Rete dei Comunisti
Quando è stato messo in cantiere questo primo Forum sul Novecento – e il documento di convocazione lo sottolinea chiaramente – eravamo ben consapevoli e convinti che il dibattito non poteva che essere “senza rete” e che tutti i compagni e tutte le esperienze storiche del movimento comunista potessero rivendicarvi il diritto di parola. Non solo. Se tutti gli invitati fossero venuti, sarebbe stato un dibattito molto più “movimentato” di quello di questi due giorni.
Di un fattore preliminare dobbiamo essere certi: se partiamo dalla storia che ognuno di noi legittimamente rivendica, non potremmo che litigare e dividerci nel giro di pochi minuti.
In questi due giorni più di qualche relatore o intervento non ha saputo resistere al “richiamo della foresta” cioè alla rivendicazione delle proprie tesi e della propria identità come chiave di lettura. In parte era inevitabile. Ma c’è un dato oggettivo al quale nessuno può sottrarsi. Quando tra il 1989 e il 1991 il socialismo reale è venuto giù, molti compagni si sono disperati ma altri compagni si sono invece rallegrati perché ritenevano che la prospettiva della lotta per il socialismo non dovesse più fare i conti con l’ipoteca rappresentata dall’esperienza sovietica. I fatti, che hanno sempre la testa dura, hanno dato torto ad entrambi e, paradossalmente, dopo anni di divisioni e lacerazioni ideologiche e analitiche, li hanno messi insieme a bagno dentro l’acqua sporca. Adesso entrambe le posizioni hanno un problema comune: come salviamo il bambino?
C’è una domanda mai posta alla quale dovremmo cominciare a risponderci onestamente. Siamo proprio sicuri che nel XXI° Secolo i comunisti in Italia o in Europa, siano ancora l’avanguardia e non un settore ormai arretrato del processo storico della lotta per il socialismo? Se nel Novecento, nel bene o nel male, i comunisti incarnavano l’avanguardia politica, culturale, sociale del cambiamento, interpretavano meglio di altri le aspettative sul futuro, su una modernizzazione della società che coniugava scienza e uguaglianza, progresso ed emancipazione (e aggregavano su questo intellettuali, scienziati, lavoratori avanzati etc. ), oggi possiamo sostenere onestamente che sia ancora così? Oppure dobbiamo ammettere che prevalgono ancora atteggiamenti conservatori, identitari, ed anche un po’ nostalgici? Ciò è valido sia per chi rivendica l’esperienza sovietica sia per chi l’ha criticata (dai terzointernazionalisti ai quartointernazionalisti, dai togliattiani alla sinistra comunista). Di nuovo: come lo salviamo il bambino se tutto sommato auspichiamo che sia uguale a quello vecchio che è rimasto affogato nell’acqua sporca?
Arrivare a questa consapevolezza di se stessi è un aspetto decisivo di quel passaggio di metodo nell’analisi del Novecento e del movimento comunista che questo forum deve contribuire a costruire.
In diverse relazioni e interventi ma anche nei dibattiti a cui abbiamo preso parte in giro per l’Italia, spunta ripetutamente la questione della Cina. Il modo con cui viene posta la questione sembra più adatta ad un ring pugilistico che a un dibattito critico ma rigoroso e dinamico. Anche qui il passaggio di metodo si impone, perché molti compagni – critici o sostenitori della Cina oggi – riconoscono il dato oggettivo della crescita economica impetuosa ma si dividono sulla sua natura.
Il documento preparatorio, sottolinea invece come i sistemi a economia pianificata (socialisti, socialistici, a capitalismo di stato o come volete) riescano effettivamente a raggiungere e superare anche in modo consistente la “barriera dell’arretratezza”. Ma la seconda barriera – quella dell’egemonia – come mai non si sono rivelati ancora in grado di superarla? Quale è ad esempio la soggettività politica del processo in corso in Cina? Quale è la sua capacità politica ed ideologica di esercitare una egemonia più avanzata all’interno della propria società e nelle relazioni internazionali? Alla luce di quanto avvenuto in URSS, questo non è più un dettaglio.
In alcuni interventi sono state avanzate proposte di seminari e incontri di approfondimento su questi temi. E’ una proposta che accettiamo volentieri segnalando però la pertinenza di questo nostro approccio.
Dobbiamo poi riconoscere che il metodo di lavoro seguito in questi anni come Rete dei comunisti, ha dato risultati interessanti. Anche sull’imperialismo e sulla nuova composizione di classe del lavoro, i primi incontri sono stati “movimentati”, anche più movimentati di questi due giorni.
Ma poi con un percorso che è andato per approssimazioni successive, si è arrivati ad una sintesi sull’attualizzazione dell’analisi dell’imperialismo e della nuova composizione di classe che hanno contribuito – se non ad esercitare una egemonia – a riportare nel dibattito analisi, riflessioni e tesi che erano state espulse o rimosse dal dibattito stesso nella sinistra e nei movimenti sociali.
Affermare la tesi della competizione globale interimperialista quando tutti navigavano nella categoria della globalizzazione o riaffermare l’inchiesta di classe e una idea della ricomposizione di classe del blocco sociale antagonista quanto tutti parlavano di “società civile o di moltitudini” o, peggio ancora, di fine del lavoro e di “fine del conflitto capitale-lavoro”, è stato un risultato politico importante. Queste tesi oggi vengono riprese, discusse, condivise o combattute ma sono uscite dal dimenticatoio in cui erano state rimosse.
Infine, dobbiamo ammettere che siamo stati “fortunati”. Riaprire il dibattito sul Novecento e sul movimento comunista cinque o dieci anni fa non sarebbe stata la stessa cosa che riaprirlo in questo primo decennio del XXI° Secolo. Il rischio di un dibattito accademico o identitario sarebbe stato molto, molto più forte.
Oggi infatti si è riaperto il dibattito sul Socialismo del XXI° Secolo a partire proprio dalle aree dove – come conseguenza di una estesa e critica industrializzazione – lo sviluppo delle forze produttive e la loro contraddizione con i rapporti di produzione si è fatto più forte: l’America Latina e l’Asia. Nel primo caso – anche per i più critici – è innegabile il contributo portato dalla esistenza e dalla resistenza dell’esperienza cubana. La soggettività politica di Cuba si è interconnessa strettamente con i processi e i movimenti reali in corso nel continente latinoamericano: dal Venezuela alla Bolivia, dai movimenti sociali ai forum di discussione in tutta l’America Latina.
Dunque siamo in una condizione storica decisamente migliore di quella di solo un decennio fa. E’ per questo motivo che il secondo Forum “Il bambino e l’acqua sporca” non potrà che avere una dimensione ed una partecipazione internazionale, perché questa è oggi la dimensione corrispondente ai problemi e alle possibilità del Socialismo del XXI° Secolo.