Luciano Vasapollo (relazione all’assemblea nazionale RdC del 10-11 marzo 2007)
In questi ultimi anni abbiamo, tra le altre cose, rilanciato l’iniziativa politica anche sul piano teorico e dell’analisi delle trasformazioni capitaliste. Abbiamo analizzato la globalizzazione neoliberista come la nuova fase di mondializzazione del capitalismo moderno che disegna nella competizione globale il nuovo scenario dello sfruttamento attaccando e comprimendo i diritti del lavoro, i salari diretti e indiretti, tentando così di sconfiggere definitivamente il movimento operaio e di classe.
La competizione globale rincorrendo luoghi con costo del lavoro basso e senza protezioni sociali e a basse garanzie sindacali, o anche favorendo lo spostamento dei lavoratori provenienti soprattutto dai paesi dell’Est Europeo e dall’Africa mediterranea verso il centro Europa e dal Messico e l’America Latina verso gli Stati Uniti, ha evidenziato al concorrenza fra i diversi mercati del lavoro e la geografia economico-produttiva della nuova divisione internazionale del lavoro.
I paesi dell’America Latina, del Nord Africa, dell’Est Europeo così come quelli del Sud-Est Asiatico dispongono di forza lavoro spesso qualificata ma a costo molto basso; è così che con gli intensi processi di delocalizzazione produttiva le multinazionali e le imprese dei paesi centrali realizzano il reperimento di una manodopera all’estero ricattabile e disponibile a costi inferiori, tentando così di rilanciare quel processo di accumulazione in crisi ormai strutturale da oltre trenta anni. Nei paesi della periferia e semiperiferia come in America Latina si sviluppa la produzione prevalentemente e di carattere fordista, cioè quella produzione di serie di carattere industriale ormai quasi dismessa dalle metropoli imperialiste. Si realizzano al contempo quelle filiere produttive internazionali che attraversano interi continenti e se rappresentano la nuova frontiera dello sfruttamento capitalistico stabiliscono al contempo una relazione diretta fra i lavoratori di tutto il mondo.
L’America Latina quindi, insieme alle altre aree periferiche e semiperiferiche rappresenta un luogo privilegiato per la produzione fordista e per il rilancio dell’accumulazione attraverso uno sfruttamento industriale e sfrenato sperimentato negli anni ’50-’60 del secolo scorso nei paesi oggi a capitalismo maturo, nei quali oggi si realizza la fase cosiddetta postfordista e dell’accumulazione flessibile che convive però con i metodi produttivi fordisti e schiavistici.
Ecco il perché della nostra attenzione tutta politica e senza alcun approccio romantico o nostalgico alla realtà socio-politica dell’America Latina che a causa della ristrutturazione neoliberista vede sempre più allargare la forbice ricchezza-povertà. Il ruolo di semiperiferia economico-produttiva assegnato all’America Latina ne fa un’area in cui più alto e diretto è il conflitto di classe, nella centralità del conflitto capitale-lavoro e nell’esplicitarsi concreto e selvaggio e senza mediazione delle contraddizioni capitale-natura, capitale-scienza, capitale-democrazia, capitale-diritti meglio con la negazione dello Stato di diritto attraverso la brutale repressione dei movimenti di classe.
Con la rivista NUESTRA AMERICA, con i tanti inserti di CONTROPIANO, con quaderni, libri, convegni, ecc. stiamo evidenziando come questo passaggio nei metodi produttivi con il superamento di una dimensione nazionale non più funzionale ai processi di accumulazione dell’economia capitalista internazionale è soprattutto dettata dalla necessità di bloccare le conquiste operaie e di classe e le lotte di liberazione dei popoli che negli anni ‘60 e ‘70 avevano mostrato tutta la forza e la capacità di trasformazione radicale. La controffensiva del capitale è riuscita sicuramente a bloccare la forte iniziativa di classe di quegli anni ma oggi ne ripropone le stesse contraddizioni ad un livello più alto , globale, con movimenti sociali di massa, lotte sindacali, iniziative di classe e di resistenza diffusa maggiormente proprio in quelle aree dove più forte ed evidente è lo sfruttamento capitalistico. La competizione globale evidenzia da una parte un capitale imperiale internazionale che si finanziarizza, che si espande, che conquista nuovi mercati attraverso le guerre imperiali che si moltiplicano sia a livello militare, dove sono in gioco risorse strategiche come il petrolio, sia come guerre economico-finanziarie e sociali ; e le aree periferiche e semiperiferiche come l’America Latina costituiscono il laboratorio privilegiato della natura più selvaggia del capitalismo.
Quando il discorso neoliberista si insedia nell’America indigena-indo-africana si comprende immediatamente come i lavoratori salariati vadano a ricoprire un ruolo diversificato nel processo di accumulazione rispetto a quello anche di quei paesi sviluppati non appartenenti all’area di capitalismo maturo. L’America Latina è ancora una terra coloniale cioè quella terra a cui anche la stessa Europa guarda per le opportunità di mercato che offre e mai per i chiari messaggi politico-sociali che invia. La dipendenza dell’America Latina continua a rappresentare quel contesto in cui si approfondisce il crescente controllo trasnazionale dei processi di accumulazione nazionale, non solo attraverso la compressione dei diritti del lavoro e dei diritti sociali ma soprattutto negando l’accesso alla proprietà sociale dei beni comuni.
Non è casuale il viaggio dei primi giorni di marzo di Bush in America Latina che ha lo scopo di imporre la volontà delle multinazionali sui modelli di consumo ( la conquista delle risorse naturali per gli agrocombustibili per il nord portando ancor di più la miseria per il sud) e di cercare di svincolare l’impero statunitense dalla dipendenza petrolifera del Venezuela dopo aver perso di fatto la partita in Iraq e in Eurasia. Ma i movimenti di base e di classe dell’America Latina con grandi iniziative di massa e esprimono con tuta la loro rabbia il “malvenuto all’imperialista Bush! ”.
E’ così che le guerre economico-commerciali sono l’altra faccia della stessa medaglia delle guerre guerreggiate volute dall’imperialismo che si accompagnano al terrorismo di Stato e alla brutale repressione contro tutti i movimenti di classe; non è un caso che ancora oggi l’imperialismo spinga nell’applicare le ricette “consigliate” dal Fondo Monetario Internazionale o a proporre trattati neocoloniali come l’ALCA. Ma oltre ai movimenti sociali gli stessi governi rivoluzionari e progressisti dell’America Latina si oppongono a tali politiche e trattati che vogliono imporre ancora una volta lo scambio diseguale. E’ per questo che si vanno rafforzando sempre più progetti alternativi come quello dell’ALBA sottoscritto non solo da Cuba e Venezuela ma appoggiato ormai, a diversi livelli, da quasi tutti i governi dell’America Latina; e ciò proprio perché, al contrario dell’ALCA che persegue la liberalizzazione del commercio e le più spietate privatizzazioni , l’ALBA invece mette al primo posto la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. L’ALBA esprime lo spirito prodotto dalle lotte dei movimenti e delle organizzazioni di classe che rivendicano con forza la socializzazione dei beni comuni dimostrando concretamente che “un’altra America è possibile”.
Infatti la costruzione reale dell’ipotesi del socialismo del XXI secolo passa proprio attraverso quei vincoli della solidarietà internazionale che Cuba e il governo rivoluzionario di Chavez realizzano con tutti i governi democratici e progressisti dell’America Latina. Esempio fondamentale non è soltanto il progetto dell’ALBA ma gli stessi trattati del Petrosur , Petrocaribe, della Banca del Sur , di Telesur, insomma di tutti quei progetti e percorsi che mettono al centro gli interessi dei popoli del Sud America e quelle istanze di base che esprimono una forte caratterizzazione antimperialista e di indipendenza dalle politiche di “strozzinaggio” del Fondo Monetario Internazionale.
E’ evidente quindi che le risposte trovate dal capitalismo internazionale alla sua crisi hanno rilanciato l’offensiva di classe di movimenti, di sindacati, e anche di governi che firmano accordi e trattati che si oppongono al neocolonialismo e all’imperialismo.
La ristrutturazione e la nuova divisione internazionale del lavoro e della produzione imposta dalla globalizzazione neoliberista, o meglio dalla competizione globale, riporta in campo il movimento internazionale dei lavoratori e i movimenti della resistenza globale. E’ significativa in particolare la ripresa dell’iniziativa di lotta da parte dei movimenti sociali e sindacali, dai piqueteros e dai lavoratori che autogestiscono le fabbriche in Argentina, al movimento Sem Terra in Brasile , all’esplosione sociale contadina, operaia e indigena in Bolivia, in Ecuador e in Messico, alla resistenza popolare in Colombia con al centro la tenuta e il rafforzamento dei processi rivoluzionari a Cuba e in Venezuela. E’ proprio la sinistra di classe del Sud e Centro America che sta realizzando le condizioni per le nuove forme di opposizione politico-sociale a livello internazionale contro il neoliberismo e l’imperialismo.
Si tratta quindi di movimenti di classe, spesso spontanei, con non sempre una guida organizzata sul piano politico , ma pur sempre interni alle dinamiche di trasformazione radicale centrate sul conflitto capitale-lavoro e quindi più caratterizzate in chiave socio-politica rispetto ai movimenti di massa antiglobal e pacifisti.
Nel complesso i movimenti contro la guerra e il Social Forum, pur avendo avuto un effetto estremamente positivo per la ripresa dell’iniziativa di massa, hanno però avuto poco effetto pratico nel fermare la rapina neoliberista verso il Terzo Mondo, nel fermare lo sviluppo delle privatizzazioni con i loro effetti contro i lavoratori e intere popolazioni , nel far cessare le guerre di aggressione imperialista. Si è trattato di grandi movimenti di denuncia e di protesta che spesso hanno evidenziato la loro ciclicità e spontaneismo senza riuscire a costruire movimenti di lotta forti capaci di collegarsi con l’iniziativa di classe quotidiana del movimento internazionale dei lavoratori.
In America Latina, invece come si è detto , sono emersi tipi di movimenti sociali diversi basati sulla politica di classe , basati sulle lotte sociali, economiche che impegnano la grande massa dei poveri delle metropoli, i contadini, gli operai, gli impiegati pubblici, una piccola borghesia ormai in bancarotta, le comunità indios senza terra , tutti comunque legati da una forte caratterizzazione di un apolitica di classe.
I successi dei movimenti di azione diretta nel bloccare le privatizzazioni, nel mettere in fuga molti regimi neoliberisti in America Latina, sono proprio basati sul fatto di essere legati ai bisogni della gente, ai bisogni dei lavoratori, contadini ed operai organizzati sul terreno del conflitto di classe. Le importanti conquiste dei movimenti sociali e di classe in America Latina oltre alle sfide politiche che hanno affrontato anche sul piano elettorale e istituzionale dando un fondamentale contributo alla vittoria di fronti democratici, progressisti e di sinistra oggi stanno tentando di porsi su un terreno più avanzato, cioè sul piano dell’organizzazione e della rappresentanza politica di classe, si tratta di un problema oggi centrale che i movimenti devono affrontare per creare un nuovo soggetto politico rivoluzionario per la costruzione di un partito politico di massa capace di formulare una strategia che porti i lavoratori al governo e al controllo del potere statale.
Ma questo è un problema che la sinistra di classe ha anche in Italia, in Europa. Se le configurazione di classe differiscono fra i paesi a capitalismo maturo e le semiperiferie come quelle dell’America Latina e quindi le corrispondenti strategie e strutture sindacali e politiche devono riflettere tali specificità però il punto chiave e unificante rimane la necessaria convergenza tra movimenti di lotta e questione dell’organizzazione della rappresentanza politica di classe.
Una chiara difficoltà per comprendere le dinamiche dei movimenti e delle organizzazioni di classe internazionali deriva sicuramente dal fatto che le forze che si oppongono al capitalismo e all’imperialismo non hanno più quella forma omogenea e determinata che avevano fino a qualche decennio fa attraverso i partiti e le forze che hanno tenuto insieme i progetti di emancipazione della classe lavoratrice, i progetti di liberazione nazionale e i percorsi della costruzione del socialismo.
Ma tale difficoltà trova le sue più grandi responsabilità anche nelle scelte consociative della sinistra occidentale che ha abbandonato da tempo la pratica della solidarietà internazionalista nei confronti di quei movimenti politici e sociali che nelle aree di conflitto continuano a difende una prospettiva socialista e anticapitalista all’interno delle lotte di liberazione nazionale o in quella di resistenza alle aggressioni militari.
Il problema chiave, in teoria e in pratica, come spesso ci sottolinea James Petras , è la questione dello Stato e più precisamente la questione del potere statale . In alcuni casi i movimenti politici hanno rovesciato regimi solo per vedere un passaggio di potere della democrazia borghese e politici di professione corrotti che hanno continuato a seguire politiche neoliberiste pro-imperialiste.
E’ chiaro che senza una guida e una soggettività politica organizzata i movimenti di massa sono più forti nell’opporsi ai regimi che nel passare dalla “protesta” alla conquista del potere statale. Molte delle grandi lotte e anche delle grandi vittorie dei movimenti sociali e dei sindacati sono state soffocate, represse , incanalate nelle compatibilità della democrazia capitalista. Le rivolte di massa e le mobilitazioni di classe senza una soggettività rivoluzionaria che si muove sul terreno strategico della conquista del potere politico si ritrovano sempre allo stesso punto, devono cominciare di nuovo e di solito si scontrano con un nemico ancora più repressivo.
E’ così che si può comprendere perché le trasformazioni che hanno avuto maggior successo in America Latina hanno avuto luogo a Cuba e in Venezuela dove movimenti politici di base diretti da leaders rivoluzionari hanno una strategia chiara per esercitare il potere politico, governando ad esempio per la difesa dello Stato sociale , non con il semplice “no” alle privatizzazioni ma con l’abbattimento alla proprietà privata dei mezzi di produzione . Cuba e il Venezuela forniscono chiari esempi di come prendere e difendere nel tempo il potere politico , con una netta configurazione socialista. Ecco perché è strategico il nostro appoggio al rafforzamento dell’asse portante rivoluzionario Cuba-Venezuela poiché esprimono quella soggettività politica che avanza nella costruzione reale del progetto del socialismo del XXI secolo.
Il Venezuela costruisce la propria identità del socialismo bolivariano e dichiara guerra all’analfabetismo , porta medici nei quartieri poveri , nazionalizza il petrolio ed ha un forte e coraggioso sostegno popolare con la ormai forte caratterizzazione socialista della rivoluzione bolivariana di Chavez.
E poi c’è Cuba, presenza piccola eppure così forte , tanto da diventare ingombrante per chi la guarda dall’Europa , dal cosiddetto “Primo Mondo”; è lì e da quasi cinquanta anni resiste e tutte le enormi pressioni cui è sottoposta. Cuba non è più tanto “isolata” e il blocco , le sanzioni, la propaganda antirivoluzionaria, le informazioni taciute, gli attentati, i morti, il tanto danaro speso per farla sparire sono stati inutili , perché è li e continua a dire al resto dell’America Latina che un altro mondo è possibile , esiste già, ed è socialista!
E l’idea independentista della grande nazione latinoamericana di Martì e Bolivar assume la concretezza antimperialista e anticapitalista nel socialismo del XXI secolo. Infatti i processi cubano e venezuelano sono passati da movimenti di opposizione alla conquista e alla difesa del potere politico, e per questo sono diventati il principale obiettivo dell’aggressione imperiale USA per mezzo di colpi di Stato , attacchi terroristici e minacce continue di invasione militare.
La scommessa sulla possibilità di far partire il percorso del socialismo del XXI secolo in tutta l’America Latina si gioca proprio sull’asse Cuba-Venezuela. E anche tale considerazione da parte nostra non è basata su un sentimentalismo nostalgico rivoluzionario caro a tanta sinistra eurocentrica che dice di appoggiare le rivoluzioni lontane da casa propria e poi accetta le compatibilità del modernismo sviluppista, di un incompatibile e inesistente capitalismo temperato a carattere sociale; o come chi, in una falsa sinistra rivoluzionaria europea esalta romanticamente il combattente guerrigliero Che Guevara e risultano essere poi tra i più grandi denigratori del suo pensiero e della sua azione, contrapponendolo strumentalmente, con menzogne a chi, come Fidel con duro lavoro politico e le scelte successive del Partito Comunista Cubano, o quello dei comunisti sovietici che pur nelle contraddizioni e negli errori, hanno realizzato concretamente un processo socialista che ancora oggi rappresenta lo spettro che si aggira per l’Europa e per il mondo.
Ma anche sul pensiero di Guevara, i diversi approcci alla transizione e alla costruzione del socialismo stiamo lavorando per approfondire i problemi del socialismo realizzato sempre però pensando al futuro.
Si devono, quindi, costruire idee e azioni conseguenti coerenti che scaturiscono da processi reali, che valutano le possibilità di trasformazioni radicali concretamente , senza dogmi , senza “santi in paradiso” da venerare, guardano avanti ma sapendo ben guardare indietro.
Le possibilità di costruire movimenti di massa che si pongano nell’orizzonte strategico del socialismo del XXI secolo significa valutare concretamente la situazione reale , le forze in campo e le possibilità di incidere radicalmente sui processi di trasformazione realizzando da subito riforme strutturali per le conquiste sociali di diritti, di dignità del movimento internazionale dei lavoratori.
Ecco perché il nostro riferimento prioritario è Cuba, la sua rivoluzione, il suo governo , come lo è Chavez e la rivoluzione bolivariana e non può esserlo invece Marcos e la “via Zapatista”. Ci hanno espresso il loro dissenso verso Marcos durante il nostro viaggio in Messico i compagni dei movimenti e dei sindacati di base che hanno diretto grandi lotte in questi mesi. Come si sa il subcomadante Marcos ha chiesto e ottenuto dai suoi l’astensione nelle ultime elezioni, non riconoscendo alla coalizione del PRD (Partito Rivoluzionario Democratico) il ruolo di svolta delle politiche messicane . Ma non è questo, o meglio non soltanto questo, l’elemento di forte critica che i movimenti di classe messicani rivolgono agli zapatisti ; il dibattito in corso è anche intorno al problema di passare dai movimenti sociali e di azione diretta, dalle lotte spesso spontanee , alla costruzione di organizzazioni politiche con un programma definito , con un gruppo dirigente che abbia la capacità non solo di condurre le lotte ma di saperle portare sulla prospettiva della costruzione del socialismo.
Anche per i movimenti di classe messicani il governo cubano e i governo venezuelano forniscono chiari esempi di come andare oltre la semplice denuncia e la protesta contro il potere delle classi dominanti. I processi rivoluzionari cubano e venezuelano pongono infatti in maniera chiara la questione della conquista e del mantenimento del potere politico in chiave socialista, la questione delle nazionalizzazioni dei beni strategici e comuni , della socializzazione dei mezzi di produzione , in pratica la questione del controllo del potere statale.
Ed ecco tornare il tema che ponevano i compagni in Messico, cioè di come i movimenti sociali , i movimenti di classe si debbano dotare di quella soggettività che si muova nella direzione della costruzione del socialismo, mettendo da subito in atto programmi di riforme strutturali con significativi contenuti tattici ma orientati nella strategia del superamento del modo di produzione capitalistico.
Su questi temi la sinistra di classe europea deve chiamare ad una riflessione attenta tutti i movimenti e la stessa sinistra cosiddetta radicale che continua, nella migliore delle ipotesi, ad esprimere politiche eurocentriche ma sempre più spesso senza un vero piano di riforme strutturali, continuando a scegliere la strada del consociativismo nelle compatibilità di un illusorio capitalismo “temperato”.
Un’alternativa mondiale di lotta deve essere un progetto che contenga un significato popolare trasnazionale. Ma allo stesso tempo, senza un modello socioeconomico accessibile proprio dei settori popolari, si corre il rischio di giungere al governo per doversi poi limitare all’amministrazione delle crisi del neoliberismo, con la conseguente perdita della legittimità. Vedi ad esempio le giravolte di alcuni partiti della cosiddetta sinistra radicale europea.
Ecco la centralità del dibattito e del percorso di lotta, di rappresentanza e di organizzazione nel processo di costruzione del socialismo del XXI secolo. Mettere in collegamento i lavoratori che si impoveriscono dei paesi a capitalismo maturo con la nuova classe operaia della periferia produttiva come l’America Latina, che non solo oggi viene supersfruttata con gli stessi apparati e metodi fordisti usati nel passato ma che trova come controparte gli stessi poteri finanziari, economici e addirittura politici, non è più solo una giusta necessità e convinzione dei settori politici di avanguardia ma una necessità concreta materiale della lotta stessa della classe lavoratrice mondiale. In altre parole, si tratta di cercare l’imprescindibile articolazione tra gli interessi immediati e un’azione strategica di chiara impronta anticapitalista , che abbia come orizzonte un’organizzazione sociale fondata su valori socialisti e di reale emancipazione. Il che riconferma una volta di più l’importanza decisiva della creazione di nuove forme di organizzazione internazionale e solidale tra lavoratori.
Le esperienze del sindacalismo di base, che sono nate nelle ultime decadi soprattutto in Italia, ma anche in Spagna (Galizia, Catalogna), Paesi Baschi, Francia, ecc. contro la moderazione delle centrali sindacali dominanti, così come le esperienze dei movimenti dei lavoratori in America Latina e le tante altre manifestazioni di autonomia di classe dei lavoratori nelle diverse parti del mondo, sono esempi importanti di questa impellente necessità di riconquistare le basi sociali dei lavoratori, e di rompere con il burocratismo, l’istituzionalismo dei sindacati consociativi. E’ questo movimento di classe globale che parte dalla dura lotta del popolo cubano contro il bloqueo e contro il terrorismo imperialista che lo attanaglia da circa 50 anni, che trova forza nella rivoluzione bolivariana socialista di Chavez , che porta ad unità, ad esempio, le lotte dei lavoratori dell’America Latina e del sindacalismo di base e di classe, in Italia e in Europa con la resistenza del popolo palestinese. Una resistenza globale di classe che coinvolge sempre più masse di cittadini una volta esclusi da tutto e proietta il popolo direttamente al governo nella prospettiva del superamento del capitalismo e nella costruzione del socialismo.
Il socialismo del XXI secolo va riempito di contenuti reali di classe . Questa formulazione, apparentemente astratta, trova un contenuto concreto precisamente all’interno della vita quotidiana e nell’intensificarsi delle lotte sociali globalizzate. Ma è fondamentale che queste azioni abbiano, nella loro natura più profonda, una direzione essenzialmente contraria alla logica del capitale e del mercato. E’ questa la sfida dei sindacati di classe e dei movimenti antagonisti sociali e politici in Brasile, in Ecuador, in Argentina, in Italia , in America Latina, in Europa e in tante altre parti del mondo, come unica alternativa per affrontare la barbarie del dominio del capitale che oggi opprime e desocializza l’umanità che lavora.
A questo punto si capisce bene perché la battaglia per la liberazione dei cinque prigionieri politici cubani in USA , come la campagna internazionale contro il bloqueo , tutta la difesa della rivoluzione cubana, è in effetti la stessa difesa della Palestina, dell’indipendenza dell’Iraq, dei paesi e dei popoli aggrediti dall’imperialismo. Il sostegno ai movimenti di autodeterminazione dei popoli deve cominciare ad interagire politicamente e concretamente con i movimenti in Europa fuori dai particolarismi, dai protagonismi personali e dal tatticismo partitico, con spirito unitario. La costruzione vera della democrazia partecipativa socialista è una cosa seria; solo l’unità nella lotta e la solidarietà internazionale concreta politicamente paga e costruisce la ricomposizione di classe per l’alternativa nel percorso del socialismo del XXI secolo.
La lotta per l’autodeterminazione del popolo iracheno ,afgano, libanese e palestinese, il rafforzamento dei governi progressisti dell’America Latina attraverso la tenuta e la crescita dell’asse rivoluzionario Cuba-Venezuela, rappresentano nell’immediato la condizione fondamentale per la sconfitta, o almeno l’arretramento del meccanismo della guerra preventiva e per il rilancio su scala mondiale della lotta dei popoli contro l’imperialismo.
E’ a partire dalle lotte di indipendenza dei popoli, dalle lotte internazionali dei lavoratori, da una resistenza globale con le lotte di massa diversificate ma autodeterminate, che si costruisce concretamente un progetto globale di socialismo del XXI secolo.
L’internazionalismo, e quindi la battaglia per il socialismo del XXI secolo non può essere un vezzo di alcuni settori della sinistra radicale ma deve diventare un patrimonio condiviso da tutti quei movimenti sociali e politici di classe che mettono in discussione , dentro i confini a capitalismo maturo, gli assetti di potere ed economici.
Questa battaglia “culturale” e politica di massa deve però esprimere quella soggettività tutta politica di rappresentanza di classe, capace di indirizzare i movimenti di massa, sociali e sindacali, sul terreno anticapitalista, per la costruzione di percorsi reali capaci di diffondere la convinzione che le sorti di chi si oppone alla mondializzazione capitalistica tanto nelle metropoli quanto nelle periferie sono inscindibilmente legate.