I risultati dell’inchiesta di classe tra i lavoratori
Con la pubblicazione di Eurobang/3: “La coscienza di Cipputi” si conclude un dibattito ed una ricerca – curata da un gruppo di lavoro del Cestes – durata alcuni anni, attraverso una inchiesta a vasto raggio tra i lavoratori in Italia di cui da tempo si discuteva e si sentiva l’esigenza. E’ indicativo che mentre arrivava a conclusione questo progetto di inchiesta, partisse quella lanciata sulle pagine dell’Unità e coordinato dai DS con studiosi come Riesler e Accornero. Pubblichiamo in questo numero del giornale ampi stralci della prefazione de “La coscienza di Cipputi”
(da Contropiano Anno 10 n°3 – 16 ottobre 2002)
Con questo libro, è finalmente a disposizione uno strumento per i lavoratori, i delegati sindacali, gli attivisti e i ricercatori militanti che ha concretizzato un obiettivo ed un metodo di lavoro che si ritiene di estrema importanza. Si è trattato di una ricerca (con quasi 2000 questionari e circa 180.000 risposte) che ha avuto come obiettivo quello di cercare di comprendere la nuova composizione di classe nel nostro paese e i suoi elementi di unità dentro un quadro di forte frammentazione sociale.
1. Cosa è stato cercato con questo progetto di inchiesta ?
Si è cercato di sintetizzare l’ipotesi di partenza dell’inchiesta individuando come snodo la profonda integrazione dell’Italia nella nuova divisione internazionale del lavoro e nel nuovo polo competitivo europeo. E’ sembrato sin dall’inizio rilevante comprendere le conseguenze che questo ha prodotto nella composizione di classe nel nostro paese. A tale scopo sono stati individuati i lavoratori di alcune aziende strategiche della produzione e dei servizi sui quali si Ë andati a realizzare l’inchiesta
2. Con l’inchiesta si è voluto individuare e capire quali siano e tendenzialmente quali saranno :
a) Gli elementi unificanti di una composizione di classe oggi assai frammentata. rispetto al blocco sociale protagonista dal dopoguerra fino agli Settanta del conflitto sociale, ossia gli elementi di omogeneità e unità capaci – per qualità e quantità – di ridelineare una nuova e antagonista ricomposizione della classe lavoratrice in uno dei poli avanzati della competizione globale come l’Italia.
b) L’atteggiamento dei lavoratori sul futuro cioè l’atteggiamento di fronte alle trasformazioni dell’organizzazione del lavoro basate sulla flessibilità, sui nuovi meccanismi del mercato del lavoro e l’innovazione tecnologica. ma anche dentro un modello economico-sociale fondato sulle privatizzazioni, sull’egemonia della logica del mercato, sullo stravolgimento delle forme storiche della rappresentanza politica e sindacale e sui condizionamenti dell’Unione Europea.
c) La disponibilità al conflitto come strumento di resistenza, unità e soluzione delle esigenze dei lavoratori o – al contrario – la percezione forte della soluzione individuale come unica soluzione vincente dei propri problemi.
d) L’esigenza o meno di rappresentanza sindacale e politica come strumento collettivo di soluzione e trasformazione della propria condizione lavorativa, sociale e soggettiva.
Dal generale al particolare
Così come Engels indagò tra i lavoratori di Manchester vittime e protagonisti della rivoluzione industriale o come Raniero Panzieri attivò l’inchiesta tra i nuovi operai della Fiat che furono poi i soggetti dell’autunno caldo, in Italia mancava da troppo tempo all’appuntamento con la nuova realtà di classe un lavoro di inchiesta rigorosa tra i lavoratori.
Per comprendere le tendenze di fondo della società capitalista si é ritenuto attuale osservare ed analizzare il suo “cuore” cioé la produzione e le sue articolazioni più avanzate. E’ da qui che si possono comprendere le prospettive della società, il livello di sviluppo delle forze produttive, i rapporti di forza tra capitale e lavoro, la composizione della classe ad un determinato livello di sviluppo ma anche la penetrazione o meno dell’ideologia dominante.
Partendo da queste considerazioni, un gruppo di attivisti sindacali e ricercatori militanti insieme ad alcuni “esperti”, ha avviato un lavoro di inchiesta che è andato avanti alcuni anni strutturato su vari livelli di analisi ed che ha prodotto tre lavori oggi disponibili.
Con “Eurobang” (ottobre 2000) sono stati analizzati in profondità i parametri produttivi, la concentrazione economica, i modelli di welfare e di mercato del lavoro e le disuguaglianze sociali che hanno portato all’unificazione economica europea ed alla sua competizione con il modello americano
Con “No/made Italy” (settembre 2001) sono stati analizzati e documentati l’internazionalizzazione produttiva dell’Italia, il processo di delocalizzazione produttiva e le loro conseguenze sui lavoratori e sul ruolo dello Stato.
Con “La coscienza di Cipputi” si é inteso concludere, analizzando i risultati dell’inchiesta condotta direttamente tra i lavoratori, la ricerca strategica partita dall’ipotesi generale.
Quest’ultimo livello del lavoro, ha visto una lunga elaborazione e discussione sulla struttura del questionario da utilizzare per l’inchiesta. Dopo un confronto politico e “tecnico” anche serrato, il questionario é stato definito e si é partiti con le interviste nei vari posti di lavoro individuati.
(….) La profonda integrazione dell’Italia nell’economia mondiale – soprattutto nell’area europea – e le trasformazioni intervenute nel ciclo produttivo, stanno disegnando uno scenario dei rapporti sociali che, rafforzando il dominio capitalista nei rapporti di produzione, acutizza ferocemente la polarizzazione sociale verso l’alto e verso il basso .
Dall’inchiesta emerge con evidenza il dato dei bassi salari tra i lavoratori italiani sia come dato oggettivo sia come percezione. Un dato che – in linea con il modello anglosassone – vede precipitare i salari soprattutto tra i lavoratori dei servizi privati. Ciò rende più complessa ma altrettanto urgente l’individuazione di un nuovo blocco sociale antagonista capace di modificare i rapporti di produzione (su questo vedi i dati contenuti in “Eurobang” che consentono comparazioni con altri paesi europei e con gli Stati Uniti)
Le prospettive indicate da tutti gli istituti internazionali del capitale finanziario (dallíOCSE, al FMI, dal G 7 alla Commissione Europea) sono piuttosto espliciti sulla inesorabilit‡ di bassi salari e massima flessibilità come unico lavoro possibile nella prossima fase storica. Tale processo sta mutando radicalmente il concetto di “disoccupazione” ed estende a tutte le forze attive della società il ruolo di “esercito industriale di riserva”, dunque di una categoria marxiana che rivela ancora la sua estrema attualità.
Ed è proprio esaminando con rigore la realtà delle contraddizioni sociali oggi che dobbiamo cercare di individuare i punti in cui la quantità delle contraddizioni può diventare qualità sul piano della lotta per il cambiamento.
Gli effetti della produzione no/made Italy
(…) In Italia – e dunque in una delle “metropoli della competizione globale” – si é andata estendendo la nuova organizzazione del lavoro – la lean production o produzione snella – che assegna una particolare enfasi alla fase finale di una catena del valore distribuita ormai a livello internazionale (tramite quelle che abbiamo definito le filiere mondiali di produzione ).
In Italia ormai si realizza l’ assemblaggio, la pubblicità e la commercializzazione di manufatti o semilavorati prodotti in Romania, in Albania, in Marocco, in Cina, tramite una delocalizzazione produttiva in crescita rivelatasi impetuosa negli anni Novanta..
Nello studio che abbiamo realizzato sulla delocalizzazione delle imprese italiane nella regione balcanica e con alcuni dati sulle dinamiche delle multinazionali italiane, questo processo viene documentato piuttosto precisamente (vedi “No/made Italy”).
(…) Ma se le produzioni di scala dall’Italia sono andate nelle aree a basso salario, cosa é successo nella “parte alta” di questa nuova catena del valore che è stata individuata nelle “filiere mondiali di produzione” ?
La diminuzione quantitativa dei lavoratori industriali e l’aumento dei lavoratori nei servizi pubblici e privati alle imprese come tecnici informatici, artigiani contoterzisti, operai superspecializzati, agenti commerciali, addetti alla distribuzione ma anche di lavoratori dei servizi meno qualificati, è ormai un processo in via di consolidamento in Italia come nelle principali economie capitaliste. E’ il processo di crescita dei lavoratori nella sfera della circolazione rispetto alla sfera della produzione che il vecchio Marx aveva individuato molto chiaramente . I sostenitori del “fabbrichismo” non possono che riflettere sui risultati di questa inchiesta.
Ma, attenzione, come é stato sottolineato più volte, in Italia come negli altri paesi avanzati dell’Europa, é errato ritenere che la classe operaia tradizionale sia scomparsa . Come dimostrano alcuni dati sopraindicati, nel cuore dell’Europa la crisi delle grandi fabbriche non é avanzata come in Italia. In secondo luogo la classe lavoratrice di fabbrica é stata di fatto ricollocata in un’area semiperiferica rappresentata dall’Europa dell’Est, dal bacino Mediterraneo e dalle nuove periferie industriali in Asia, due di queste aree (Europa dell’Est e Magreb) sono a ridosso della “metropoli europea” e sempre più integrate con essa.
Le catene di montaggio di tipo fordista si sono dunque spostate dal triangolo industriale e dai distretti italiani alle nuove periferie industriali dei Balcani o del Maghreb (…)
Cresce la polarizzazione sociale
Come abbiamo cercato di documentare su “No/made Italy”, non solo l’organizzazione e il mercato del lavoro, ma anche lo Stato come mediatore sociale, regolatore dell’economia, gestore del welfare state è stato radicalmente rimesso in discussione dal dogma neoliberista. Oggi la sua funzione torna ad essere quella del “Comitato d’affari” della borghesia con il preciso compito di trasferire ricchezze e risorse dai settori popolari alle imprese, dai redditi da lavoro alla rendita finanziaria.
Le privatizzazioni, la riduzione delle spese sociali, gli aumenti delle tariffe dei servizi ( trasporti, telecomunicazioni, energia), l’utilizzo della leva fiscale , sono gli strumenti attraverso cui lo Stato sottrae reddito ai lavoratori e alle famiglie per consegnarlo alle aziende, al grande capitale finanziario. Lo strumento fiscale assume un evidente carattere di classe diventando un fattore centrale di questo trasferimento di ricchezze di segno antipopolare.
E’ un cambiamento di funzione che emblematicamente ha via via sgretolato anche i ceti medi sviluppati nell’epoca del welfare state (includendovi ampie quote di lavoratori dei servizi e del pubblico impiego), che acutizza sempre più la polarizzazione di classe nella società italiana e rende obsolete le tesi fondate sulla centralità dei ceti medi.
I risultati dell’inchiesta danno su questo risposte interessanti e in controtendenza che vedono la grande maggioranza dei lavoratori respingere la logica delle privatizzazioni dei servizi sociali (pensioni, sanità, scuola) e – in misura minore – quella delle aziende pubbliche dei servizi. Diversamente da quanto indotto dai templari della logica di mercato, lo Stato come regolatore e mediatore sociale, non viene affatto percepito come un tabù o un totem dai lavoratori (…)
La soggettività di classe e l’orizzonte riformista
Gli elementi che attengono alla sfera della sovrastruttura sono stati troppe volte sottovalutati o affrontati in maniera subalterna rispetto alla capacità egemonica della borghesia sulla società italiana. Se é vero che siamo in presenza di un processo di polarizzazione sociale crescente e di acutizzazione delle contraddizioni sociali non Ë affatto scontato che da queste emerga una coscienza di classe più avanzata rispetto quella che abbiamo conosciuto nei decenni scorsi.
Emerge con forza la questione della classe in sé e classe di per sé individuata con grande chiarezza da Marx.
Questo Ë un terreno su cui il capitale lavora con la stessa sistematicità con cui affronta le contraddizioni del proprio modo di produzione. Non basta più domandarci perché ampi settori di proletariato metropolitano votino per la destra o perché nel Nord quote consistenti di lavoratori salariati ed autonomi affidino la propria ambizione di cambiamento alla Lega o nel Sud a Forza Italia.
Dall’inchiesta tra i lavoratori emerge con evidenza una contraddizione tra la frustrazione o la voglia di rivalsa della propria condizione materiale e le loro forme di rappresentanza politica o sindacale. In sostanza, anche in presenza di una percezione pesante delle proprie condizioni e aspettative sociali, non si va ancora oltre un “riformismo radicale” che non mette in discussione il sistema
La dialettizzazione tra condizione sociale e coscienza di classe dentro le modificazioni intervenute e dentro quelle in corso, non può essere un alibi per i peggiori riti della real politik ma deve diventare un terreno di indagine rigorosa e di riflessione sulle forme dell’intervento politico e sindacale. Gettare lo spugna o farsi illusioni non é serio.