umano adeguato e funzionale alle nuove esigenze della accumulazione flessibile, è un compito che viene svolto in larga parte dallo Stato. La gestione di scuole, università, centri di formazione privatizzano la riproduzione e la gestione del comando (l’insegnamento) ma continueranno ad affidare i costi sociali allo Stato;
- La stabilità del mercato interno continua a vedere un ruolo centrale dello Stato. Anche se le privatizzazioni hanno via via ridotto la presenza statale nell’economia, l’andamento dei flussi della domanda interna richiedono ancora e massicciamente l’intervento statale senza il quale, il “mercato” si è dimostrato incapace di assicurare i margini di profitto all’accumulazione capitalistica. La vicenda della rottamazione delle automobili, i progetti di cablaggio delle grandi aree metropolitane, la ristrutturazione delle reti energetiche e l’estensione di quelle dei trasporti, dimostrano che i padroni in realtà vogliono ” più Stato per il mercato”.
Conclusioni
Queste riflessioni sulla struttura economica e sul ruolo dello Stato nella costituzione del polo imperialista europeo, ci portano ad una questione che è tutta politica. Dopo anni di dominio e politiche neoliberali, in questi mesi, abbiamo assistito all’affermazione in tredici paesi su quindici dell’Unione Europea di forze politiche e governi socialdemocratici o di compromesso tra forze centriste e forze socialdemocratiche. Il modello neoliberale ha dovuto fare i conti con i limiti e le contraddizioni storiche che produce nell’accumulazione capitalistica. Per affrontare le conseguenze di questo modello il capitalismo ha necessità di riavviare politiche economiche neo-keynesiane che rilancino la domanda interna, assicurino la stabilità politica e disinneschino il conflitto sociale. In questo senso, sbagliano tragicamente quei compagni che ritengono che le forze socialdemocratiche al governo in Europa possano invertire la tendenza in corso. Esse sono perfettamente intercambiabili con quelle neoliberali, anzi, la loro strategia coincide in modo assai più funzionale alle esigenze della accumulazione capitalistica in questa crisi. L’imperialismo non può essere contrastato e sconfitto dal riformismo ma solo da una strategia di trasformazione radicale dei rapporti sociali e del modo di produzione. Sta in questo il difficilissimo compito dei comunisti europei chiamati a lottare e ad agire politicamente nel “cuore” del polo imperialista europeo.
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Immagine in evidenza: European flags at La Défense in Paris
Autore: ALEXANDRE LALLEMAND, 5 luglio 2021
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