Capitolo IV° del Quaderno di Contropiano
pubblicato in TARGET. Iraq, competizione globale e autodeterminazione
L’analisi fatta sulla situazione e sulle tendenze in atto va completata cercando di individuare gli effetti concreti e le conseguenze che si produrranno in futuro, sia sul piano strutturale che su quello delle soggettività in campo.
Ormai assistiamo da anni ad una regressione complessiva della società dominata dal capitale che, dopo aver mediato con le esigenze della classe antagonista a livello interno ed internazionale, sentendosi ora senza limiti riproduce situazioni lontane nel tempo per la nostra esperienza diretta.
Sul ruolo dello Stato abbiamo visto come sia stato ridisegnato in base ai nuovi rapporti di forze tornando ad essere iF’comitato di affari della Borghesia”, dopo aver svolto per molti decenni una funzione di cassa di compensazione tra gli interessi del capitale e quelli dei lavoratori.
Nel mondo del lavoro sono state smantellate tutte quelle tutele del lavoro dipendente che hanno permesso un miglioramento delle condizioni di vita per i lavoratori ma anche una tenuta ed un allargamento del mercato per il capitale. La denunciata crisi dei ceti medi non è altro che l’effetto di una tale politica visto che i ceti medi non sono stati, come si affermava, una nuova borghesia ma lavoro dipendente benestante, dunque un effetto boomerang che vede ridurre i mercati ed aumentare la competizione.
Sul piano internazionale al confronto tra sistemi sociali diversi non si è sostituita una sintesi più alta e progressiva, come vorrebbero affermare i sostenitori dell’“Impero”, ma si è tornati alla competizione interiperialistica di nefanda memoria. La democrazia, che è stata agitata negli ultimi venti anni come simbolo vincente del capitalismo, cominciava già da tempo a regredire anche negli stessi paesi imperialisti spinti sempre più verso la strada di un sistema autoritario eterodiretto dalle oligarchie finanziarie. Basterebbe ricordare quello che è accaduto per la elezione “taroccata” di Bush nel 2000 per capire esattamente qual è la tendenza effettiva in atto.
La tendenza alle annessioni
Questa regressione generale, spacciata per modernità, inevitabilmente si fa sentire anche nel campo delle relazioni tra poli imperialisti ed il resto del mondo tracciando scenari e riproducendo situazioni già viste in quanto prodotto delle spinte “naturali” di un sistema imperialista. Gli effetti sono di diverso tipo e vanno analizzati a fondo per capire il futuro che si configura per la maggior parte dell’umanità.
Annessione è un termine che è in disuso, è stato usato per l’invasione Irakena del Kuwait del 1990, oppure per la politica Israeliana nei territori occupati. Comunque è un termine che sembra riguardare solo i paesi che sono alla periferia dello sviluppo.
In realtà l’annessione è una pratica che è tornata in vigore anche nei punti alti dello sviluppo senza, però, essere nominata; cioè i paesi imperialisti stanno tornando anche su questo piano a metodi che appartenevano all’età d’oro dell’imperialismo e cioè alla fine dell’ottocento.
Abbiamo già detto della costruzione antidemocratica dell’Europa Unita che è stata decisa, e gestita, dai poteri forti finanziari sopra la testa dei popoli europei dei paesi capitalisticamente sviluppati. Poiché siamo nel periodo di ingresso nella UE dei paesi dell’est europeo e dei balcani è utile analizzare come questo sta avvenendo; se ci soffermiamo sulla vicenda Jugoslava possiamo capire come l’Europa che sta nascendo non è affatto innocente così come si vuole mostrare.
Fin dall’inizio della crisi Jugoslava, nei primi anni novanta, c’è stata una feroce intromissione europea, nelle vicende di quello stato, gestita allora dalla Germania e dal Vaticano con il riconoscimento dirompente della indipendenza della Croazia e della Slovenia. Questa prima tappa ottenne l’obiettivo di smontare la vecchia struttura statale, ma non aveva sciolto il nodo di uno stato a tutti gli effetti che manteneva la sua identità distinta.
Per disgregare definitivamente il blocco più consistente di quel paese e la sua identità nazionale, l’Europa non ha esitato ad intervenire, assieme agli USA, militarmente adottando lo stesso comportamento bellicista che gli europei ora addebitano agli americani nella vicenda Irakena.
C’è un altro esempio significativo delle caratteristiche deH’“allargamento” dell’EU ad est ed è il comportamento della Polonia che, da una parte vuole entrare nella UE e, dall’altra, si allea militarmente e politicamente con gli USA.
Non è secondario nemmeno ricordare che la Polonia è oggi governata dal partito ex comunista che, in teoria, dovrebbe essere più in sintonia con la sinistra moderata europea.
Se sono chiaramente comprensibili in questo caso gli interessi americani nel tentare di indebolire e dividere un’Europa in crescita, più difficile è comprendere l’atteggiamento del governo di “sinistra” polacco se non considerando il tipo di relazione subordinata che il capitale europeo vuole imporre ai nuovi aderenti all’UE; così diviene più comprensibile il tentativo polacco di giocare sulle contraddizioni interimperialistiche e perché questa operazione viene fatta proprio da un partito che non è direttamente riconducibile per propria storia all’Europa occidentale e che vuole evidentemente mantenere un proprio potere contrattuale.
Detto esplicitamente l’EU sta costruendo con un processo di annessione progressiva e silenziosa che, se per quanto riguarda i paesi fondatori l’egemonia del capitale europeo è riuscita a contenere le contraddizioni interne rimaste allo stato latente, per il resto dei paesi è stata attuata in modo forzoso sul piano bellico, per quanto riguarda i Balcani, e forzoso sul piano economico per quanto riguarda gli altri stati orientali con una penetrazione finanziaria e di investimenti esteri così pressante da porre problemi ad alcuni di quei paesi più rilevanti.
D’altra parte se è vero che la indipendenza politica formale non è in contraddizione con la dipendenza economica dal capitale straniero è evidente che oggi l’EU preferisce di gran lunga usare la leva economica piuttosto che militare; almeno per quanto riguarda il vecchio continente che deve essere caratterizzato dalla stabilità politica per poter garantire lo sviluppo delle imprese e dei profitti.
I processi di annessione non sono solo Europei ma riguardano anche gli USA che, prima con la costituzione del NAFTA, ed ora con la nascita dell’ALCA, intendono fare questa operazione nei confronti dell’intero continente utilizzando tutti gli strumenti a loro disposizione.
II tentativo di disgregazione del MERCOSUR, la crisi finanziaria Argentina causata dal FMI come quelle passate avute in estremo oriente, la dollarizzazione di interi paesi, l’intervento militare endemico nel sub continente con il pretesto del narcotraffico, i tentativi di condizionare in vario modo il Venezuela, il Brasile ed altri paesi, la costante minaccia nei confronti di Cuba, vista non come l’ultimo simulacro del Comunismo rivoluzionario ma come pericoloso riferimento ideologico antagonista, sono parti di una strategia volta ad attuare un controllo che va ben oltre quello coloniale o quello praticato con i colpi di stato tra gli anni sessanta e settanta.
Questa prospettiva potrebbe rendersi necessaria al capitale Nord Americano anche perché non è sopportabile che, per un periodo di tempo troppo lungo, la parte manifatturiera delle multinazionali americane possa rimanere in Cina, dove è vero che i costi della manodopera sono ridottissimi ma è anche vero che offre ad un competitore come la Cina, economicamente, militarmente e politicamente una rendita di posizione strategicamente pericolosa per il ruolo egemone degli USA.
I blocchi economici ed i poli imperialisti nascono dallo sviluppo delle forze produttive e dalla competizione indotta tra frazioni del capitale mondiale, questa spinta non contrastata dello sviluppo capitalistico porta a riprodurre processi di annessione diversificati ma reali in quanto il controllo della produzione di plusvalore non ha un carattere meramente tecnico ed economico ma implica processi politici, istituzionali ed ideologici adeguati alle necessità storicamente concrete che si presentano ad un determinato stadio di sviluppo.
In altre parole si ripropone la necessità di un forte ruolo delle funzioni statuali, in quanto il processo produttivo capitalistico ne ha sempre avuto storicamente bisogno, anche ad un livello soprannazionale e questo oggi avviene in forme diverse e quantitativamente più ampie. Da qui la necessità delle moderne annessioni, in forme palesi o nascoste, pacifiche o violente, che hanno la finalità di rafforzare la competizione interimperialistica e di annullare politicamente quei settori di classe potenzialmente pericolosi. Un tale processo, anche se potrebbe essere di per se indubbiamente positivo, viene oggi piegato al solo e prioritario obiettivo della valorizzazione del capitale contro ogni possibile progresso sociale dell’umanità nel suo complesso.
Dal neo-colonialismo al colonialismo
I processi di annessione più o meno evidenti riguardano quei paesi direttamente coinvolti nei processi produttivi che non possono essere “disturbati” da eventi politici e bellici incontrollabili; c’è però un altro gran ritorno della epopea imperialista di altri tempi ed è quella del colonialismo vero e proprio, dei protettorati di quei paesi insomma, che devono essere “civilizzati” dall’occidente.
Il ritorno della politica coloniale ha avuto la sua manifestazione più evidente nella occupazione dell’lRAK da parte degli USA e della Gran Bretagna, ma in realtà risale già agli anni ‘90 quando nella disgregazione generale degli stati africani le grandi potenze tornavano ad essere protagoniste, e reciprocamente competitive, senza esclusione di colpi.
In questo contesto è rilevante non la produzione di merci ma il controllo delle materie prime ed in particolare di quelle energetiche quali il petrolio, il gas etc. Se osserviamo sulla carta geografica i paesi produttori di materie prime che vanno dal continente Africano, passano per il Medio Oriente e si incuneano nell’Asia centrale tra la Russia, la Cina e l’india vediamo che, nonostante le enormi differenze, hanno tutti dei dati in comune.
Il primo dato è che la gran parte di questi paesi è sistematicamente sconvolta da guerre civili, tribali, etniche che producono una enorme perdita di vite umane; il secondo dato è che questi paesi non hanno più una struttura statale degna di una tale definizione sancendo cosi la fine di molti di quegli stati sorti dopo la seconda guerra mondiale con la fine del vecchio colonialismo; in fine questa parte del mondo non ha alcun peso politico ed è soggetta a continui interventi militari, noti e meno noti, diretti o per interposta persona, da parte dei paesi occidentali.
Questi conflitti assumono particolare rilievo per le zone produttrici di petrolio e gas ed in questo senso diventano strategiche anche quelle zone che, seppure non producono direttamente petrolio, sono i luoghi dove passano i famosi corridoi necessari al trasporto di queste materie prime. L’Afghanistan, i Balcani, la Cecenia sono i paesi dove transitano i corridoi e dove la guerra è lo strumento che viene usato per il loro controllo.
È evidente che queste condizioni permettono alle economie occidentali di tenere bassi i costi delle materie prime in quanto questi non-stati non hanno alcun potere contrattuale e sono del tutto subordinati alle multinazionali ed alle imprese che agiscono in quelle aree. Inoltre data la funzione economica che rivestono questi paesi nella cosiddetta globalizzazione, diventano inutili non solo gli stati in quanto tali ma anche le popolazioni locali che rappresentano comunque un pericolo potenziale da ridurre anche a costo di continue stragi, come ormai normalmente avviene in quei paesi.
Il controllo coloniale di quelle aree, e dunque anche quello militare, non ha solo una importanza economica ma fa parte del gioco degli equilibri tra le grandi potenze; in particolare una funzione strategica la ricopre l’Asia centrale, fondamentale per gli Stati Uniti per avere una posizione di rendita strategica rispetto ai propri potenziali antagonisti, i più pericolosi dei quali vanno dalla UE fino alla Cina passando per la Russia.
La vicenda Irakena è tutta dentro la competizione globale che è in atto ed chiaro a tutti che la partita che si gioca in quella parte del mondo, che va da Israele all’Afghanistan, è tutta interna ai paesi imperialisti per il predominio e getta una luce chiarificatrice in tutti i conflitti di quell’area che vanno da quello Israelo-Palestinese, che nulla a che a vedere con l’antisemitismo, a quello Afgano, sostenuto dall’ONU e dunque da tutti i paesi occidentali, passando per l’Irak oggi e probabilmente per la Siria e l’Iran domani. Il colonialismo “classico”, dunque, non appartiene alla storia ma è di nuovo un elemento concreto della realtà internazionale che produrrà lotte sempre più forti nei popoli.
Le borghesie subalterne
Una delle condizioni che hanno permesso la ripresa delle dinamiche imperialiste, annessioniste e colonialiste, è stata la fine della stretta connessione tra lotta per il socialismo e lotta per la liberazione nazionale che ha decretato l’esaurimento di una fase di forti lotte antimperialiste.
Questo esaurimento ha prodotto un altro importante effetto che è stato il rinascere delle borghesie non imperialiste con un carattere estremamente diversificato che va dalle borghesie nazionali vere e proprie, a quelle locali cioè che non hanno più l’ambito di vecchi paesi ormai scomposti, fino ad improbabili “borghesie” etniche, tribali, religiose etc.
Le classi borghesi dei paesi non imperialisti sono del tutto interne ai meccanismi del mercato capitalistico mondiale e, sul piano politico, la spinta alla autodeterminazione ne viene fortemente ridimensionata, anche se non del tutto annullata, in base a eventuali contingenze legate a condizioni materiali molto precise che possono far tornare utile a queste classi riaffermare una più o meno forte autodeterminazione politica.
Prevale in un tale quadro generale la necessità della contrattazione tra queste classi e le borghesie imperialiste che ha come oggetto non certo l’interesse dei popoli dei paesi subordinati, e dunque dei loro interessi nazionali, ma quelli dei gruppi dominanti che devono collocarsi nello scacchiere internazionale nella migliore condizione possibile per loro.
Questo significa avere accordi economici che permettano di sfruttare al meglio le risorse naturali ed umane di un certo paese, produrre eventuali conflitti di interesse che vengono da difficoltà nelle trattative in corso, giocare sulle contraddizioni interimperialistiche per aumentare il potere contrattuale da parte delle borghesie locali ma anche permettere ai paesi imperialisti di intervenire politicamente e militarmente laddove ritengono le trattative svantaggiose per i loro interessi. È evidente che da questo scenario i popoli dei paesi periferici non hanno nulla da guadagnare ed è altrettanto evidente che per le borghesie l’obiettivo dell’autodeterminazione è del tutto strumentale ai propri interessi contingenti e non ha alcun valore democratico effettivo.
Annessioni, colonialismo, egemonia delle borghesie nei paesi subordinati sono gli elementi che rafforzano l’attuale sistema internazionale, che vanno analizzati e tenuti ben presenti non solo nella riflessione teorica ma soprattutto nell’agire politico; in particolare in un contesto dove il conflitto interimperialistico, con le sue conseguenze, complica l’azione di un internazionalismo antimperialista coerente e credibile.
Di esempi di un tale sviluppo ne possiamo trovare a decine nel corso degli anni ‘90 che hanno aperto questa nuova fase internazionale e che anticipano a nostro avviso gli anni a venire. 11 primo elemento da evidenziare è stata la variabilità delle alleanze stipulate alla fine del secolo passato che ha portato ad eventi bellici di rilievo.
Milosevic è passato in breve tempo da garante della stabilità dell’area dei paesi dell’ex Jugoslavia a nemico dei diritti civili, e degli interessi dell’Unione Europea, ed eliminato con una guerra. Saddam Hussein da alleato fedele nella guerra contro l’Iran integralista è divenuto oggetto del conflitto tra Europa ed USA per il controllo delle fonti energetiche ed è stato eliminato con l’invasione diretta degli Stati Uniti in Irak. Bin Laden da alleato di ferro contro i sovietici è divenuto il nemico mortale da combattere nel momento in cui cerca di affermare gli interessi politici e petroliferi della borghesia finanziaria araba e soprattutto di quella dell’Arabia Saudita.
Questi sono solo gli esempi più eclatanti e drammatici della situazione attuale; lo stesso discorso può valere per le neo borghesie dei paesi ex socialisti che devono accettare il ruolo economico deciso per loro nella nuova Unione Europea e decidere quale alleanza politico militare tra USA e UE. Non è difficile prevedere che questa annessione produrrà nuovi conflitti economici, politici e militari dai quali i popoli di quei paesi avranno ben poco da guadagnare.
L’elenco potrebbe continuare parlando dei paesi africani dove la definizione di borghesia nazionale è del tutto impropria e dove, a maggior ragione, il potere contrattuale verso i paesi imperialisti crolla decisamente. Anche le recenti “evoluzioni” del pensiero di Gheddafi vanno in questo senso cercando di salvare il salvabile dello stato Libico dalla “lotta contro il terrorismo”, anche se questo esito non è affatto garantito.
Poiché la storia ha comunque un peso e poiché il conflitto di classe internazionale si è solo ridimensionato ma non è affatto concluso, non tutti i paesi dell’ex terzo modo vivono questa condizione; la lotta del popolo palestinese per le condizioni concrete in cui avviene, la tenuta di paesi quali la Siria e l’Iran, le vicende del Venezuela e di altri movimenti nell’America Latina, nonostante le difficoltà, mantengono ancora un carattere antimperialista che, seppure deve fare i conti con l’attuale squilibrio delle forze, pesa ancora nella situazione internazionale e sui progetti dei centri imperialisti mondiali.
CREDITS
Immagine in evidenza: EUFOR, operazione SEGA III, Am Nabak Chad
Autore dell’immagine: Ministerstwo Obrony Narodowej, 8 febbraio 2009
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