Allegato al Documento politico per la 3ª Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti – Roma 2-3 aprile 2011
L’assemblea di confronto che abbiamo convocato oggi ha come motivazione la necessità di tentare di analizzare a fondo quella che palesemente si manifesta come crisi della sinistra politica nel nostro paese con la sua scomparsa istituzionale, la sua crescente divaricazione con i settori popolari, le sue difficoltà strategiche evidenti, e tutto ciò crediamo che vada discusso soprattutto al di là dei risultati delle prossime scadenze elettorali.
Indipendentemente dal come ciascuno di noi abbia valutato e vissuto quel percorso politico, in particolare dagli anni ’90 in poi, è evidente che siamo di fronte ad un fatto che riteniamo abbia una valenza storica. Per la prima volta dal secondo dopoguerra vediamo sparire le rappresentanze istituzionali della sinistra di cui i partiti comunisti ne sono stati sicuramente la parte più consistente.
Vogliamo dire francamente che non ci sentiamo responsabili di questa situazione non tanto perche il nostro ruolo è stato sempre limitato e settoriale, siamo ben coscienti di questa nostra condizione, quanto perché fin dalla nascita del PRC abbiamo visto elementi di fondo che non ci convincevano.
Comunque e nonostante le nostre convinzioni pensiamo che gli effetti di questa situazione avranno un carattere obiettivo con il quale tutti dovremo fare i conti e bisognerà tentare di trovare una via d’uscita che difficilmente potrà essere determinata solo dalla capacità di una singola organizzazione. Certamente potremmo fare l’elenco delle cose che non ci convincevano e che abbiamo criticato negli anni e, riteniamo, spesso a ragione. D’altra parte la parabola personale di Bertinotti e la funzione politica da lui svolta pensiamo abbiano confermato a posteriori le nostre critiche. Assumere, però, questo approccio avrebbe l’unico risultato di rendere difficile o impossibile un confronto serio e approfondito cosa che invece adesso ci sembra imposto dalla realtà e dunque inevitabile da fare e sollecitare pena un avvitamento politico dannoso per tutti.
Diciamo questo perché a noi è sempre sembrato che i motivi delle nostre divergenze, anche nei momenti migliori per la sinistra antagonista, in particolare proprio per la Rifondazione bertinottiana, avevano un carattere e motivazioni più strutturali, teoriche e per certi versi storiche delle quali, a nostro avviso, non si è avuta adeguata coscienza e ritenevamo non potessero essere assolutamente compensati dalla sola capacità di gestione politica che pure ha funzionato per circa un quindicennio.
Nel fare questo confronto a sinistra a tutto campo ci sembra importante prima di tutto mettere a fuoco alcuni elementi generali che per noi sono alla base della crisi attuale; elementi che non pensiamo debbano essere necessariamente la verità ma riteniamo importante esplicitare pienamente per fare un confronto vero e fino in fondo senza farci viziare dallo “sport estremo” del tatticismo che viene praticato troppo spesso nelle nostre relazioni politiche e che finora ha prodotto ben poco di positivo.
Alcune questioni di fondo
Come primo elemento vorremmo esplicitare quale è stato il nostro, naturalmente opinabile, punto di vista sulla situazione generale e sulle sue dinamiche a partire dagli anni ’90. Cercando di rispettare la necessità della sintesi, tenteremo di essere sufficientemente chiari.
A – Dopo la fine dell’URSS e la sconfitta del movimento operaio del ‘900 ci è sembrato che si producesse un effetto generale a noi storicamente sconosciuto. Questo effetto è stata la obiettiva separazione dei fronti strategici del conflitto di classe così come si è configurato nel secolo passato e come era stato concepito anche dai fondatori del marxismo:
- il primo era quello rivoluzionario della trasformazione sociale che vedeva come protagonisti i comunisti.
- il secondo era quello della politica verso i lavoratori, i settori popolari ed il blocco sociale storicamente dato
- il terzo era quello del conflitto di classe materiale, sindacale e sociale.
Questa modifica ci è sembrato che rimettesse in discussione le modalità della sintesi politica come noi l’abbiamo conosciuta e vissuta che fu quella del partito comunista di massa, concezione, questa, del PCI ma anche dei gruppi della sinistra rivoluzionaria che negli anni ’70 si sono mossi alla sua sinistra.
Questo “scompaginamento” strutturale ci sembrava che richiedesse un processo di ricomposizione non ordinario, pur mantenendo saldi i principi di fondo, che ricostruisse attorno a quei tre punti di scontro adeguate modalità d’organizzazione diversificate, certamente orientate verso un processo di ricomposizione ma che non poteva non tenere conto del nuovo contesto complessivo e dei tempi necessari, evitando con cura forzature “politiche” dannose ai fini della prospettiva. Questa estremamente sintetica enunciazione naturalmente andrebbe spiegata in modo più approfondito cosa che abbiamo cercato di fare negli anni passati con analisi ed elaborazioni anche pubbliche.
Ma per essere più concreti, se facciamo una ricognizione della situazione abbastanza obiettiva, possiamo indubbiamente dire che nel nostro paese il conflitto di classe materiale è più avanzato del conflitto politico, ormai rinchiuso nella gabbia del bipolarismo. Come possiamo affermare con tranquillità che le ipotesi di trasformazione sociale oggi vivono dentro la dimensione internazionale del conflitto cioè dentro la dimensione reale della produzione capitalista nella fase della piena mondializzazione.
Non sappiamo se la nostra analisi è corretta ma ci sembra evidente la disarticolazione del conflitto di classe a noi storicamente noto e la necessità di ritrovare una sintesi che però non può prescindere dalla materialità della situazione in cui siamo tutti immersi. Questa visione delle cose ci ha spinto a lavorare in modo articolato sui diversi livelli facendo verifiche molto concrete. Infatti mentre la necessità della trasformazione sociale ha ripreso quota dentro le contraddizioni internazionali assieme al conflitto di classe accentuato dalla crisi economica, il terreno su cui le verifiche sono state negative è stato quello della Rappresentanza Politica dei settori sociali dove sembrava emergessero difficoltà per noi imputabili alle nostre limitate dimensioni politiche ed organizzative.
B – L’altra questione che ha rilievo strategico e sulla quale abbiamo molto meno dubbi è quella che è stata definita storicamente per il movimento operaio il rapporto tra Coscienza e Organizzazione. Abbiamo visto crescere, particolarmente nell’ultimo decennio, la contraddizione tra una sinistra che si è proposta etica e “politicamente corretta”, anche se sappiamo bene spesso in modo strumentale, ed i settori operai e popolari. Di fronte alle contraddizioni materiali prodotte dalla attuale fase di sviluppo del capitalismo sistematicamente orientate alla disgregazione politica e culturale dei settori di classe invece di “leggere” questa tendenza e di contrastarla dentro il conflitto si è preferito attestarsi su una identità forse più rassicurante, sul piano dell’immaginario, ma certamente insufficiente a stare dentro le dinamiche del paese reale e ai veloci mutamenti in atto.
Questo ha prodotto un doppio effetto autolesionista in quanto da una parte non ha tolto l’egemonia del centro sinistra, ed ora del PD, verso i settori moderati dell’elettorato di sinistra sulle tematiche dei diritti civili, dell’immigrazione, etc. Dall’altra la rabbia montante dei settori operai e popolari causata dal progressivo peggioramento delle proprie condizioni non ha trovato altri che la destra leghista e berlusconiana pronte a rappresentare quella rabbia sociale in chiave palesemente reazionaria.
Vogliamo dire, però, molto chiaramente che questo nodo centrale non è un problema di “linea” politica ma deriva da fattori di tipo strutturale. Quello che ci ha tolto la terra sotto i piedi è l’aver accettato la distruzione sistematica e la deformazione di quel tessuto connettivo, a cominciare da quello sindacale, che è stato nel nostro paese l’organizzazione sociale diffusa ed il conseguente e necessario conflitto a difesa degli interessi materiali delle classi subalterne. E’ stata la perdita di questa dimensione che ha fatto smarrire i riferimenti politici ma anche quelli culturali ed etici ai settori di classe ed ha portato alla attuale divaricazione politica.
Invece l’organizzazione, sia chiaro che non ci riferiamo a quella direttamente politica di partiti e organizzazioni ma a quella organicamente interna al blocco sociale, è stata sistematicamente demonizzata dal pensiero debole della sinistra e purtroppo anche dai movimenti sociali venuti alla ribalta in questi anni. Non aver capito l’importanza di questo elemento ci fa pagare un prezzo pesantissimo in termini di arretramento e ci impone anche un processo di ricostruzione.
E’ paradossale che ogni tanto qualche “ex” di sinistra riscopra il valore dell’organizzazione “pesante” constatando che è oggi la Lega Nord quella che ha copiato l’organizzazione della sinistra dei decenni passati, in particolare del PCI, e che ora ne raccoglie i frutti elettorali.
C – Se esiste il problema dell’organizzazione oggi abbiamo anche il problema delle sue forme. Questo, infatti, non è solo un problema teorico ma anche pratico che deve fare i conti con la classe reale “qui ed ora”. Ritenere come adeguate le forme dell’organizzazione del ‘900, anche di quello più conflittuale degli anni ’70, è un errore con effetti politici pesanti. Purtroppo le mitologie sulla composizione di classe non ci aiutano in quanto il nostro riferimento per affrontare il problema delle forme necessarie non può non tenere conto del fatto che la classe lavoratrice che esiste oggi nel nostro paese non è più “nazionale” ma solo una sezione di una classe che ha una dimensione produttiva internazionale e che produce effetti non solo sul come organizzarsi ma anche sulla percezione che i lavoratori hanno di se stessi.
L’esperienza del sindacalismo di base e l’obiettiva esigenza che rappresenta dimostra bene questa necessità. Al di là dei suoi inevitabili limiti pratici, questo soggetto non nasce solo dal “tradimento” dei vertici sindacali, per contrastare i quali potrebbe bastare la sinistra sindacale interna, ma dalla modifica strutturale della classe che oggi con la crisi subisce ulteriori accelerazioni. Il passaggio dalla fabbrica ai servizi, dalla prevalente produzione manuale a quella intellettuale, dall’occupazione stabile a quella flessibile, dal welfare allo Stato privatistico ed il forte incremento dei lavoratori immigrati sono i processi che rendono obiettivamente necessaria la presenza di un sindacalismo indipendente nei luoghi di lavoro e nel territorio in grado di far fronte senza condizionamenti alle rilevanti novità intervenute.
D – Un ultimo importante elemento vorremmo evidenziare nel ridefinire una strategia antagonista ma che ci sembra sia stato del tutto rimosso; questa è la questione del Blocco Sociale nel nostro paese. Le modifiche strutturali a cui abbiamo appena accennato portano ad una sua composizione più diversificata di quella che si intendeva fino agli anni ’70. Abbiamo ora un blocco sociale articolato ed acculturato, su livelli di consumo, almeno fino ad oggi, più alti ma anche sottoposto a forti processi di proletarizzazione. Una realtà cresciuta dentro il superamento della dimensione nazionale ed in un polo economico forte come quello dell’Unione Europea e dell’area dell’Euro.
Non essere andati a fondo nell’analisi di questa nuova realtà sempre più complessa e traendone le dovute conseguenze ha impedito di vedere cosa si stava preparando. Ci si è, invece, attardati sull’idea che l’autonomia del politico, al limite dell’acrobatico come si è visto durante l’ultimo governo Prodi, potesse risolvere il problema e che comunque il “tesoretto” elettorale comunista e della sinistra nel nostro paese garantiva la permanenza nelle istituzioni; cosa a cui alludeva chiaramente anche la nascita della lista Arcobaleno del 2008. Invece le modifiche oggettive della produzione e delle relazioni sociali e quelle soggettive della percezione dei settori sociali di se stessi nel nuovo contesto ha prodotto quella discontinuità che ha portato alle recenti debacle elettorali ed all’evidente situazione di disorientamento di cui sono preda migliaia di militanti ed attivisti.
Esiste oggi un nuovo Blocco Sociale composto da operai e lavoratori del terziario pubblico e privato, dai precari e dagli immigrati, da chi vive nelle aree metropolitane sempre più disagiate ma anche da chi rifiuta un modello di sviluppo basato sulla mercificazione della natura, sulla guerra, sul mancato rispetto di tutti i diritti ed, infine, della sua rappresentanza politica e istituzionale che ci pone un problema politico di fondo. Infatti non si tratta solo di fare conflitto inteso come “moto perpetuo” nel mondo del lavoro e nella società più in generale ma di individuare e proporre una identità politica ampia e “accessibile”, certamente antagonista, che vada nella direzione della trasformazione sociale ma che non può essere la semplice riproposizione della nostra storica identità oggi forse anche logorata.
Rappresentanza e Identità
Per quanto ci riguarda in questi anni su tali questioni abbiamo cercato di dare un contributo non solo analitico, teorico ma anche pratico costruendo organizzazione ed iniziativa politica. Dalle verifiche dirette fatte nel conflitto sociale, sindacale e politico all’analisi della moderna competizione globale o interimperialistica, dall’iniziativa internazionalista sulla Palestina e l’America Latina al movimento contro la guerra, dall’indagine sul campo della composizione di classe all’analisi delle aree metropolitane nel nostro paese, abbiamo cercato di svolgere un lavoro di chiarificazione che in qualche modo ci sembra che trovi ancora, dentro l’attuale situazione e discussione, le sue sostanziali ragioni.
Sappiamo tutti che allo stato attuale tra le forze della sinistra che sono presenti oggi a questo incontro rimane forte la contraddizione sulla questione sindacale che oggi non può che vedere differenti posizioni inevitabilmente chiamate a misurarsi con la realtà presente e soprattutto futura del conflitto nel mondo del lavoro che diverrà sempre più pesante. Ovviamente per quanto ci riguarda e per chiarezza crediamo che vada rafforzata la prospettiva del sindacalismo strategicamente indipendente che sempre più assume una dimensione autenticamente confederale.
Sempre per chiarezza e per evitare sterili tatticismi pensiamo che un’altra divergenza non può che esserci sulla questione della indipendenza politica e delle alleanze elettorali; sappiamo che oggi su questo piano non sono possibili nostre convergenze in quanto riteniamo strategico fin da oggi affermare con forza l’indipendenza politica dal PD come elemento costitutivo di una identità forte dei settori sociali.
Sappiamo bene che una tale indipendenza renderebbe impegnativo e difficile il risultato elettorale, anche se questo è tutto da verificare data la crisi del PD, ma quello che bisogna fare oggi, dal nostro punto di vista, è quello di mettere le premesse chiare per il futuro rifiutando ogni espediente politicista che, comunque camuffato, sarebbe quantomeno inefficace.
Capiamo bene che questa posizione può non trovare un forte consenso in quanto si è condizionati dalle emergenze politiche e materiali e, di conseguenza, si arriva spesso a separare di fatto la scadenza elettorale dalla prospettiva politica dichiarata. Sappiamo bene che potremmo non essere politicamente convincenti di fronte alla durezza dei dati materiali, però chiediamo anche noi di essere convinti su un paio di questioni.
La prima è se c’è qualcuno disposto a scommettere sul fatto che il PD non punti ormai alla fagocitazione definitiva di quello che rimane della base elettorale dei partiti della Sinistra. Le vicende del post elezioni 2008, le svolte di Bertinotti, la nascita di Sinistra e Libertà, lo scissionismo nel PDCI, sembra che dimostrino chiaramente come il progetto del PD è proprio quello della distruzione elettorale di questa sinistra. Né erano sufficientemente rassicuranti le distinzioni tra Bersani e Franceschini, sapendo, chiaramente oggi, che il primo punta all’alleanza con l’ UDC. Dunque la questione della indipendenza ci sembra che acquisti la forza di un dato imposto dalla realtà più che da una libera scelta politica.
La seconda è quella di dimostrare, in attesa della verifica, che andare con il PD porti a risultati pratici, che tutti sappiamo contare molto; infatti l’aria che tira è quella di una ulteriore sconfitta del PD alle regionali dopo quella delle europee che ha visto il tracollo di questo partito. Un tracollo molto poco recuperato dai suoi alleati-competitori dell’IDV che peraltro sta soppiantando l’opposizione di sinistra nell’immaginario del paese chiudendo ulteriormente gli spazi a formazioni che si rifanno al movimento operaio.
Se è difficile e rischioso presentarsi da soli alle elezioni certamente non è più produttivo farsi travolgere da una probabile sconfitta del PD che avrà come ulteriore effetto l’annegamento di ogni identità alternativa ed il sommarsi di ulteriori difficoltà a quelle già presenti oltre che, naturalmente, alla irrilevanza o all’assenza di risultati concreti.
D’altra parte gli equilibri politici ed istituzionali hanno alzato con il bipolarismo “l’asticella” delle difficoltà per tutto il movimento antagonista e rese ancora più urgenti le esigenze generali relative alla condizione dei ceti popolari in questo paese. Questo significa che siamo tutti chiamati a misurarci con i problemi che pone questa fase di crisi modificando radicalmente anche la condizione della sinistra e dei suoi partiti costituitisi in questi anni. Partiti che ora devono impattare con una forma di governance più dispotica ed autoritaria di quella dei decenni passati.
Ma questa dinamica ci riguarda anche perché noi abbiamo fatto una nostra diretta verifica. Quando abbiamo impostato il ragionamento sui tre fronti di lotta, che abbiamo cercato di spiegare sinteticamente all’inizio di questa introduzione, sapevamo, e lo abbiamo verificato nel tempo, che quello della Rappresentanza Politica del blocco sociale era per noi impraticabile per vari motivi politici e di carattere concreto. In questi anni questo lo abbiamo vissuto come limite obiettivo ma pure come possibile contraddizione politica del nostro impianto generale.
Oggi vediamo, purtroppo, che questa condizione non è solo nostra ma è diventata generale sul piano della rappresentanza politica e di quella istituzionale. Non vogliamo dire che questa evoluzione sia la conferma necessaria di quello che abbiamo pensato in questi anni ma, certamente, è la smentita di chi pensa che oggi la via politica e istituzionale sia quella risolutiva. In realtà il dato che emerge è che la possibilità di incidere nuovamente su quei piani, cosa che riteniamo comunque importante, è determinata da una capacità di analisi, progettualità e di radicamento che stenta ad emergere e della quale si è persa perfino la coscienza.
Una possibile ripresa, certamente cercando di salvaguardare l’esistente, non può non tenere conto della reale disarticolazione del conflitto politico e sociale che stiamo vivendo e da qui tentare di ripartire. E’ in questo senso che intendiamo avanzare proposte ma soprattutto una idea politica generale di come affrontare la fase attuale essendo coscienti che ora il contesto ci interroga tutti in egual misura. Riteniamo perciò che l’obiettivo politico oggi prioritario è quello di riconnettere la sinistra che esiste in Italia, con i suoi limiti ma anche con i contenuti più qualificati, con il Blocco Sociale.
Facile a dirsi ma difficile a farsi; ma è da questa necessità che crediamo vada ripreso il bandolo della matassa avendo chiaro che questo obiettivo non si raggiunge limitandoci a sommare lotta a lotta, cosa pure fondamentale, ma capendo qual è l’identità politica che intendiamo proporre a quella parte della società, peraltro sempre più ampia, che paga il costo di una crisi della quale non si vede la fine e dalla quale ne esce sempre più disorientata e preda delle proposte più reazionarie.
Questo è in partenza un lavoro di qualità che deve saper cogliere quelle tendenze profonde che hanno, pur nelle forme contemporanee, una sostanziale natura di classe e che possono rinnovare una nostra funzione. Per questo riteniamo che i processi costituenti e riunificanti delle varie soggettività politiche oggi attive nella sinistra non debbano essere condizionati dalla fretta e tantomeno dalla strettoia elettorale.
Come dicevamo non possiamo pensare di riproporre meccanicamente la nostra identità, questo lo diciamo anche come comunisti, a settori sociali che ormai vivono condizioni di vita e di lavoro totalmente diverse da quelle dove si è sviluppato il movimento dei lavoratori del ‘900 e senza più ne cultura ne memoria storica che è stata abilmente distrutta in modo bipartisan usando l’attuale sistema dei media che tutto distorce. Per essere concreti, chiari e mettere i piedi nel piatto, è possibile pensare di affrontare la questione dell’immigrazione a partire dalla sola etica e dal ricordare che anche noi siamo stati emigranti? Ci sembra che questa impostazione abbia già dimostrato la sua inadeguatezza negli effetti che produce tra i settori popolari ma anche tra gli stessi operai.
Se la risposta non è quella di dimostrare, con la pratica ed il conflitto organizzato, che i lavoratori immigrati sono parte della nostra società e che partecipano attivamente alla lotta più generale, non solo a quelle fatte sui loro sacrosanti diritti, ma anche a quelle in difesa dei salari, della spesa sociale, della vivibilità nelle metropoli contro la speculazione è chiaro che l’arretramento culturale diverrà sempre più forte. D’altra parte gli operai della fabbrica fordista pur lottando per i loro aumenti salariali e per i loro diretti interessi si sono posti sempre, in modo organizzato, obiettivi di emancipazione generale, ed è solo così che sono riusciti a produrre egemonia ed a essere un riferimento per tutta la società.
A questa necessità di costruzione della identità politico-sociale e di rappresentanza dei settori popolari va affiancato un processo diffuso di organizzazione dei settori sociali, delle battaglie politiche e culturali, che dia consistenza alla identità che da sola si presenta o come programma formale o come principi generali che non hanno una base materiale. Crediamo che vada ricostruito nel tempo quel rapporto tra organizzazione e coscienza che resta fondamentale per la nostra prospettiva e che, per quanto difficile, non ha alternative. Le questioni sociali che si impongono con drammaticità nelle metropoli, la questione della lotta contro la guerra senza alcuna ambiguità oggi peraltro inutile, quella in difesa dell’ambiente, della laicità dello Stato ed altre ancora sono i terreni su cui costruire non solo vertenze ma anche processi di organizzazione stabile e unitaria dentro il conflitto e di sintesi generale.
Già nel Maggio dello scorso anno abbiamo avanzato delle proposte e fatto un dibattito pubblico in cui sottolineavamo la possibilità obiettiva di trovare dei punti di incontro sui quali saremmo stati chiamati tutti a fare delle verifiche. Oggi questa necessità ci sembra più forte di ieri, ma riteniamo che sia più debole di domani perché i processi obiettivi che si manifestano a tutti i livelli, da quelli internazionali a quelli istituzionali, spingono tutti nella stessa direzione in relazione alle forze che vogliono mantenere una prospettiva di cambiamento.
Seppure su questioni rilevanti come quella del sindacalismo di base e della indipendenza dal PD ci sono divergenze che abbiamo cercato di motivare in modo chiaro e senza vene polemiche pensiamo che sia possibile intrecciare elementi comuni su molte cose che possono creare le condizioni, dentro lo sviluppo della situazione in generale, per ricostruire un punto di vista sempre più comune e, soprattutto, relazioni più credibili nella sinistra.
Dunque il confronto di oggi serve anche ad individuare, se ce ne la disponibilità, terreni comuni di analisi, lavoro e iniziativa:
- una offensiva culturale a tutto campo che metta insieme le associazioni, le riviste e i centri studi per avviare una controtendenza profonda soprattutto in ambito universitario e nella scuola ma che cerchi di penetrare in profondità anche nel territorio e tra i settori popolari
- Terreni comuni dentro il conflitto sociale a partire dalle aree metropolitane dove le condizioni dei settori popolari sono sempre più degradate e condizionate dalle ideologie reazionarie.
- la questione democratica sulle forme della rappresentanza (il sistema proporzionale come unico modello della rappresentanza democratica), la difesa e l’estensione delle libertà e la fine delle discriminazioni antisindacali, l’opposizione allo stato di polizia e la messa al bando della legislazione d’emergenza che ci trasciniamo come “normalità” dagli anni Settanta;
- La lotta alla guerra e al ruolo imperialista dell’Italia (Afghanistan, Libano, l’alleanza strategica con la NATO e con Israele); fatta salva una seria autocritica sulle scelte operate durante il governo Prodi
- La resistenza attiva all’oscurantismo del Vaticano e dell’egemonia reazionaria sulla politica, la società e la scienza
- La dimensione sociale e anticapitalista della questione ambientale
Sulla base di una scommessa politica e di uno spirito unitario, stiamo portando anche il nostro contributo come osservatori ai due tavoli messi in piedi dalla federazione della sinistra (quello sul manifesto politico e quello sulle regole). Non è uno scandalo che ci siano delle differenze e delle divergenze sulle quali produrremo a breve un contributo che socializzeremo a tutte le compagne e i compagni interni ed esterni al processo costituente della federazione.
CREDITS
Immagine in evidenza: British House of Commons
Autore: sconosciuto, 1920
Fonte: bouletfermat
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