Nei posti di lavoro e nelle piazze!
In Contropiano Anno 18 n° 1 – 16 febbraio 2010
Consideriamo questo appuntamento di mobilitazione uno dei passaggi politici e di organizzazione che il segmento immigrato del nuovo proletariato sta compiendo – in Italia almeno da un decennio – nel lungo e tormentato processo di collegamento e di indispensabile unità con i lavoratori indigeni.
Da tempo, attraverso un susseguirsi di leggi sempre più liberticide (dalla Turco/Napolitano alla Bossi/Fini), registriamo una crescente blindatura che avvolge il sistema dei diritti e l’intera società, tendente al disciplinamento coatto della forza-lavoro immigrata e alla diffusione di un clima politico e culturale razzista ed xenofobo. Gli ultimi provvedimenti varati in materia, come il cosiddetto Pacchetto Sicurezza e l’introduzione del cosiddetto reato di clandestinità, sono esemplificativi di una normativa autoritaria, la quale, nel corso del ciclo politico di questa fase del capitalismo italiano, è stata la prerogativa, seppur con accentuazioni e modalità differenti ma sempre con la benedizione dei poteri forti, sia dei governi di centro-sinistra che di quelli di centro-destra.
Questo evidente e progressivo incrudimento delle politiche rivolte all’immigrazione non sono, come a volte troppo semplicisticamente si afferma, la volontà del razzista di turno o di qualche rigurgito oscurantista, sempre presente nella pancia profonda della nostra Italietta, ma segnalano, inequivocabilmente, la crisi profonda dei sistemi di welfare state, il cui consolidamento nel corso del secondo dopoguerra aveva garantito un sostegno all’integrazione sociale mediante un forte impegno di spesa pubblica per servizi e sussidi vari.
Razzismo a tutto campo.
La progressiva riduzione dell’intervento pubblico e, di conseguenza, la negativa ricaduta sul versante delle “politiche dell’accoglienza e dell’integrazione” di cui si avvertono, tragicamente, i sintomi, è connaturata all’attuale corso economico/finanziario della mondializzazione ed assume come obiettivo principale la necessità di contenere la crisi fiscale dello stato attraverso le politiche di rigore, di privatizzazione e di smantellamento degli elementi residui di rigidità politica e di identità di tutti i segmenti con cui si configura l’attuale composizione di classe.
Su tale fase si innestano le politiche di deregolamentazione dei vecchi compromessi sociali e si realizza, anche attraverso modelli sperimentali, la transizione da un modello di welfare ad un modello di workfare, con la conseguente esplosione dell’insicurezza e della precarietà del lavoro e dell’intera vita. A tutto ciò si affiancano la promulgazione di leggi autenticamente criminali e punitive puntate selettivamente verso quelle fasce sociali che più di altre subiscono materialmente gli effetti devastanti del nuovo ciclo economico. Ed è in questo contesto politico che si rappresentano le prove sul campo delle strategie securitarie e razziste che prendono forma nelle nostre aree metropolitane le quali – dentro la dimensione reale dei pesanti effetti antisociali dell’immanente crisi economica – possono dare vita a perniciosi fenomeni di contrapposizione e di aperto scontro tra i settori marginali della società.
È evidente, quindi, che in questo tipo di scenario una ripresa del protagonismo degli immigrati, anche nelle forme e nelle modalità spurie e tumultuose con le quali si sta esemplificando, pone, alla soggettività comunista ed all’insieme dei movimenti di lotta, un nuovo compito – una vera e propria sfida – di tipo teorico e pratico. Scansare questa situazione (inedita anche rispetto alla classica storiografia del movimento operaio occidentale) condannerebbe, anche inconsapevolmente, ogni ipotesi di trasformazione radicale della società o alla stucchevole inanità politica o, nel peggiore dei casi, ad una sorta di sostegno al dispiegarsi del moderno razzismo.
Abbiamo già affermato in altre occasioni che riteniamo inadatta ed inefficace la sola battaglia delle idee contro il razzismo il quale è fortemente incardinato a processi materiali, oggettivamente determinati e, soprattutto, impersonali. Sappiamo anche che la comunicazione deviante del capitale e dei suoi accorsati opinion maker produce una latente indifferenza a questa (apparente) normalità del dominio con cui, sempre più, dovremo fare i conti misurando, di volta in volta, capacità di relazioni con il blocco sociale e i rapporti di forza in campo.
Mai come ora si tratta di ingaggiare una battaglia politica, fin dentro le fila dei lavoratori e negli stessi quartieri popolari delle città, per interpretare correttamente la realtà e cogliere gli elementi possibili per il conflitto. Un aspetto, questo, a cui la soggettività comunista, in Italia come in tutto l’Occidente capitalistico, deve decisamente alludere per incardinare l’azione sociale e sindacale alla indispensabile prospettiva della radicale trasformazione della società.
Con le rivolte degli immigrati, senza se e senza ma
Con questa consapevolezza, all’indomani della rivolta di Rosarno, abbiamo diffuso un comunicato in cui, oltre a denunciare il pluridecennale ritardo politico della “sinistra” la quale ha sempre privilegiato l’aspetto umanistico della questione, abbiamo ricordato un ragionamento di Lenin il quale, molto lucidamente ed oltre qualsivoglia formalismo ideologico, affermava che nel socialismo non c’era un grammo di etica perché l’unità di classe si misurava, fondamentalmente, rispetto alla lotta di classe. Per cui, e tale considerazione leniniana è ancora di più oggi attuale nel pieno della mondializzazione e dell’accentuarsi della competizione globale, ci piaccia o meno e con le inevitabili complicanze sociali che si determineranno nel movimento ed oltre, fino a quando un lavoratore italiano non comprenderà perché è utile, per la comune battaglia sociale e politica, unirsi ad un lavoratore immigrato prevarranno, comunque, gli elementi di differenziazione, di contrapposizione e di razzismo.
In tale complesso contesto la giornata di mobilitazione del 1 Marzo in tutte le sue variegate articolazioni di svolgimento (le fermate in alcuni posti di lavoro, la Carovana dei Diritti organizzata dal Sindacalismo di Base, l’autorganizzazione in corso di colf, badanti ed ambulanti, le manifestazioni alle Prefetture e la costante denuncia di quanto avviene, quotidianamente, nei CIE e nelle caserme) può costituire un utile viatico al processo di indispensabile unità, ancora tutto da determinare e da costruire, nel mondo del lavoro e nell’intera società.
Certo la “sinistra”, fedele alla sua impostazione politica, non sta muovendo un dito per favorire questa battaglia ostacolando, di fatto, specie nelle fabbriche del Nord dove sono presenti decine di migliaia di lavoratori extracomunitari, qualsiasi tentativo di effettuare fermate e scioperi comuni a sostegno degli immigrati e delle loro rivendicazioni.
Anzi il quotidiano “il Manifesto” (sempre più subalterno alla linea collaborazionista che domina nella Cgil) nel riportare la discussione che si è sviluppata tra gli attivisti del Sindacalismo di Base si è soffermato, con toni da gossip, su alcune dichiarazioni di compagni senza cogliere, volutamente, i ragionamenti politici e le perplessità che sottendono le scelte che il Sindacalismo Indipendente ha adottato nei confronti di alcune (strumentali) interpretazioni della giornata del 1 Marzo.
Ritorna, dunque, il tema dell’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza politica ed organizzativa che deve contraddistinguere le mobilitazioni e i programmi di lotta. Un efficace cartina tornasole per quanti, a vario titolo, vogliono ricostruire e rilanciare una prospettiva di riscatto e di avanzamento collettivo tra proletari bianchi e colorati dentro e fuori i ridotti nazionali e nell’intero spazio europeo.
CREDITS
Immagine in evidenza: No racism – No al razzismo
Autore: Luca Perino, 12 ottobre 2013
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Immagine originale ridimensionata e ritagliata