I comunisti, la democrazia e l’Europa. Documento preparatorio per il Convegno.
I governi europei varano una Costituzione liberista, antidemocratica e guerrafondaia. Il deficit democratico è diventato una voragine. Ingenti risorse vengono destinate all’Esercito Europeo. La direttiva Bolkestein porta a destinazione la privatizzazione dei beni comuni e il dominio dei poteri forti finanziari sulla società. La regressione sociale sul lavoro e i diritti è il prezzo che l’establishment europeista consacra alla competizione globale. Quale progetto i comunisti e i movimenti sociali oppongono all’Europa superpotenza?
Roma, sabato 29 gennaio, ore 9.30-17.30
Convegno nazionale
Centro Congressi Cavour (via Cavour 50/A)
Relazioni introduttive ai lavori:
Mauro Casadio, Vladimiro Giacchè, Giorgio Gattei, Guglielmo Carchedi, Joaquim Arriola, Flavio Bezzerra De Farias.
Rete dei Comunisti
Il processo, ormai avanzato anche se non ancora concluso, della formazione della Unione Europea si presenta come un fatto storico di cui, soprattutto per chi si pone ancora nella prospettiva della trasformazione socialista, vanno considerate a fondo le cause e le conseguenze su tutti i piani.
Dopo la fine del campo del socialismo cosiddetto reale, e dunque di una fase storica aperta con la nascita della Unione Sovietica, l’ Europa assurge a ruolo di protagonista. Questo accade dentro lo sviluppo capitalistico e la nuova unione assume la forma di un polo imperialista competitivo a livello mondiale, in particolare con gli USA che rimangono comunque la potenza principale sul piano militare.
Il contesto in cui avviene questo passaggio storico è quello di una forte crisi di accumulazione e di rallentamento della crescita economica mondiale, sostenuta ora di fatto solo dalla Cina e dall’ India, e dalla formazione di un sistema multipolare dove le grandi potenze, nei modi e nelle condizioni date, lottano per difendere o rafforzare il loro ruolo economico e politico.
Questo scenario, emerso per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale, dà nuovamente all’ Europa una posizione centrale; ciò ci deve spingere a fare una analisi approfondita che sappia definire le caratteristiche strutturali della nuova Europa ed anche quelle “sovrastrutturali”, superando le concezioni prodotte dalla precedente fase caratterizzata dallo scontro tra est-ovest e tra due modelli sociali diversi.
E’ su questa necessità obiettiva che vorremmo organizzare un convegno per i primi del prossimo anno che si ponga il problema di un confronto tra posizioni diverse al quale però noi vogliamo arrivare con un nostro definito punto di vista, che cerchiamo di esporre in modo quanto più possibile sintetico e chiaro in questo nostro schema o bozza di discussione.
DUE ANALISI CONTRASTANTI ED UNA STESSA CONCLUSIONE
Oggi le posizioni di una parte, peraltro maggioritaria, dei comunisti e della sinistra antagonista dei paesi europei, seppure con analisi e valutazioni differenziate, portano ad una stessa conclusione politica; si ritiene infatti necessario sostenere la costruzione dell’Unione Europea perché è, a seconda delle analisi fatte, o l’unico contrappeso allo strapotere degli Stati Uniti oppure l’alternativa democratica al modello americano, tendenzialmente reazionario e guerrafondaio, così ben rappresentato dalla presidenza Bush.
Per molti partiti comunisti europei, inclusi i due partiti del nostro paese, l’obiettivo prioritario non è quello di mettere in evidenza la natura imperialista della nuova unione, ma quello di rafforzare comunque l’ Unione Europea, perché solo così essa potrà divenire una potenza di rilievo mondiale in grado di contrastare, in prospettiva anche sul terreno militare, il nemico principale che sono gli USA. In tal modo ci sembra che venga riproposta una lettura della realtà e delle soluzioni politiche che, facendo riferimento alla situazione internazionale della seconda metà del ‘900, risulta inadeguata alla comprensione della situazione attuale, caratterizzata dalla competizione globale interimperialista.
Per la sinistra antagonista, ed in particolare per quella componente che si riconosce nei discorsi sulla globalizzazione e sull’ Impero, il punto centrale è che l’ Europa rappresenta un modello sostanzialmente alternativo agli USA. Modello che va certamente modificato e migliorato sul piano economico, sociale e della democrazia – attraverso l’ azione delle cosiddette moltitudini – ma che può divenire riferimento di uno sviluppo diverso per tutta l’ umanità.
Noi non condividiamo queste due opzioni e su questo vogliamo aprire un confronto approfondito che parta da una analisi, la più chiara e realistica possibile, sulla Unione Europea, sul significato ideologico che le borghesie continentali le vogliono dare, sugli effetti reali di questo passaggio storico e, soprattutto, sul ruolo dei comunisti collocati al centro di una matura e sviluppata entità imperialista.
L’ANALISI DELLA OGGETTIVITA’
L’ incontro che vogliamo organizzare deve affrontare diversi livelli di analisi e di elaborazione teorica, politica ed anche storica. Il primo a cui vogliamo fare riferimento è quello strutturale che abbiamo sviluppato come Rete dei Comunisti in questi anni e che ha trovato la sua sintesi teorica nel convegno del marzo 2003, e nel relativo testo stampato, intitolato “ Il Piano Inclinato del Capitale “.
In quel lavoro si è cercato di dimostrare come la tendenza a costituire un nuovo polo imperialista, con forme politiche e statuali inedite, non sia il prodotto esclusivo di una volontà politica ma soprattutto il frutto di tendenze di fondo del capitalismo che riemergono in modo palese in determinate condizioni storiche e di sviluppo delle forze produttive.
Naturalmente le dinamiche della costruzione effettiva della UE non seguono gli astratti percorsi previsti dalle teorie, ma vengono determinate da forze che producono fasi di scontro alternate a fasi di accordo; come ad esempio quello che avviene nella definizione degli equilibri tra le varie borghesie dei diversi paesi europei, legate tra loro dal progetto politico complessivo ed anche dalla moneta unica, ma in competizione sugli interessi e sulle “porzioni” di potere da suddividere.
L’assenza di ogni trasposizione automatica dalla lettura teorica alla realtà diviene ancora più evidente per il nostro continente se si considera che l’area per un potenziale sviluppo delle forze produttive legate al capitale europeo non riguarda solo la “vecchia” Europa occidentale ma anche quella dell’ est, il bacino Mediterraneo ed anche il Medio Oriente che vede una condizione estremamente instabile determinata dalla transizione della Turchia, dal ruolo di Israele e dal pesante intervento Usa per il controllo delle risorse energetiche di quell’area.
Nel convegno questa parte strutturale, che appunto abbiamo sviluppato e rappresentato in anni di lavoro, per noi è un punto di partenza acquisito su cui ragionare per definire una linea di intervento che vada oltre la sola analisi e che riesca a divenire una forza in grado di agire in concreto in questo nuovo contesto continentale.
Conseguentemente il primo passaggio che ci si pone è quello della analisi della nuova composizione di classe prodotta dallo sviluppo delle forze produttive; questo sta ridisegnando in modo radicale quella che è la classe lavoratrice, non modificando in radice i rapporti di classe ma cambiando la concretezza dell’essere e del vivere della forza lavoro.
Il convegno ovviamente non può affrontare un simile lavoro, che richiede anch’ esso tempo ed una forte e consistente elaborazione teorica e politica, ma può affrontare una questione “specifica” che attiene alla dimensione della analisi di classe ma che ha degli effetti politici strettamente connessi alla costruzione della UE.
Ci riferiamo alla presenza di una aristocrazia salariata, che riteniamo essere “parente” della vecchia aristocrazia operaia di leniniana memoria, presente in tutti i centri imperialisti, dall’Europa agli USA fino al Giappone, decisiva ai fini della costituzione del blocco sociale che deve sostenerepoliticamente ed ideologicamente la costituzione del polo imperialista europeo. Esiste insomma nel cuore dell’ Europa, inteso anche in senso fisico cioè al centro della Europa occidentale, un vasto corpo sociale, spesso impropriamente definito come “ceto medio”, che è sottoposto alla pressione di vari processi.
Uno è sicuramente la riorganizzazione produttiva e del welfare che causa una riduzione del benessere economico e nuovi problemi sociali; l’altra deriva dal fatto che questa massa sociale è al contempo lavoratrice e consumatrice e dunque è materialmente il mercato di sbocco dove vengono vendute le merci prodotte materialmente altrove. Per il capitale europeo sarebbe un problema impoverire oltre un certo limite questa parte di società perché diverrebbe ancora più problematica la crisi di accumulazione in assenza di mercati alternativi, visto che sia la Cina che l’India in termini di consumo sono ancora molto arretrate; d’altro lato, la crisi ed il conseguente accentuarsi della competizione economica internazionale determinano una forte spinta alla compressione di salari e stipendi dei lavoratori dei paesi imperialisti per far fronte alla riduzione dei profitti.
E’ su questa consistente parte della società, sulle sue insicurezze e crisi sociale, sulla sua assenza di identità e sulla subordinazione culturale che la caratterizza in questo periodo storico che si innestano le operazioni politiche ed ideologiche della costituenda borghesia continentale: questa cerca di rimuovere od utilizzare a proprio vantaggio le crescenti contraddizioni, evitando che esse sfocino in un aperto conflitto di classe, che determinerebbe tra l’altro la crisi della unificazione europea cosi come è stata oggi concepita.
LA FUNZIONE DELLA SOGGETTIVITA’
Un secondo piano di confronto verrà sviluppato nell’analisi degli ambiti che potremmo definire “sovrastrutturali”, tenendo però ben presente che la separazione da quella che viene definita “struttura” non può essere intesa in termini schematici e che spesso, come si è storicamente visto, le forze che agiscono nell’ambito sovrastrutturale riescono a condizionare, coscientemente o meno, in positivo o in negativo, l’andamento della struttura stessa. A tale riguardo vale la pena di ricordare come già Engels, poi ripreso e sviluppato da Labriola e da Gramsci, mettesse in guardia contro l’errore di negare “ogni efficacia storica” e ogni “influenza” della sovrastruttura “sul corso delle lotte storiche” (lettera a J. Bloch del 21/9/1890 e a F. Mehring del 14/7/1893). In tempi più recenti Althusser ha insistito sulla centralità degli “apparati ideologici di Stato” per la stessa riproduzione dei rapporti di produzione. Ma in fondo la stessa rivoluzione d’Ottobre nacque dal rifiuto del determinismo economicistico proprio della Seconda Internazionale.
Gli elementi da affrontare in questo ambito sono molti e tutti di attualità politica. A partire dalla Costituzione Europea, siglata a Roma nell’ottobre del 2004, che rappresenta una sintesi oligarchica dell’Europa in funzione esclusiva del capitale finanziario e della ricerca degli equilibri tra gli interessi delle varie borghesie nazionali. Costituzione che non verrà democraticamente ratificata da alcun referendum continentale ma verrà approvata in base a criteri di opportunità nazionale e con l’unico obiettivo dell’ accettazione di questa unione precostituita.
Il costituendo Esercito Europeo, che si pone l’obiettivo in questa fase non certo di competere con gli Stati Uniti ma di acquistare pari dignità, ed armamento, come condizione preliminare per una vera competizione militare con gli USA, ma anche con la Russia e la Cina. Il campo di “battaglia”, oppure la cassa di compensazione, per raggiungere questo risultato è la NATO che dovrebbe divenire, come ha detto l’ex presidente della commissione europea Prodi, un “arco” che ha i suoi due punti di forza negli USA e nella UE; a differenza di quanto accadeva nei decenni precedenti, quando la NATO era invece una piramide con al vertice i soli Stati Uniti.
Infine c’è l’immagine precostituita che si vuole dare dell’ Europa e che fa parte di una grande operazione ideologica per produrre egemonia, soprattutto su quella parte di società che vive la condizione che abbiamo prima descritto. Il confronto sistematico che viene fatto tra il “buonismo” europeo e l’arroganza prepotente degli USA; la contrapposizione tra il nostro sistema sociale, che tiene conto dei cosiddetti “ultimi”, e quello americano incentrato su un darwinismo sociale senza pietà; il confronto tra la cultura continentale e quella statunitense caratterizzata, soprattutto nelle tv, da una mercificazione totalizzante che tiene conto solo del “business”, il presidente francese Chirac è divenuto uno degli alfieri di questa polemica, sono parti di una identità diversa che si vuole dare ai popoli europei ed agli altri popoli del mondo, alternativa e competitiva nei confronti di quella, tuttora egemone a livello mondiale, degli Stati Uniti d’America.
Che poi nella realtà stia accadendo che il modello sociale “renano” venga soppiantato da quello “anglossassone” dove prevalgono le privatizzazioni, la precarietà del lavoro e della vita, la distruzione sistematica del Welfare, anche per i paesi leader quali la Francia e la Germania, è una questione del tutto sottaciuta e sistematicamente nascosta sotto il velo della demagogia europeista.
In quest’ambito riteniamo importante ed utile avviare anche una riflessione storica ed una ricostruzione del pensiero comunista sull’Europa e della sua evoluzione fino agli ultimi decenni del secolo scorso, a partire dalla rivoluzione del ’17 e dal tentativo di estendere ai paesi capitalisticamente avanzati l’ esperienza rivoluzionaria.
LA NOSTRA TESI
Se è valido il nesso dialettico tra struttura e sovrastruttura, cioè tra oggettività e capacità di azione soggettiva, dove il dato sovrastrutturale è certamente determinato dalla condizione obiettiva ma che a sua volta incide su questa, è chiaro che diviene centrale definire il ruolo dei comunisti nel processo di unificazione. Un ruolo, infatti, che non può essere concepito solo come funzione interna a questo processo perché in tal modo si rischia di perdere autonomia politica e di far considerare la UE come fatalisticamente necessaria a prescindere dalla sua natura di classe.
Cosa significa concretamente questa forte soggettività da costruire? Quali nodi teorici mette in evidenza questa necessità? Quali riflessioni autocritiche ci spinge a sviluppare? Queste sono solo alcune questioni che pone una riflessione legata tutta alla “rifondazione” effettiva di una forza comunista in Italia ed anche, sempre più nel futuro, in Europa.
La nascita della UE come nuovo blocco economico, lo abbiamo già detto, è il risultato di un nuovo salto in avanti delle forze produttive causato dallo sviluppo scientifico e tecnologico in forma capitalistica. La dimensione nazionale è stata superata, nel periodo che ci divide dagli anni ’70, con la mondializzazione del modo di produzione capitalistico e con un nuovo livello statuale che sta portando alla costruzione dei blocchi economici imperialisti.
Questo non accade solo in Europa ma anche nelle Americhe con il tentativo di costruire l’ ALCA ad egemonia Statunitense; il Giappone ha tentato una strada simile con l’estremo oriente alla fine del secolo passato fallendo a causa dell’ accresciuto ruolo geopolitico della Cina e per la crisi finanziaria degli anni ’90, scatenata dal FMI e dagli USA, per ridimensionare un pericoloso competitore. Su questa via hanno tentato di procedere non solo i paesi imperialisti ma anche altre realtà della periferia, come è accaduto per esempio, con molta meno “fortuna”, in America Latina con il Mercosur.
La forza di questa tendenza è legata alla capacità di aumentare la produttività sociale riorganizzando la produzione sulle cosiddette filiere internazionali, elevando lo sviluppo delle cittadelle imperialiste e coinvolgendo in modo molto più organico, rispetto alle caratteristiche dell’imperialismo del ‘900, i paesi della periferia nella produzione complessiva.
Che d’altra parte fosse necessario andare oltre la dimensione nazionale, per raggiungere un più alto livello di produttività complessiva del sistema, era stato ben compreso da Lenin con la costituzione della Unione delle Repubbliche Sovietiche ed evidenziato da tutta la successiva esperienza dei paesi del socialismo reale che avevano visto, per un periodo niente affatto breve, una crescita economica irraggiungibile per le economie occidentali.
L’ unificazione europea assume tutte le caratteristiche della necessità, dato il contesto generale caratterizzato da rapporti capitalistici, ed a poco valgono i richiami alla tradizione, alla nazione, etc. e dunque la nostalgia del vecchio livello di sviluppo; il treno si è nuovamente mosso ed è del tutto vano tentare di fermarlo. Questa ripresa di movimento non avviene in modo lineare e senza intoppi, ma ripropone tutte le contraddizioni di fondo, insite nel sistema capitalistico, che hanno generato gli eventi rivoluzionari del ‘900 ed il primo superamento, parziale ed inadeguato, del capitalismo stesso.
Il punto centrale della tesi che vogliamo affermare è che dentro questo processo i comunisti ci devono stare in modo attivo, definendo un loro ruolo autonomo e ben distinto. Ciò è possibile basandosi sulle contraddizioni che verranno generate dal processo di deriva oligarchica, ben rappresentata nella formulazione della costituzione europea recentemente firmata a Roma, al fine di far crescere le forze di classe e la loro autonomia politica.
Naturalmente nella azione pratica va tenuto conto del contesto in cui si agisce, rispetto al quale vanno adottate le tattiche adeguate: è infatti evidente che il ruolo ed il progetto dei comunisti al centro dello sviluppo imperialista non può essere lo stesso di quello dei comunisti che agiscono nella periferia; ma il principio della indipendenza politica va mantenuto, forse con maggior forza, anche nei paesi sviluppati.
Una posizione così netta, che potrebbe apparire ideologica e legata ad una identità quasi metafisica, va spiegata se non vogliamo entrare in contraddizione con la concretezza che ha contraddistinto i comunisti nei periodi migliori. Se prendiamo in considerazione la transizione che c’è stata negli anni ’90, cioè da un periodo in cui il campo capitalista è rimasto unito ed ha vinto la sfida con l’ URSS ad un altro dove sono riemerse in modo eclatante le contraddizioni interimperialiste che apparivano superate con la seconda guerra mondiale, non possiamo che prendere atto dell’ inizio di un periodo di crisi di egemonia del capitalismo come modello unico ed eterno. Crisi non ancora manifesta e certamente resa meno esplosiva dalla assenza di una alternativa sociale, ma comunque reale.
Abbiamo avuto altri momenti storici in cui il capitalismo ha rappresentato momenti di crescita per tutta l’umanità, permettendo di sviluppare livelli di civiltà impensabili fino a pochi decenni prima, e questa è stata la storia del XIX secolo. Ma questa fase progressiva durata decenni si è conclusa con una tragedia cominciata con la prima guerra mondiale e conclusasi solo nel 1945. Si è manifestata in quel periodo l’impossibilità per il capitalismo di superare le proprie contraddizioni; esso è divenuto un limite allo sviluppo di tutta l’umanità. Non è stato certo a causa della furbizia o della cattiveria di qualcuno che proprio in quel periodo si sia pensato e tentato di costruire un’altra società possibile.
Oggi stiamo vivendo un passaggio simile, in cui la crisi dà vita, in maniera sempre più chiara, a conflitti interimperialistici, ovvero appare lo stesso limite mostrato all’inizio del ‘900 e la stessa crisi di egemonia. Se questo è il contesto e la prospettiva , e noi crediamo che sia tale, è evidente che schierarsi con una delle frazioni del capitale complessivo in lotta sarebbe un errore gravido di conseguenze.
Porre il problema della indipendenza non è perciò affermare ideologicamente una identità, peraltro oggi molto poco definibile in astratto data la crisi del movimento comunista, ma è l’unico modo per mantenere una funzione strategica che sappia crescere dentro le contraddizioni generate dalla nuova situazione e, a partire da questa capacità di “adattamento”, ridefinire in concreto l’identità dei comunisti in questo secolo.
Questi sono i motivi di fondo che ci spingono a sostenere la nostra tesi e per cui pensiamo che le posizioni di parte dei partiti comunisti e della sinistra europea, che abbiamo in precedenza sommariamente descritto, non ci convincono.Ma ci sono anche altri motivi che ci spingono a criticare le posizioni suddette partendo da alcune riflessioni anche di carattere teorico. Su questo vogliamo essere molto espliciti ed affermare che le posizioni che appoggiano l’ UE e che sostengono politicamente, in un modo o nell’ altro, questo percorso derivano da una concezione deterministica della realtà.
La valutazione che l’ UE sia di per sé un fatto progressivo, variamente motivata, riteniamo che si basi sul presupposto errato “che basti la contraddizione in sé, in questo caso tra UE gli USA, per generare un processo comunque positivo, e che dunque sarebbe un errore non “schierarsi” dentro questa situazione. Ovviamente affermare questo non significa dire che gli effetti prodotti dal processo di unificazione europea siano tutti negativi: infatti l’unificazione tendenziale a livello continentale della classe operaia – e dei lavoratori in genere – che essa comporta crea in prospettiva un nuovo e più avanzato terreno di lavoro per i comunisti.
Ci permettiamo di essere estremamente sintetici limitandoci ad andare al nocciolo delle questioni che poniamo, ma anche in questo caso crediamo che vada ricordato il nesso tra oggettività e soggettività; riteniamo, infatti, che una posizione interna alle compatibilità del processo di unificazione, comunque motivata, non sia in grado di creare forze sociali e politiche capaci di incidere autonomamente sui processi reali. Crediamo al contrario che tattiche del genere, sganciate dai rapporti di forza complessivi e in assenza di una propria strategia, finiscano inevitabilmente per risultare subalterne e piegarsi al solo livello istituzionale ed a logiche di scambio politico che in questa fase non possono non essere regressive.
Vorremmo inoltre evidenziare che quella del determinismo è una concezione che ha accompagnato tutti noi, le autocritiche sono qui inevitabili, nelle vicende dell’ ultimo scorcio del ‘900: ad esempio, la convinzione che negli anni ’60 e ’70 il capitalismo fosse agli ultimi suoi passi era diffusa e forte tanto ad est come ad ovest.
Nella Unione Sovietica si era talmente sicuri della forza delle contraddizioni “oggettive” del capitalismo che si è pensato come unico livello di confronto quello militare, lasciando poi ai popoli del terzo mondo ed alle classi operaie il compito di approfondire la crisi. Il contare sui rapporti di forza militari come elemento principale ha sostituito la costruzione del progetto sociale alternativo al capitalismo e la capacità teorica necessaria a questa stessa progettualità.
Nei movimenti e partiti comunisti occidentali la situazione non è stata certo diversa; anche qui la “inevitabile” crisi del capitalismo ha condotto ad una sopravvalutazione della contingenza e della tattica, producendo anche una deleteria competizione tra le varie frazioni e organizzazioni, generando quel politicismo che ha prodotto e produce tanti danni. Tutto ciò ha impedito, anche qui, una capacità di teoria e di azione più avanzata producendo lo stesso blocco che si è avuto all’ est.
Non è certo un caso che al crollo del PCUS siano seguiti quelli formali ed elettorali di molti partiti dell’ Europa occidentale, e che gli stessi partiti socialdemocratici abbiano avviato un processo che li ha avvicinati ad una rappresentazione politica di tipo centrista, al di la del nome che hanno mantenuto.
Questa presa d’atto non ci può che spingere a rompere con una concezione determinista, prendendo atto che la capacità di analisi ed elaborazione teorica e di azione politica soggettiva ed organizzata era e rimane un fatto fondamentale senza il quale è impossibile ipotizzare qualsiasi altro mondo possibile. Definire con chiarezza le analisi, la funzione, gli obiettivi e le possibilità potenziali effettive di una certa prospettiva è un compito al quale non è possibile sottrarsi non solo per i comunisti, ma per qualsiasi altra forza che voglia cambiare lo stato presente delle cose.
Naturalmente questa necessità percorre tutti i campi del conflitto di classe, da quello sociale a quello più direttamente sindacale, da quello politico- istituzionale a quello della battaglia culturale e della egemonia possibile, con modi ed intensità differenti, modificandosi dentro il mutare delle condizioni in cui lo stesso conflitto si sviluppa.
Qui però vorremmo mettere al centro della riflessione la questione strategica legata alla organizzazione dei comunisti e cercando di mettere in chiaro qual è l’obiettivo principale per chi si pone in questa prospettiva. La sconfitta subita pone questioni molto serie che vanno affrontate ed alle quali vanno trovate delle risposte altrettanto serie; è evidente a tutti che muoversi in questo senso significa avviare un percorso processuale che rimette in discussione sia la teoria, intesa come guida all’azione e non come apparato ideologico, che la pratica seguita dal movimento comunista.
Ovviamente noi dobbiamo parlare a partire dalla nostra condizione, che è quella di chi vive ed agisce nella realtà dell’ Europa occidentale; in questo senso crediamo che l’obiettivo principale che si devono porre i comunisti è oggi quello dell’ accumulo delle forze piuttosto che quello della azione diretta per la trasformazione complessiva della società, cosa questa difficile anche per chi affronta contraddizioni materiali molto più pesanti come quelle dei paesi periferici e di quelli aggrediti militarmente dall’ imperialismo
Accumulo di forze significa riuscire a penetrare fin dove è possibile in tutte le contraddizioni che questa società esprime, da quelle economiche a quelle sociali, da quelle politiche a quelle istituzionali fino a quelle culturali ed etiche che lo sviluppo attuale va producendo, adottando le tattiche necessarie adattate alle situazioni specifiche, vista diversa intensità delle contraddizioni nei molteplici ambiti.
Per condurre una simile e improba battaglia, e non far divenire di nuovo la sola tattica il riferimento dell’azione e della prospettiva, è necessaria una forte qualità politica e teorica, una capacità di movimento nelle nuove condizioni date, ma anche una solida e convinta indipendenza della organizzazione dei comunisti sia sul piano delle concezioni sia su quello della azione politica.
La questione dunque della UE non può essere affrontata con un atteggiamento tattico legato alle contingenze, alle alleanze politiche del momento o tenendo conto pragmaticamente del “senso comune” o della pubblica opinione; le tendenze che stanno emergendo e che riproducono la competizione interimperialista – benché, e non potrebbe che essere così, in forme nuove rispetto al passato – impongono una forte indipendenza e la necessità di distinzione netta dalle “fazioni” in lotta, per non essere costretti nel futuro a votare di nuovo i “crediti di guerra”.
ALCUNE PROPOSTE DI LOTTA PER ROMPERE L’ EGEMONIA
Le ultime valutazioni fatte non possono limitarsi a definire un orientamento strategico generale in cui si riaffermi l’autonomia del movimento di classe e dei comunisti, ma devono anche misurarsi con alcune indicazioni politiche che facciano vivere concretamente le riflessioni nella società europea e nel conflitto di classe che, per quanto venga esorcizzato e compresso, trova sempre momenti di riproposizione e di visibilità politica.
Ci sono alcuni terreni su cui è possibile praticare un’ azione politica con l’obiettivo di contenere le spinte regressive della attuale costruzione europea e nello stesso tempo portare avanti quel processo di accumulo delle forze fondamentale per ridare forza ad una prospettiva di cambiamento. Questi sono sostanzialmente quello della difesa e del rilancio del welfare, l’opposizione all’esercito professionale europeo e all’incremento delle spese militari e quello della costituzione europea e della democrazia; naturalmente non sono i soli terreni, ma sono quelli che caratterizzano il DNA dell’attuale processo di unificazione.
IL RILANCIO DELLO STATO SOCIALE – come abbiamo già detto lo sbandierato carattere sociale della UE è solo una copertura ideologica al reale processo di “americanizzazione” della società europea: un processo fatto di privatizzazioni, di allungamento della giornata lavorativa a parità di salario, di precarietà e di sfruttamento dei lavoratori, di riduzione drastica delle tutele sociali. Questi processi appaiono oggi inarrestabili e sono dovuti alla competizione globale che mette sotto pressione le strutture produttive dei paesi competitori e colpisce le conquiste dei lavoratori europei. Questo europeo è un livello del conflitto di classe che va costruito dentro un processo lungo e complicato ma che non ha alternative; dunque rafforzamento del welfare, redistribuzione della ricchezza prodotta, organizzazione del blocco sociale che ha interesse ad opporsi ad una costruzione conservatrice dell’ Europa devono essere alcuni punti di riferimento di una lunga lotta da intraprendere.
L’ ESERCITO EUROPEO – è sempre più evidente come la guerra torni prepotentemente a manifestarsi come fattore risolutivo nelle controversie internazionali. Questa non è una condizione contingente e straordinaria, ma è la manifestazione patologica dell’ attuale livello di sviluppo del sistema capitalistico. L’ UE si “affaccia” alla storia ponendo come questione centrale la costruzione dell’ Esercito Europeo e dell’ aumento delle spese militari, ponendole fuori dai parametri di stabilità economica imposti dal trattato di Maastricht in poi. Con queste premesse, fatte proprie sia dalle forze conservatrici che da quelle progressiste, non è difficile prevedere un accentuato ruolo imperialista dell’ Europa che contribuirà non a stabilizzare il quadro internazionale ma a destabilizzarlo ulteriormente. Su questo terreno una tattica filoeuropea ed antiamericana rischia di essere pesantemente negativa per le forze di classe e democratiche che devono, invece, mantenere ben salda l’ opposizione al riarmo europeo e devono battersi per riconvertire le risorse dedicate alla guerra verso fini sociali.
LA DEMOCRAZIA E LA COSTITUZIONE EUROPEA – il paradosso su cui si sta costruendo l’ unità dell’ Europa è quello di essere arrivati ad una costituzione senza aver mai chiamato i popoli coinvolti ad una consultazione democratica. L’ UE è un nuovo soggetto statuale in divenire promosso esclusivamente dalle borghesie nazionali e dalle loro rappresentanze politiche, dai poteri finanziari e dalle burocrazie soprannazionali: questi sono gli attori che hanno discusso ed approvato una costituzione sconosciuta ai popoli europei e basata su oscuri equilibri e calcoli di potere. E’ chiaro che in questo modo vengono a mancare i presupposti democratici ad una Europa che invece si spaccia per l’alternativa al neoconservatorismo degli USA e per “guardiana” della democrazia: la realtà è che la costruzione stessa di questa nuova e potente entità non è sottoposta a nessun controllo popolare e che, a causa dei suoi contenuti, costituisce invece il presupposto per un rafforzato controllo sociale in funzione delle politiche utili agli interessi delle classi dominanti.
CREDITS
Immagine in evidenza: Eurofighter DA2 MOD 45132084
Autore: Sgt Jack Pritchard, RAF, 23 aprile 1999
Licenza: Open Government Licence version 1.0
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