dal Documento politico per la 3ª Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti – Roma 2-3 aprile 2011
I quattro anni che ci stanno alle spalle sono stati caratterizzati dal congiunturale fallimento di un intero gruppo dirigente della sinistra italiana e delle ipotesi sulle quali esso aveva costruito tattiche e strategie, dispiegatesi per una lunga fase politica.
Parliamo dell’ipotesi di gestione della crisi capitalistica del nostro paese da parte del centro sinistra, in rappresentanza di quella fazione della borghesia italiana più legata ai dettami della BCE e della competizione globale, incarnata da figure come Montezemolo, De Benedetti; Marchionne e dal gotha della grande industria nazionale, incapace sino ad oggi di imporre i propri diktat a causa della debolezza del proprio insediamento produttivo, che caratterizza storicamente la struttura economica italiana. Di questo abbiamo parlato diffusamente durante la serie d’iniziative di dibattito dal titolo “Berlusconi è una tigre di carta? La crisi della borghesia Italiana apre una possibilità per la sinistra di classe nel nostro paese” tenutesi in molte città italiane nel novembre / dicembre 2010.
La crisi del centro sinistra come sappiamo ha trascinato con se i due partiti comunisti cimentatisi in infauste esperienze governative, aprendo una crisi altrettanto “sistemica” per un intero gruppo dirigente. I risultati del congresso fondativo della FdS, sul quale torneremo brevemente più avanti, ci dicono del legame inscindibile tra presenza istituzionale e funzionalità stessa dell’ipotesi organizzativa di questi partiti oggi federati.
I prodromi del “triennio terribilis” erano evidenti ben prima delle infauste scelte che hanno determinato la catastrofe elettorale dell’aprile 2008. La Rete dei Comunisti in questi anni ha proposto una chiave di lettura del divenire della crisi che preconizzava quest’epilogo, partendo dall’analisi dei processi materiali alla base dei profondi mutamenti economici, societari e quindi sovrastrutturali in atto.
I documenti delle nostre prime due assemblee nazionali, svoltesi rispettivamente il 23 marzo 2002 ed il 10-11 marzo 2007, rappresentano importanti punti di approdo di un lavoro teorico/politico che ci ha visti impegnati per oltre un quindicennio intorno ai nodi di una crisi del MPC, conclamatasi nel 2008 attraverso l’epifenomeno speculativo/finanziario dei subprime.
È dentro la crisi capitalistica che abbiamo intravisto il venir meno delle opzioni socialdemocratiche e neo – keynesiane, sia per la socialdemocrazia propriamente detta, sia per quelle formazioni nominalmente comuniste ma nei fatti da sempre legate, per cultura e storia dei propri gruppi dirigenti, a quei paradigmi di lettura della realtà e quindi di prassi politico/istituzionale.
Rimandiamo ai documenti ed agli estratti delle nostre prime due assemblee non per spocchia d’organizzazione o per recriminazione postuma, ma per indicare ai tanti compagni con i quali dialoghiamo e collaboriamo da anni dei punti di riferimento analitici che sono una base – non l’unica, ovviamente – per continuare un ragionamento collettivo, oramai impellente, sulla possibilità di mantenere viva nel nostro paese un’ipotesi di ricomposizione organizzativa dei comunisti.
In questi anni, mentre le forze che davano vita alla Sinistra Arcobaleno portavano nei fatti a conclusione il processo avviatosi nel 1990 alla Bolognina, tentando di far scomparire dallo scenario politico ogni opzione comunista e di classe, abbiamo coniugato la parola d’ordine dell’unita dei comunisti con un’ipotesi di nuova connessione con il conflitto reale in atto nel paese, a partire dall’analisi della nuova fisionomia che la classe stessa assume nel costante processo capitalistico di ristrutturazione tecnico- produttivo. L’unità dei comunisti concepita come processo tutto interno ai maxi o ai micro apparati senza una dialettica con il blocco sociale antagonista, senza una riflessione vera sulle caratteristiche della militanza comunista nel XXI Secolo, è evidentemente inservibile per gli scopi e gli obiettivi che ci prefiggiamo. Su questo fondamentale terreno di confronto abbiamo indicato una possibile tabella di marcia, inscindibilmente legata all’ipotesi di ricomposizione di un blocco sociale antagonista nel paese. Un dibattito che si è dispiegato in forme non accademiche, intercettando ed interloquendo con settori di militanti impegnati quotidianamente nelle lotte sociali, sindacali e politiche che si esprimono oggi nel paese, realtà che non sottovalutano né danno per scontato il rapporto tra la loro funzione e i settori sociali di riferimento.
Parallelamente abbiamo avviato la riflessione sulla possibile forma/partito per dei comunisti che operano in un paese del polo imperialista occidentale. L’approccio alla questione ha preso avvio da una lettura storica delle forme con le quali i comunisti si sono organizzati, soprattutto in Occidente e nel nostro paese, dall’inizio del secolo scorso sino alle ultime esperienze conosciute. Per questo percorso di riflessione e confronto rimandiamo al documento preparatorio per il nostro forum del 27 febbraio del 2010 dal titolo “Organizzazione e Partito – Una base di discussione per i comunisti in Italia”.
Terzo filone di riflessione intorno al quale abbiamo chiamato al confronto i militanti politici e sociali presenti nel paese, è quello sulla irrisolta questione della rappresentanza politica del blocco sociale di riferimento, divenuto progressivamente tema all’ordine del giorno dell’agenda politica nazionale., questione sulla quale rimandiamo al documento per l’incontro nazionale della Rete dei Comunisti dell’ottobre 2009.
Forma partito dei comunisti nel XXI secolo, ricomposizione dei comunisti, rappresentanza politica del blocco sociale di riferimento, conflitto di classe organizzato sono argomenti e temi centrali per ridefinire nella teoria e nella prassi una nuova, possibile funzione dei comunisti oggi, nel vivo di un conflitto che si prospetta come uno dei più duri mai affrontati dal movimento operaio da oltre un secolo.
Proponiamo questo percorso teorico / pratico in una delle fasi più delicate della crisi delle forme organizzative e di presenza politica dei comunisti nel nostro paese, in generale nei paesi a capitalismo più avanzato, crisi che invera nella realtà una contraddizione apparentemente lacerante: a fronte di una crisi sistemica del modello di produzione capitalistico che evidenzia come mai prima la giustezza dell’analisi marxista, mettendo progressivamente in ginocchio anche le classi sociali proletarizzate dei paesi dell’ex “centro” imperialista, i comunisti, depositari di quella teoria rispolverata anche dalle scuole economiche borghesi per capire l’involuzione degli avvenimenti, non riescono ad avere quel ruolo di avanguardia che teoricamente competerebbe loro.
A spiegare questa congiunturale incapacità di essere alla testa delle lotte contro le attuali politiche neoliberiste ci sono molti fattori, di carattere generale / storico, che hanno interagito in forme dinamiche ed uniche paese per paese. Anche in questo caso come Rete dei Comunisti abbiamo iniziato, come si suole dire, a “prendere il toro per le corna”, proponendo una riflessione partita dall’analisi dei limiti insiti nelle esperienze storiche emerse in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre.
Lo abbiamo fatto con “Il bambino e l’acqua sporca – per un’analisi critica del comunismo del ‘900” nel 2002, con l’approfondimento dell’analisi sulla transizione al socialismo (vedi le elaborazioni sul pensiero economico di Che Guevara e il dibattito conseguente, 2007) e con l’analisi sul rapporto tra scienza e sviluppo delle forze produttive (vedi Crisi e Alternative, 2009). Una proposta di lavoro e di riflessione critica che ci ha portato progressivamente a mettere sotto la lente di ingrandimento i vizi ed i limiti di interi gruppi dirigenti, i quali hanno declinato nei vari paesi una prassi politica degenerata progressivamente a causa dell’abbandono dell’analisi teorica. La nascita della Federazione della Sinistra con la fisionomia e le caratteristiche emerse progressivamente nella sua fase costituente, non ha determinato quello scatto di reni, quella cesura con il passato e quella rifondazione portata finalmente in profondità che tanti compagni e compagne si aspettavano, soprattutto dopo il VII congresso del PRC a Chianciano, con la messa in minoranza del gruppo dirigente bertinottiano e la successiva uscita di Vendola da quel partito. Colpisce quindi che dopo quel risultato, nella FdS di cui il PRC è la maggiore componente – si vada accentuando la subalternità politica alla leadership e al progetto vendoliano.
La nostra organizzazione in questi mesi ha mantenuto un confronto attivo e spesso sistematico con i compagni e le organizzazioni della estesa diaspora dal PRC e dal PdCI, ma ha anche seguito molto da vicino e con un’interlocuzione stretta il processo di costruzione della FdS, ritenendolo un potenziale punto di tenuta e ripresa della sinistra alternativa e dei comunisti nel nostro paese. Ma il congresso fondativo della FdS ha segnato invece uno scostamento sostanziale dalle prospettive di ricostruzione nel nostro paese di quel polo indipendente anticapitalista e di classe di cui sentiamo il bisogno, perché unico alveo entro il quale i comunisti potranno svolgere il ruolo che storicamente compete loro.
CREDITS
Immagine in evidenza: Education Demonstration Berlin
Autore: urbanartcore.eu, 17 novembre 2009
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