Mauro Casadio
La precipitazione della situazione in Medio Oriente è cominciata ben prima dell’11 settembre e di Bin Laden – ex compagno d’affari degli americani – con la ormai tragicamente nota passeggiata sulla spianata delle moschee di Ariel Sharon.
Da quel momento l’establishment israeliano, ha creato le condizioni che hanno portato alla precipitazione attuale della tragedia del popolo palestinese, aggredito dalla potente macchina di guerra dell’esercito di Israele, subendo l’uccisione di migliaia di civili fino alla strage di Jenin. E’ uno scenario e un protagonista simile – Sharon – che portò nell’82 alle stragi di Sabra e Chatila.
Questa brutalità, pianificata dal settembre 2000, ha portato ad un moto di rigetto da parte di giovani, di intellettuali, di ampi settori della sinistra in Europa ed in tutto il mondo ed ha determinato mobilitazioni di massa che nel nostro paese sono stati particolarmente forti e numerose.
Il Forum Palestina, assieme ad altre forze della sinistra e della solidarietà internazionalista, ha dato vita alla manifestazione inaspettatamente partecipata del 9 marzo e ad altre decine di iniziative che si sono svolte in tutte le parti del paese, inclusa quella del 6 aprile a Roma, “abbandonata” a se stessa dalla direzione dei DS e da Cgil-Cisl-Uil ma non da molti loro militanti ed iscritti che vi hanno partecipato.
Attualmente la situazione nei territori palestinesi è di stallo. L’operazione militare israeliana ha ridotto a ben poca cosa i poteri dell’ANP, migliaia di militanti palestinesi sono stati imprigionati ed uccisi, anche se – è sotto gli occhi di tutti – questa operazione non ha affatto impedito l’azione dei kamikaze, che continuano a colpire i civili israeliani, nonostante fosse questo il pretesto formale per l’invasione militare dei mesi passati.
La mobilitazione in solidarietà con la resistenza palestinese sta subendo in queste ultimi mesi una “pausa” che andrebbe utilizzata per un lavoro di confronto, approfondimento ed organizzazione che diviene fondamentale nella prospettiva della ripresa del conflitto in Medio Oriente, un conflitto che riguarderà di nuovo i palestinesi ma anche l’Irak ed altri paesi arabi e della regione.
GLI OBIETTIVI REALI CHE SI CELANO DIETRO LA GUERRA.
I mass-media e le forze politiche, a cominciare dai DS e dall’Unità, ci dicono con insistenza che il conflitto mediorientale é tra islamici fondamentalisti ed ebrei e che – specularmente – sta crescendo in tutto il mondo l’antisemitismo.
Alcuni opinionisti vanno oltre ed accusano anche chi é di sinistra e si mobilita a favore dei palestinesi di non rendersi conto – o di rendersene conto senza fare autocritica – di essere diventati “antisemiti”.
Dopo la riuscita manifestazione del 9 marzo, in modo particolare, e dopo quella del 6 aprile, si é scatanata una campagna ideologica che a visto destra e parti importanti della sinistra riformista unite nel denunciare l’antisemitismo in Italia anche se – come ammesso testualmente dal rabbino capo Di Segni – non si é verificato un solo caso, un solo atto che giustifichi questo allarme.
Perché allora tanta virulenza nel voler dimostrare una cosa che non esiste, e non esiste soprattutto nella coscienza di chi é di sinistra e che ritiene che sia lo Stato di Israele, e non gli ebrei, che si sta macchiando di crimini contro l’umanità?
In questi ultimi anni hanno voluto farci credere che l’umanità esiste non in quanto composta di uomini e donne, ma da cattolici, islamici, ebrei, ortodossi, buddisti etc. Sulla scorta dei fatti, ormai sappiamo bene quanto l’ideologia religiosa nasconda in realtà conflitti ed interessi ben concreti. Anzi, più la posta in gioco é alta e più la falsa coscinza della religione viene agitata ad arte.
In questo caso il problema agitato, “l’antisemitismo”, ha una dimensione mondiale proprio perché la partita reale che si sta giocando ha assunto tale dimensione.
GLI STATI UNITI E I LORO RIVALI
Dopo la “pausa” storica dei primi anni ’90 in cui sembrava che i problemi del mondo fossero “in via di risoluzione” o attraverso il Nuovo Ordine Mondiale americano o attraverso la concertazione nelle istituzioni internazionali (FMI, WTO, BM, ONU), in realtà la crescita della competizione mondiale ha cominciato a manifestare i suoi effetti.
Accanto alla crescita economica degli Stati Uniti – drogata finanziariamente – sono cresciuti nuovi blocchi economici che potenzialmente si stavano manifestando come rivali degli USA.
Prima di tutto l’Europa che, con l’introduzione dell’Euro, ha posto le basi per la costruzione di una entità economica e statuale forte nel vecchio continente e con una moneta di riserva alternativa al dollaro.
Ma anche in altre parti del mondo stava maturando questo processo.
Maturava in modo contraddittorio in Asia, dove il Giappone, che sta ancora subendo gli effetti di una crisi finanziaria pilotata dagli americani, é ancora una economia forte e dove sta crescendo economicamente anche la Cina.
C’è poi la Russia, che anche se in tragica crisi economica e finanziaria, cerca ancora di utilizzare il proprio potenziale nucleare e la sua “massa critica”geopolitica per risalire la china.
Ci sono poi altre aree dove sta rinascendo una spinta alla propria autonomia ed a proprie ambizioni regionali nella nuova condizione internazionale. L’India in Asia ed il Brasile in America Latina si stanno ponendo questo problema.
Infine, ma soprattutto, va ricordata la borghesia araba che si sta ponendo come soggetto con ambizioni al controllo dle le proprie risorse petrolifere e finanziarie. Bin Laden non é un fellah nè un nomade del deserto ma rappresenta gli strati borghesi dei paesi arabi ed anche di quelli in affari con gli stessi Stati Uniti come l’Arabia Saudita.
Dunque il nuovo secolo vede la crescita minacciosa, per l’economia statunitense, di aree di interesse diverse e competitive che rimettono in discussione il signoraggio del dollaro come moneta di riserva internazionale e l’asfissiante egemonia imperialista statunitense in ogni area strategica.
E’ questo il passaggio vero, reale e strutturale che ha portato – prima ancora che alla guerra infinita dopo l’11 settembre – ai brogli elettorali per l’elezione di Bush che per la prima volta ha rotto l’incantesimo della democrazia formale in quel paese.
Ed é per questo che da quel momento tutti gli strumenti collettivi dell’Occidente hanno perso sempre più peso fino all’annacquamento della NATO con l’ingresso della Russia nel Consiglio Atlantico.
L’aggressione all’Afghanistan e l’intervento militare israeliano nei territori palestinesi occupati, dimostrano chiaramente come l’iniziativa americana abbia l’obiettivo di prendere in mano direttamente la situazione emarginando tutti gli altri competitori, a cominciare dall’Europa.
Dalla competizione economica, a quella politica-militare il passo é breve ed infatti l’amministrazione Bush di fronte alla crisi di crescita e di egemonia della economia americana, che é sotto gli occhi di tutti, ha messo in funzione il principale fattore di supremazia a disposizione degli Stati Uniti cioé l’apparato bellico che torna così a funzionare da volano politico ed economico teso a riconfermare l’egemonia, anzi il controllo, statunitense sul mondo.
E’ dentro questo contesto che va valutato il ruolo strategico dello Stato di Israele, il quale si riconferma il migliore alleato in un’area che resta fondamentale per il mantenimento del controllo strategico globale.
Non é certo casuale che tutte le guerre avvenute negli anni ’90 siano state fatte direttamente nei paesi produttori di petrolio, o in quelli fondamentali per il suo transito e commercio, ossia quelli dove dovranno passare i nuovi oleodotti e i corridoi strategici come i Balcani o l’Afghanistan.
Nel merito di questi interessi, del loro intreccio, delle funzioni dello Stato di Israele e del rapporto simbiotico tra questo e gli USA, rinviamo ai contributi interessanti ed estremamente utili contenuti in questo quaderno, curati da Vladimiro. Giacché e Jospeh. Halevi.
NON ACCETTARE MISTIFICAZIONI
Come gruppo di studio sui rapporti USA-Israele del Forum Palestina, istituitosi nella assemblea nazionale di Firenze del 27 aprile, ci interessa mettere in evidenza alcune questioni politiche che ci sembrano fondamentali.
La prima, già segnalata in altra parte di questo scritto, é quella della necessità di andare oltre la cortina fumogena della “ideologia” che ci viene propinata tutti i giorni dai mezzi di comunicazione, dalla maggior parte del mondo della cultura e da quasi tutto il ceto politico.
Anche Rifondazione Comunista é stata condizionata dalla campagna di pressione messa in campo nei mesi passati, campagna che ha visto manifestazioni – queste sì violente -di organizzazioni ebraiche sotto la sede nazionale del PRC, il quale ha poi sentito la necessità di ribadire al recente congresso la sua posizione contro l’antisemitismo come se di questo ce ne fosse bisogno e non parlassero da sole le lotte contro il razzismo che i comunisti e la sinistra hanno sempre fatto in modo netto e deciso.
Il volersi giustificare su questo piano, ha significato dimostrare di aver subito il colpo, – introiettandolo – della infame campagna mistificatoria fatta dai mass-media.
Il materiale che mettiamo, e metteremo ancora, a disposizione della campagna di solidarietà con il popolo palestinese e della campagna di boicottaggio dell’economia di guerra israeliana, va nella direzione della necessità dell’approfondimento e della conoscenza delle cause REALI della situazione attuale.
L’altro dato che va rilevato e sottolineato é che l’offensiva avviata dagli USA, con l’alleanza di Israele, ha l’obiettivo strategico di ripristinare il comando statunitense per via militare ma con una capacità di sviluppo apparentemente “utile a tutta l’umanità”.
Questo tentativo, nella storia del capitalismo, non è del tutto nuovo ed ha sempre preluso a fasi storiche di forte conflittualità militare fino a generare nel ‘900 ben due guerre mondiali.
Sappiamo bene che la storia non si ripete uguale a se stessa e dunque pensare a scenari come quelli passati potrebbe essere sbagliato. Questo però non modifica la situazione oggettiva che spinge verso conflitti armati, per via diretta ed indiretta, e che, magari in forme diverse da quelle del ‘900, vorrebbero risolvere la contraddizione di fondo che si stà affermando del modello economico-sociale dominante
Comunque vada sappiamo che si sta preparando un periodo in cui l’umanità nel suo complesso pagherà il prezzo dello sviluppo capitalista sia esso liberista che “keynesiano”.
Che il prezzo da pagare possa essere alto lo sta dimostrando il rischio di guerra nucleare tra India e Pakistan e l’enorme produzione di armi, delle quali il 40% appartiene agli USA spinti oggi sulla strada dell’aggressività militare.
Lo scenario di fondo si concretizza in avventure belliche e sistematiche quali l’agressione all’Afghanistan, l’occupazione dei territori palestinesi e, già da domani, l’attacco all’Irak e all’Iran.
ANALISI, CONTROINFORMAZIONE, INIZIATIVA
Dunque insieme ad una analisi della situazione che va sviluppata al massimo ed alla coscienza della necessità di battersi contro questa prospettiva, occorre continuare a sviluppare una strutturazione stabile, a rete ed orizzontale, che sia in grado di divenire riferimento sia per la “controinformazione”, come si diceva negli anni passati, sia per una mobilitazione “duratura” come la guerra che gli Stati Uniti vogliono fare al mondo intero e non solo a quello islamico e “terrorista”.
Per questi motivi, come gruppo di studio del Forum Palestina, mettiamo a disposizione questo primo contributo e proponiamo, laddove sia possibile, di dare vita a momenti di confronto e di approfondimento che accompagni ma prescinda dalle capacità di mobilitazione che il movimento e la sinistra possono attraversare in questo determinato momento.
Le tendenze analizzate non sono certo di breve periodo, ragione per cui sarà bene dare un carattere di sistematicità al confronto ed alla informazione mettendo in comunicazione singoli compagni, strutture sociali e politiche a prescindere dalle loro collocazioni organizzative.
La rete di comitati, forum, associazioni sulla Palestina messasi in moto con la manifestazione nazionale del 9 marzo, una rete che è riuscita in qualche modo a stabilizzarsi con l’assemblea di Firenze, con le campagne coordinate sul boicottaggio dell’economia di guerra israeliana, sui prigionieri palestinesi e sulla solidarietà diretta con i campi profughi, sta dimostrando una capacità di tenuta sia sul piano dei contenuti che organizzativo.
E’ una esperienza importante nella riaffermazione di un punto di vista e dell’iniziativa antimperialista nel nostro paese e, tendenzialmente, in Europa.