Tenutasi a Roma il 15 aprile
Sergio Cararo – Rete dei Comunisti
La relazione di Salvatore Cannavò – che riassume in buona parte le cose scritte oggi sul Manifesto (domenica, NdR) – sostiene cose che sono largamente condivise e che sono nelle corde dei tanti che sono oggi in questa sala (1).
C’è del buonsenso nella proposta di un forum o patto che è stato proposto ai soggetti che hanno dato battaglia in questi anni sia al governo Berlusconi e che adesso la stanno dando al governo Prodi. L’aspettativa tradita è forte e cresce ogni settimana di più sul terreno della guerra e delle misure economico-sociali.
Con un parlamento che al 99% vota a favore della prosecuzione della guerra in Afghanistan, abbiamo visto concretamente come la politica sia diventata la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Ne condivide cioè gli obiettivi di fondo: il neocolonialismo che mira alle risorse, a serbatoi inesauribili di forza lavoro a buon mercato, al controllo geopolitico e finanche al controllo culturale di altri paesi.
Lo abbiamo detto anche in altre occasioni e lo sottolineiamo anche oggi: se la politica della sinistra al governo è diventata questa, gli esorcismi e i bizantinismi sui rischi dell’antipolitica da parte di chi si oppone al governo Prodi diventano risibili e ridicoli. In questo senso il nodo gordiano è stato tagliato dagli studenti universitari che hanno contestato Bertinotti e che dobbiamo ringraziare per aver semplificato le cose a tutti. Lo hanno fatto diversamente da quanto avvenne con la cacciata di Lama (e i paragoni non reggono), lo hanno fatto in modo civile e creativo coerentemente con le forme di espressione politica delle nuove generazioni (noi nel ’77 lo abbiamo fatto molto diversamente), ma lo hanno fatto chiarendo che sulla guerra non esistono governi amici e a loro deve andare il grazie di tutti noi.
Sul piano del movimento contro la guerra e della “politica” c’è però da rimanere impressionati anche dalla distrazione e dalla disattenzione con cui viene rimosso l’imminente pericolo di un attacco all’Iran che qualitativamente non potrà che essere diverso dalla recenti guerre che ci hanno visti coinvolti, che prevede l’uso di armi nucleari e onde di ritorno che attengono alla vita economica, politica e democratica anche nel nostro paese. Il governo tace e ci arruola di nascosto anche nel sistema di scudo missilistico USA denunciato da Di Francesco e Dinucci, la “politica” e il Parlamento non ne discutono in nessuna sede, ma anche il movimento contro la guerra non discute e non si rende consapevole della posta in gioco come se ballasse sulla tolda del Titanic prima di speronare l’iceberg e affondare.
Per discutere e coordinarci dobbiamo affrontare lealmente anche le questioni spinose. A nessuno può sfuggire che esattamente nove mesi fa (il 15 luglio) eravamo più o meno gli stessi di oggi, nella medesima sala e alla vigilia del primo voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. L’aspettativa che si respirava in questa sala allora, era la stessa che respiriamo oggi. È stato proprio il 15 luglio che Gino Strada disse qui parole che pesarono come pietre sul rapporto tra il movimento contro la guerra e le prime scelte di politica estera e militare del governo Prodi (e che in qualche modo se le deve essere legate al dito come dimostrano i fatti di queste settimane). Alcuni sostengono che questi nove mesi sono serviti ad accumulare le forze, a noi sembra invece che sono stati nove mesi perduti e che hanno accentuato le difficoltà del movimento contro la guerra.
In secondo luogo, l’ipotesi di una convergenza tra forze diverse su una agenda condivisa e sull’ipotesi di una nuova soggettività politica nella sinistra non può non fare i conti con il fattore ben individuato ieri (sabato) su La Repubblica quando da una ricerca emerge che in Italia ci sono circa mezzo milione di persone che campano con la “politica”. Questo ormai è diventato una sorta di blocco sociale trasversale dove trovi gli incubatori e i pretoriani del Partito Democratico o della Rifondazione Socialista etc. Questa massa critica per un verso funziona da tappo su ogni rinnovamento della sinistra basato sulla coerenza e su obiettivi avanzati, dall’altro ipoteca e ostacola il rapporto tra i settori sociali e la rappresentanza politica.
In questo senso e concludo, una ipotesi di nuova soggettività politica per una sinistra anticapitalista, contro la guerra presenta almeno un paio di problemi non rinviabili: l’indipendenza politica e l’esigenza decisiva di legarsi e connettersi con pezzi reali del blocco sociale antagonista (lavoratori, giovani, realtà territoriali consolidate e autonome), diversamente si rischia di farsi condizionare e risucchiare dal politicismo e dunque dall’attrazione magnetica rappresentata dall’influenza e dalla condizione materiale rappresentata da mezzo milione di professionisti della “politica”. Questo rischio esiste, ma esiste, ovviamente, anche l’esigenza di una rappresentanza politica indipendente dei movimenti e di parte del blocco sociale antagonista.
Su questo invitiamo a riflettere un po’ tutti, ma riteniamo comunque utile discutere le proposte che sono state avanzate nell’incontro di oggi.
Sergio Cararo (Rete dei Comunisti)
(1) I punti e le riflessioni dell’introduzione di Salvatore Cannavò all’assemblea sono largamente anticipati nell’intervento pubblicato sul Manifesto di domenica 15 aprile. Comunque possiamo riassumerli così come li abbiamo capiti e riportati sui nostri appunti:
“Di fronte a una rifondazione socialista che per la prima volta si fa stando al governo e con Bertinotti che invoca Mitterrand come modello da seguire, non può che nascere una soggettività politica a sinistra diversa. Rifondazione di oggi è quella del Cantiere, noi siamo un’altra Rifondazione, un’altra sinistra. Siamo la seconda Rifondazione. Riteniamo di dover recuperare lo spirito della Prima Internazionale piuttosto che dividerci ancora su Terza e Quarta Internazionale.”
La proposta: “Un patto/forum di convergenza, di unità e lotta su due cose:
Un’agenda condivisa sui seguenti punti: piena solidarietà con Emergency, via le basi militari, manifestazione contro la visita di Bush a Roma, sostegno al Gay Pride del 9 giugno contro l’offensiva del Vaticano, pensioni e precarietà, vertenze territoriali (Val di Susa, inceneritori, centrali turbogas etc.)
Una dichiarazione/manifestazione pubblica dell’esistenza di questo patto che apra uno spazio unitario a sinistra.”