dal Documento Politico per l’Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti, Roma, 23 marzo 2002
1. I TRE “FRONTI”
Nel progetto possibile si verifica la capacità di trasformare una posizione analitica e culturale in forze concrete che agiscono e crescono. Enunciata però questa “verità”, la difficoltà con cui fare i conti è quella di entrare nel merito delle questioni e rapportarsi nel modo giusto rispetto all’obiettivo politico che in questa fase storica ci possiamo porre.
Prima di questo compito vanno tratteggiate alcune condizioni nelle quali riteniamo di agire da alcuni anni e che, allo stato, non sono sostanzialmente modificate.
Alcuni anni fa siamo partiti nel processo di ridefinizione di una soggettività comunista da un dato di fatto che ci sembrava fosse evidente dopo la sconfitta. L’effetto di questa non era stato solo di carattere concreto con la dispersione e la riduzione dell’ “esercito” sconfitto ma aveva tra l’altro distrutto la capacità di egemonia e di rappresentazione dei comunisti; ciò ha prodotto anche una disorganicità e scomposizione degli ambiti portanti della lotta di classe, cioè di quello ideologico/culturale, di quello politico e di quello sociale/sindacale/vertenziale. Di fronte a questa disarticolazione del conflitto di classe ipotizzammo la necessità di procedere con una ricostruzione che tenesse conto di questa anche sul piano organizzativo. Ravvisammo perciò la necessità di costruire tre ambiti organizzativi diversi, avendo però ben presente che l’obiettivo ultimo era sempre quello di riconnetterli strategicamente nella ricostruzione di una forza che esprimesse una diversa visione del mondo da quella del capitale.
È ancora valida quella impostazione?
È realistico sostenere diverse ipotesi organizzative non in contraddizione sul piano strategico?
Nella conclusione della prima parte di questo documento abbiamo scritto che si stanno modificando alcune condizioni che ripongono all’ordine del giorno il superamento del capitalismo, almeno in termini di esigenza oggettiva. Ciò sicuramente modifica la situazione rispetto a dieci anni fa, ma non al punto di reinnestare un processo di ricostruzione e di sintesi. Rimane, infatti, ancora valida, secondo il nostro punto di vista, la diversa condizione che vivono comunisti e le esigenze politiche di massa. Mentre sono chiari i contenuti democratici e riformisti “forti” del movimento di massa reale e potenziale (ci riferiamo al movimento No Global o alle esigenze di ampi settori sociali, quali, ad esempio, i disoccupati ed i precari, oltre ai lavoratori dipendenti) appare chiaro che i comunisti non solo devono ridefinire una strategia rispetto alle nuove condizioni storiche in cui agiscono, ma è anche evidente che il movimento di massa oggi non ha i caratteri strategici di rottura sociale radicale propri della identità comunista.
Non rispettare questi caratteri, che allo stato sono una condizione oggettiva, può produrre un doppio danno.
Sul versante del movimento il danno consiste nell’introdurre elementi che lo possano indebolire, piegandolo alle esigenze non “oggettive” dal punto di vista della coscienza possibile dei movimenti di massa reali attuali. Sul versante dei comunisti spingendoli ad una modifica che, in una fase di forte debolezza strategica, potrebbe cambiare alcuni caratteri fondanti di una prospettiva di classe e comunista. Naturalmente c’è un nesso non tattico tra il livello di conflitto politico ed una prospettiva di tipo comunista, ma se questo nesso non rispetta le condizioni date rischia di divenire una contraddizione.
La situazione italiana ed il dibattito interno nella fase precongressuale del PRC, in qualche modo, sono una verifica di questa nostra visione e del rischio di far divenire antagonista una contraddizione “in seno al popolo”.
Anche sul piano sindacale bisogna aver presente questa condizione, in quanto una visione non sufficientemente “oggettiva” della condizione del mondo del lavoro spinge a forzature che potrebbero portare, alla fine, al rafforzamento della gestione sindacale riformista. Ciò in quanto verrebbero messe in primo piano tattiche politiche “esterne” al progetto di ricostruzione effettiva dello strumento di difesa dei lavoratori; strumento che è l’obiettivo, per noi, più avanzato politicamente da raggiungere date le condizioni generali odierne.
Riteniamo, perciò, ancora valida l’ipotesi di lavoro che punta non ad una sintesi “egemonica” di questi livelli oggettivi dello scontro di classe ma ad un rapporto dialettico tra questi, tanto difficile da raggiungere quanto inevitabile.
Naturalmente tale condizione la concepiamo soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese, dove la scomparsa del PCI, che invece ha sintetizzato quei livelli per decenni, ha creato una condizione storicamente nuova con la quale misurarci. Sul piano europeo avvisiamo, invece, l’esigenza di allargare l’analisi ed il confronto sia con chi vive condizioni simili alla nostra sia con chi mantiene un forte legame sociale ed una capacità di orientamento generale, come accade ancora, ad esempio, in Grecia.
Questa condizione oggettiva di disarticolazione, prodotta da una fase di arretramento generale, può essere oggi modificata da una capacità soggettiva?
Per quanto riguarda la Rete dei Comunisti, la scelta fatta è stata quella di lavorare tenendo conto della differenziazione dei tre livelli, pur nei nostri limiti politici e organizzativi.
Non possiamo però ignorare che esiste in Italia il PRC che, invece, potrebbe modificare questa condizione di diversificazione ed avere capacità di sintesi più avanzate. Non ci interessa dare giudizi né aprire polemiche, però ci sembra di poter rilevare che mentre sul piano direttamente elettorale il PRC non solo ha superato la prova del 13 maggio ma ha anche un forte peso nel movimento anticapitalista attuale, sugli altri piani non dimostra una altrettanta forza, vitalità e progettualità. La questione della “Rifondazione Comunista”, ad esempio, è rimasta al palo delle intenzioni iniziali, il nodo sindacale invece di sciogliersi si sta sempre più complicando ed il rapporto con la società, cioè con il blocco sociale, di fatto è mediato dal solo livello istituzionale in una condizione di incapacità organizzativa del partito. Queste non sono questioni di secondo piano e, seppure le condizioni politiche permettono una fase di tenuta, il problema di sciogliere alcuni nodi strategici rimane, a dieci anni dalla fondazione, una questione irrisolta. Certo questa irrisolutezza può essere dovuta alle contraddizioni interne avute in questi anni nel gruppo dirigente del PRC; a noi, però, sembra molto realistico pensare che questi siano il risultato di un approccio tutto “politico” che non tiene conto della condizione generale che si manifesta nella difficoltà che ha il partito (di massa?) di organizzare le relazioni sociali vere e stabilizzate oltre ad una strategia più definita dei comunisti. In questo approccio ravvisiamo ancora una continuità, seppure in forme diverse, con la linea istituzionale e riformista propria della sinistra italiana e della sua fase “decadente” negli anni ’70 e ’80.
Per ritornare all’inizio di questo capitolo, date le condizioni in cui operare, si tratta di individuare l’obiettivo politico prioritario. Tale obiettivo rimane quello deH’accumulo delle forze sul piano teorico, su quello politico e su quello sociale, avendo ben presente che la condizione per lo sviluppo quantitativo è la qualità ed il livello delle elaborazioni e delle posizioni che siamo in grado di esprimere.
2. LA RETE DEI COMUNISTI
Ribadiamo la necessità di una condizione organizzata dei comunisti che in questa fase non può essere quella del partito, ma che si muove nel senso della costruzione di una soggettività complessiva.
Definita la direzione politica è chiaro che al primo posto nella costruzione della soggettività c’è il lavoro teorico, nei modi che abbiamo cercato di esporre nella prima e seconda parte del documento, tenendo conto dei limiti che si possono avere.
Poiché la ricostruzione di un punto di vista e di una organizzazione comunista parte “dall’alto”, è evidente che questo lavoro non può essere fatto dalla sola Rete, non lo abbiamo mai pensato, ma in relazione con altre strutture e compagni, anche se diversamente organizzati da noi. Sappiamo quanto pesa la concretezza delle condizioni organizzative e la diversità della storia delle varie componenti e singoli compagni, ma riteniamo che ci siano ora tutte le condizioni per allargare al massimo il confronto e le relazioni sulla base di un lavoro di “rifondazione” effettiva. In questo senso ci sentiamo impegnati a stabilire e consolidare, laddove è possibile, tutti quei rapporti a livello nazionale che vanno verso una visione della realtà non dogmatica, ma che mantenga ben ferma la prospettiva della trasformazione sociale ed il ruolo dei comunisti dentro questa.
Naturalmente rimane centrale nella nostra concezione la visione internazionale e la solidarietà con i popoli e le organizzazioni comuniste, o anticapitaliste, in lotta contro l’imperialismo; ribadiamo, pertanto, la centralità politica e concreta di questo impegno. Assume però un particolare rilievo la dimensione 33 europea che, con la nascita dell’euro e con i progetti di unificazione politica, assumerà sempre più il ruolo di uno Stato sovranazionale. Già oggi si vedono gli effetti economici, sociali e politici e nel prossimo futuro tenderanno ad aumentare.
La dimensione europea diviene perciò uno specifico ambito progettuale in cui vanno stabiliti e consolidati i rapporti tra comunisti. In questo senso ci stiamo muovendo da tempo, nelle relazioni bilaterali, con varie organizzazioni e partiti comunisti europei. A Luglio 2001 abbiamo promosso un incontro, a Torino, in cui abbiamo proposto la costituzione di una sede stabile di confronto politicotematico a carattere europeo. Questa proposta rappresenta per noi un primo passo verso una dimensione nuova che nessuna organizzazione, sia piccola sia grande, può più ignorare o rimuovere dal proprio ambito di lavoro.
La Rete si pone come soggetto attivo rispetto allo sviluppo del confronto teorico e politico, delle relazioni nazionali e dello sviluppo della prospettiva europea dei comunisti, ritenendo queste funzioni fondamentali per la costruzione di un soggetto di classe.
Chiaramente, la Rete si pone anche il problema delle relazioni sociali e politiche che bisogna stabilire, cioè di un rapporto di massa che tenga conto del contesto generale descritto in precedenza nel quale i comunisti possano avere una funzione di costruzione attiva e di orientamento. Blocco sociale antagonista e mondo del lavoro sono i “referenti” di un tale lavoro, e su questo abbiamo più volte espresso il nostro orientamento.
Dentro la situazione attuale, però, esprimiamo la convinzione che ancora una volta, date le condizioni politiche, sociali e culturali, è proprio necessariamente la contraddizione capitale/lavoro nei luoghi della produzione, nelle sue forme moderne, il punto di resistenza e di ripresa del conflitto di classe effettivo, seppure espresso al suo livello vertenziale.
Una ripresa progettuale dei comunisti, pur avendo come obiettivo uno sviluppo generale del conflitto antagonista, deve partire dal confronto diretto tra capitale e lavoro nelle sue varie rappresentazioni e realtà conflittuali.
3. IL SINDACATO
Il conflitto di classe più diretto, quello determinato dalla estrazione di pluslavoro, rimane il terreno dove l’esigenza dell’antagonismo si esprime necessariamente, anche tenendo conto della “camicia di forza” sociale-culturale-politica che è stata costruita sul piano generale. È proprio in questo contesto che si conferma uno spazio strategico importante. Infatti se un lavoratore di un paese capitalista avanzato è considerato anche consumatore, e dunque da tenere entro un livello socialmente medio di consumi, in quanto produttore le cose sono ben diverse. La pressione della competizione globale, e dei processi di finanziarizzazione, infatti, genera una spinta alla ristrutturazione nei settori produttivi fortissima. Quando parliamo di settori produttivi ci riferiamo sostanzialmente a quelli che esistono nel nostro Paese e, dunque, erogazione complessivamente di servizi, anche pubblici, ma anche di attività direttamente industriali, per quanto ne rimane nell’attuale sistema.
Questa pressione complessiva si manifesta in un peggioramento delle condizioni di lavoro, che significano sostanzialmente incremento sempre maggiore di produttività. Ciò avviene attraverso ristrutturazioni tecnologiche ed aumento della quota di salario accessorio, modifica del rapporto di lavoro e ricatto del licenziamento, esternalizzazione e crescita del lavoro autonomo di ultima generazione, privatizzazione, appalti fino alla diffusione forte del lavoro atipico, lavoro nero coperto dalla disoccupazione e dal secondo lavoro, da forme di lavoro a cottimo generalizzato.
Siamo di fronte ad una modifica qualitativa della condizione della forza lavoro che mantiene, naturalmente in modo sempre più diversificato, i livelli di consumo ma peggiora le sue condizioni di lavoro immediate e di prospettiva; ciò anche attraverso, ad esempio, la privatizzazione e finanziarizzazione della spesa pensionistica, del TFR, ecc. Questo processo non è reversibile ed è la base della persistenza di un conflitto di classe a carattere vertenziale, specifico, anche settorializzato, che però pervade tutto il mondo del lavoro. Quello che sta accadendo nelle compagnie aeree in Europa è significativo, in quanto settori di lavoro dipendente qualificato, e a reddito certamente non basso, vengono travolti da processi di ristrutturazione di carattere continentale, che hanno come obiettivo quello di limitare il numero delle compagnie aeree, perdendo così ogni garanzia e costringendo i dipendenti a fornire le loro prestazioni lavorative in condizioni normative e salariali peggiori. Come, d’altra parte, non è senza significato che i livelli di conflittualità sindacale aumentano, nonostante il calo generale delle ore di sciopero, nei grandi servizi a rete e nel settore pubblico, oggetto proprio delle ristrutturazioni causate dalla competizione economica.
Lo scontro di classe, seppure in forme non direttamente politiche, riprende e si articola in tutto il corpo del mondo del lavoro, seguendo percorsi conflittuali diversi ma che partono da una stessa radice. La pericolosità di questo conflitto si vede nelle misure che vengono prese per limitarlo e che non sono di carattere economico ma essenzialmente giuridico. La limitazione, fino aH’annullamento di fatto, del diritto di sciopero, l’obbligatorietà della firma ai contratti nazionali di categoria per avere le agibilità sindacali, la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, le sempre più pesanti azioni repressive nei confronti dei lavoratori in lotta. Tutto questo è stato fatto sia con i governi di centro sinistra sia con quelli di centro destra. Ciò dimostra la centralità del conflitto di classe e che per piegarlo non si esita a mettere mano agli istituti democratici di questo Paese, riproponendo involontariamente un nesso forte tra democrazia e lavoro e ridando oggettivamente una funzione di rappresentanza democratica al conflitto di classe.
Di fronte a queste tendenze il problema che hanno i comunisti è capire come rafforzare la difesa dei lavoratori trovando le condizioni e le forme organizzative migliori a sostenere l’iniziativa sindacale. Poiché questo è un ragionamento complesso che ha anche una sua dinamica storica abbiamo preferito scrivere un allegato specifico di riflessione sulla questione sindacale; di seguito perciò ci limiteremo a definire alcune posizioni in modo sintetico e chiaro.
- La prima è quella relativa ai sindacati confederali ed autonomi ed alla loro funzione politica. Seppure queste strutture rappresentano ed organizzino una gran parte del mondo del lavoro, in realtà sono il “terminale” dell’assetto politico-istituzionale basato sul bipolarismo e sulle compatibilità del sistema capitalista in una fase di competizione globale accentuata.
La struttura sindacale nel nostro Paese ha un carattere neocorporativo che fa del “patto sociale” il proprio punto di forza. Poiché non si intravedono, a meno che non si facciano improbabili previsioni “catastrofiste”, elementi di crisi POLITICA dell’assetto attuale, i sindacati storici mantengono il loro ruolo di controllori sociali e politici. In questo contesto, non modificabile a breve, gli iscritti ai sindacati confederali possono rappresentare sicuramente un bacino elettorale consistente ed “appetibile”, ma non sono un elemento politicamente dinamico nel conflitto, pertanto pur essendo, ovviamente, degli interlocutori importanti non possono essere il centro di un progetto sindacale di classe.
- Ne segue che un progetto sindacale di base non può che avere una caratteristica di indipendenza netta, anche organizzativa, dalle confederazioni storiche del nostro Paese. Dalle nuove caratteristiche del conflitto capitale/lavoro nei luoghi della produzione potevano nascere, come sono poi nate effettivamente, esperienze sindacali indipendenti che hanno avuto la forza di sostenere il confronto, e la conseguente repressione, con le controparti ed i sindacati concertativi.
Anche qui non servono visioni apologetiche di un’esperienza che per ora è unica in Europa e che ha dei limiti quantitativi evidenti. Dunque, parlare delle nuove forme del sindacalismo in Italia significa farlo, prima di tutto, avendo i piedi ben piantati in terra.
Comunque, rimane decisiva, almeno in questa fase storica, l’indipendenza organizzativa, che rompe non solo il tentativo di riportare i conflitti dentro la logica del “patto sociale” ma anche far assumere una rappresentazione generale ed ideologica moderata del conflitto di classe.
- Detto questo, però, va tenuto presente anche il livello reale e potenziale della rappresentanza che, laddove viene misurata, per queste strutture indipendenti raggiunge sempre risultati consistenti, fino a farle divenire spesso il primo sindacato in molte situazioni. Evidentemente questa è una condizione generale che ha l’unico limite di una insufficiente capacità organizzativa e di quadri politici e sindacali. L’altro dato importante è la presenza diffusa in tutto il mondo del lavoro, anche se in misura diversificata rispetto alle tutele sindacali che vigono dai settori più garantiti a quelli che lo sono di meno.
Rispetto alla difficoltà della crescita quantitativa, vale la pena sottolineare un aspetto; infatti, di fronte alle potenzialità verificate del sindacalismo di base esiste un limite soggettivo determinato dalla scarsità dei suoi quadri politico-sindacali. In questo senso ci appare proondamente errata la posizione del PRC che continua a sostenere, come ha fatto nelle sue ultime tesi congressuali, la sinistra sindacale della CGIL, nonostante alcuni contraddittori tatticismi “extraconfederali”. Questa componente di sinistra sindacale mantiene, a nostro avviso, una funzione negativa di contenimento di forze ed energie nell’ambito dei sindacati concertativi, depotenziando il conflitto di classe e confermando la sua sostanziale sintonia con i vertici della CGIL (come sta a dimostrare l’accordo fatto tra maggioranza ed opposizione nell’ultimo congresso di questo sindacato).
- Se l’indipendenza politica ed organizzativa è una condizione preliminare, è evidente che è nell’interesse dello sviluppo del conflitto di classe in Italia lavorare soprattutto sulla crescita delle esperienze indipendenti di base e nella loro articolazione categoriale e territoriale, avendo chiaro l’obiettivo di ricostruire nel nostro Paese una struttura sindacale rappresentativa di ampi, più ampi possibili, settori di lavoratori. Centrale è dunque puntare ad una crescita ed ad un coordinamento di tali esperienze sindacali, in quanto queste hanno una loro ricaduta politica indiretta.
Se è vero che l’egemonia del capitale è forte nella società si registra, invece, una sua difficoltà nei luoghi della produzione. È soprattutto da questi che si possono ricreare, nei tempi e nelle forme adeguate, le condizioni per la ripresa di una soggettività politica di classe e che si può ritrovare un effettivo ruolo strategico dei comunisti.
Dunque la funzione centrale che può avere il sindacato di classe in questa fase storica è quella di contribuire alla costruzione di una condizione politica e pratica, sempre più ampia, che permetta la crescita di una soggettività comunista in rapporto diretto con la condizione di classe reale nel nostro Paese; tale relazione è fondamentale anche per una sua effettiva maturazione politica e qualitativa.
4. UNA BASE REALE
Nella prospettiva strategica di ricostruzione di una forza antagonista e radicata nella società l’ambito dei comunisti e quello del conflitto di classe vertenziale sindacale, soprattutto, ma anche sociale, rappresentano i punti sui quali già da oggi è possibile definire una capacità indipendente di intervento e di organizzazione funzionale al processo di sedimentazione delle forze teoriche, politiche e sociali che abbiamo definito obiettivo prioritario nell’attuale fase storica e condizione concreta.
CREDITS
Immagine in evidenza: Marx and Engels in the printing house of the Neue Rheinische Zeitung
Autore: E. Capiro, 1849
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