Carlos Venturi (relazione alla Terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti)
Ci troviamo oggi a ripensare ad un intervento organico dei comunisti all’interno delle fasce più giovani della popolazione. Dopo aver assunto per anni la dimensione dello slogan da campagna elettorale, la drammatica situazione in cui la crisi sta portando ampi settori di proletariato giovanile e di scolarizzati del ceto medio, costringe la sinistra sociale e politica ad un cambiamento di atteggiamento e ad un riconoscimento di particolarità ad una generazione che avrebbe dovuto restare priva di appellativi e soprattutto di contenuti politici. Un appellativo invece questa generazione è stata costretta ad accettarlo e subirlo: precaria … generazione precaria.
Una realtà che non lascia spazio ai sogni di una generazione
La Generazione Precaria è contraddistinta da un alto livello di scolarizzazione e da una pluralità enorme di contraddizioni che si esprimono nei vari settori e aspetti della vita sociale. La sensazione di non essere elemento determinante per una società morente come quella italiana, porta come generica assunzione di realtà l’impossibilità di realizzare le proprie aspirazioni al di fuori di una realtà virtuale propagandata dai grandi mezzi di comunicazione di massa.
Alla già difficile situazione in cui questa generazione, che va ben al dì la dei 30 anni, era già stata costretta con la trasformazione del mercato del lavoro e l’inserimento prepotente della precarietà nei rapporti tra capitale e lavoro, si è andata a sommare negli ultimi anni la crisi del sistema capitalista internazionale con la sua conseguente scia di disoccupazione, tagli ai servizi e dequalificazione del lavoro vivo che rappresentano una seria ipoteca per il futuro dei giovani.
Le nuove regole del lavoro, sono fatte di precarietà strutturale che non si trova soltanto nelle statistiche del lavoro atipico ma bensì nel lavoro autonomo, infatti, tra quelli che hanno meno di 35 anni la quasi totalità è un precario vero e proprio nascosto dietro la partita Iva, modalità che fa risparmiare all’imprenditore quasi il 25% rispetto a un contratto di collaborazione. Il tutto va considerato in un quadro poco edificante dove il 29,8% dei giovani è disoccupato e il resto o è precario o sottoinquadrato rispetto al percorso di studi. Lo stato inteso come soggetto promotore delle trasformazioni delle regole del mondo del lavoro e della formazione scolastica, sotto le esigenze del patto di stabilità europea taglia tutte le forme di aiuto sociale, dove manco a dirlo siamo fanalino di coda nell’aiuto ai disoccupati (0,5% del PIL)
In un paese che non costruisce più case popolari, taglia gli aiuti alle famiglie, aumenta il costo della sanità e cede grosse parti del servizio pubblico all’iniziativa privata, non dobbiamo stupirci se i giovani non escono di casa prima dei 35 anni e hanno poca fiducia nel futuro, nelle loro possibilità e nel loro paese.
Questa lotta di classe dall’alto parte ben prima di entrare nel mondo del lavoro. Già dai banchi di scuola comincia una divisione che segna gli individui per tutta la loro vita. Scuole di serie A per ricchi e scuole di serie B per i giovani dei quartieri e delle periferie, determinano una netta divisione tra chi può ancora pensare di avere un ruolo nella vita socio-economica di questo paese e chi invece non ha altra aspettativa se non l’esclusione sociale.
L’inizio del nuovo secolo aveva visto un’esplosione di iscrizioni all’ università addirittura superiore nel sud-italia tendenza che nel giro di pochi anni e drasticamente mutata con una riduzione netta del numero di iscritti all’università nel giro di 1 anno dimostrazione di una chiara presa di coscienza sull’inutilità della laurea in una situazione economica come quella che sta attraversando il nostro paese e quindi l’impossibilità di un miglioramento all’interno di questo sistema politico-economico.
Ridare forma ai nostri sogni
È tutta qui dentro la miscela esplosiva che ha portato alle grosse mobilitazioni dell’autunno scorso contro la riforma Gelmini. Mobilitazioni che hanno avuto una differenza assoluta e evidente dal movimento del 2008 passato alla storia come l’Onda. Le ultime mobilitazione, culminate con la grande giornata del 14 dicembre a Roma, giornata che ha risvegliato il paese da un incubo durato più di 20 anni, sono state oggettivamente momento di generalizzazione di un disagio sociale diffuso tra una intera generazione. Esempio di ciò sono la massiccia partecipazione in tutte le città dei movimenti in difesa del welfare e dei beni comuni alla mobilitazione che aveva come base le scuole superiori e le università ma anche il connotato immediatamente politico generale che hanno assunto gli slogan e le elaborazioni della mobilitazione che sfruttando anche l’elemento di propulsione rappresentato dalla crisi del governo e dallo sviluppo contemporaneo di movimenti analoghi nel resto dell’Europa e soprattutto del mediterraneo ha immediatamente posto la questione della gestione del potere e della trasformazioni complessive che stava subendo la società italiana. Non è un caso che immediatamente sia nato all’interno delle realtà che hanno dato vita e forma alla mobilitazione il bisogno di alternativa politica.
Su questa considerazione innestiamo la nostra ipotesi di riapertura di un intervento dei comunisti rivolto a questa nuova generazione che non avrà e non ha a disposizione nessuno spazio di mediazione con una realtà di esclusione.
È in questo che una realtà comunista giovanile si deve impegnare. Di fronte alla generalizzazione di un attacco che mira a depotenziare la nostra pretesa di futuro, dobbiamo avere la capacità di mettere in campo una risposta che può svilupparsi solo a partire dalla necessità di dare una risposta generalizzata e generazionale e quindi di strutture che sappiano contaminare le rivendicazioni degli studenti con quelle dei giovani dei quartieri, delle periferie , dei call center ecc.
Non è solo organizzativa la scommessa. Quando parliamo di contaminazione parliamo della necessità di ridare identità e mutuo riconoscimento a una porzione di società italiana cresciuta, per volontà della politica, a compartimenti stagni ma che la crisi del modello capitalista può far riconoscere come una unica comunità di destino che deve e può aspirare a un futuro diverso.
Centro e periferie
Se la crisi morde, al centro dell’Europa democratica e avanzata, figuriamoci alle periferie del mondo, dove l’imperialismo prosciuga e riduce a ben altro precariato milioni di persone, il risultato evidente a tutti è un aumento consistente di migrazioni dalle periferie al centro.
Non si deve essere grandi studiosi per vedere che il tratto significativo di chi arriva in cerca di speranze in occidente è proprio la giovane età, a cui va
aggiunta una nuova generazione figlia di immigrazioni precedenti. L’unico futuro che attende queste nuove generazioni di migranti è quello di ingrossare le fila dell’esercito di lavoratori di riserva, precari perfettamente adeguati alle esigenze ondivaghe del mercato.
Ciò provoca una inedita trasformazione della nostra sociètà e anche della nostra classe di riferimento in cui numerosi individui manifestano una sensibilità evidente per quello che succede nel resto del mondo.
La presenza di immigrati di seconda generazione all’interno delle nostre scuole, università e quartieri fa si che le rivolte e le proteste che stanno sconvolgendo il mondo arabo trovino eco in occidente dove i figli di chi per fame ha dovuto abbandonare il proprio paese trovano nuova identità e orgoglio nella ribellione dei propri popoli d’origine
L’internazionalismo come strumento di intervento
Il melting pot in cui si sono trasformate le nostre metropoli e città rappresenta per noi un’occasione per dare un nuovo ruolo all’internazionalismo comunista.
Da semplice elemento di solidarietà internazionale possiamo pensare ad un uso dei rapporti con altre organizzazione della sponda sud del mediterraneo, degli altri paesi dell’Europa meridionale e dei così detti PIIGS in funzione di ricomposizione interna. L’idea di trasformare la solidarietà internazionale come strumento di ricomposizione della diversità espressa dalla società italiana ha come presupposto una necessità sia identitaria nei confronti di giovani della seconda generazione sia oggettiva per rispondere alla trasformazioni transazionali che hanno caratterizzato lo sviluppo capitalistico degli ultimi 20 anni.
Quando diciamo che Rabat chiama Torino e Algeri chiama Parigi intendiamo proprio dare rappresentazione di una dinamica che nella realtà ha un significato non solo economico ma anche sociale e quindi politico. Sfruttare le relazioni che si hanno con le organizzazioni e gli intellettuali a noi più vicini nei paesi mediterranei significa oggi pretendere un lavoro che non sia finalizzato al mutuo riconoscimento ma al mutuo aiuto nella ricomposizione di una classe sovranazionale e dalle vedute globali che anche per gli strumenti tecnologici di cui può fare uso ha un rapporto con quello che succede nei paesi a noi più vicini immediato con una conseguente ripercussione nella vita nelle nostre città.
Ricordiamo tutti le grosse manifestazioni per la Palestina in seguito all’operazione Piombo Fuso a fine 2008, in cui a partecipare in massa sono stati proprio quei giovani migranti o figli di migranti che hanno visto nella difesa del popolo palestinese la difesa della propria condizione nel nostro paese, ma anche l’immediata sintonia e vicinanza che si è venuta a creare tra i giovani italiani impegnati nello scontro contro la riforma Gelmini e i giovani tunisini che davano il via alla più grande ondata di proteste nel mondo arabo degli ultimi 30 anni.
Sinistra e comunisti tra le giovani generazioni
In questo quadro generale c’è da considerare il ruolo che hanno giocato le sinistre antagoniste e non che, assieme ai sindacati concertativi, complici puntuali delle esigenze dell’imprenditoria, in nome di un fatalismo specchio della loro debolezza di pensiero e assenza di prospettive, hanno sistematicamente abbassato la testa e guardato il corpo di una generazione passare sul fiume.
La politica in primis, colpevole di un totale allineamento con le prospettive europeiste ha attuato e proclamato l’esigenza di un adeguamento a fini competitivi del mercato e della regolamentazione del lavoro, i sindacati invece, sono stati ben attenti a non ricadere nel conflitto sociale. Tronfi della posizione privilegiata di dialogo con il padronato hanno chiuso gli occhi senza muovere un dito per fornire strumenti a una nuova generazione esposta a quel mercato ben lontano da dimostrarsi stabile. Il risultato e che il 70% dei giovani compresi tra i 17 e i 35 anni non è iscritta ad alcun sindacato.
A meno che non si voglia leggere il dato come la fine del conflitto capitale lavoro, si deve per forza aprire un ragionamento su come i giovani percepiscano il ruolo del sindacato. Sicuramente non vi è nessuna riconoscimento della struttura sindacale come strumento di emancipazione collettiva ed individuale. L’impossibilità per il lavoratore atipico di essere organizzato nel luogo di lavoro, fosse anche solo per l’estrema ricattabilità di cui è vittima dimostra non solo la mancanza di volontà ma anche l’impossibilità organizzativa dei sindacati concertativi, e soprattutto della CGIL, di rappresentare coloro che sono precari o disoccupati.
Guardando alla politica, le organizzazioni giovanili dei due principali partiti comunisti (Prc e Pdci) subiscono e hanno fatto proprie quelle dinamiche che hanno portato le loro organizzazioni madri all’allontanamento dalla classe con la logica conseguenza del fallimento. In esse sopravvive un avulso politicismo sostenuto da una retorica comunista che non da però alcuno spazio all’analisi dei nuovi percorsi che le identità comuniste devono svolgere all’interno della società. Un pensiero rivolto unicamente al passato, dove gli stessi riferimenti storici sono quelli più retrivi della tradizione comunista( riformismo, eurocentrismo, pacifismo ecc….) sono ciò che di più dannoso possiamo presentare al mondo giovanile soprattutto di fronte alla crescita costante che in esso sta avendo la destra più radicale.
I centri sociali, pur restando interessantissimi luoghi di sperimentazione politica essendo attraversati da diversi settori sociali, sono in crisi a causa del modello escludente che molto spesso li sorregge. In molti spazi autogestiti vengono elaborati modi di vivere più che azioni politiche complessive, rendendo i collettivi politici che in essi operano incapaci di farsi capire a chiunque non appartenga al circuito, più o meno dorato, di cui fanno parte.
Diversa è invece la situazione per alcuni collettivi studenteschi e universitari o di intervento sociale/sindacale a livello nazionale. Queste esperienze che hanno dovuto confrontarsi con le lotte del mondo della formazione, in difesa del diritto all’abitare, dei territori e dei beni comuni, rappresentano probabilmente il punto più avanzato di partecipazione giovanile alla politica avendo assunto un ruolo sicuramente centrale e determinante della conflittualità generazionale delle ultime mobilitazioni.
Altri soggetti che meritano un discorso a parte perché in larga misura non si rifanno al movimento comunista, sono gli attivisti e le associazioni che pur muovendosi nell’ambito della sociètà civile, del volontariato o della solidarietà internazionale si pongono il problema della situazione politica nazionale e internazionale. Sono queste le realtà che hanno approfittato positivamente della crisi politica che ha attraversato la sinistra negli ultimi anni diventando bacino per tutta una serie di compagni, soprattutto giovani, che hanno abbandonato o non hanno mai voluto entrare nella politica organizzata ma non hanno abbandonato l’idea di un altro mondo possibile.
Il nostro compito … prospettive e organizzazione
Come Rete dei comunisti ci stiamo con questa terza assemblea nazionale ponendo il problema di come i comunisti possono tornare ad avere un ruolo nella vita politica di questo paese.
Il nostro approccio verso le generazione più giovani deve partire dal riconoscimento di una caratteristica storica di chi è cresciuto negli ultimi 20 anni ovvero la mancanza di una propria storia politica e di un esempi concreti e tangibili di alternative di società.
Rispondere all’atomizzazione sociale di cui siamo testimoni significa sviluppare strumenti adeguati alla ricomposizione della realtà. Giovani studenti e precari che si vedono privati di ogni garanzia sociale hanno espresso la loro indisponibilità in vari modi ma non hanno trovato strumenti adeguati per dargli forma continuata. Strumenti come il sindacalismo metropolitano sono essenziali per dare rappresentazione e organizzazione a tutta una serie di soggetti per gran parte giovani irrappresentabili nelle strutture sindacali classiche. Dobbaimo essere noi stessi acceleratori di processi di unificazione e sperimentazione che sappiano dare risposte organizzate al malumore dilagante.
Compito principale che però come compagni vogliamo assumerci e quello della ricomposizione di una organizzazione e di una identità comunista riconosciuta all’interrno di una generazione che il comunismo l’ha visto solo dietro le sue spalle.
Le divisioni e le differenze che separano collettivi e gruppi di giovani compagni provengono per la maggior parte dei casi dalla sussunzione di un un passato che stenta a tramontare nel nostro paese. Sta a noi e ai compagni che con noi vorranno intraprendere questo lavoro dotarci degli strumenti necessari per superare un settarismo, delle divisioni e incomprensioni figlie di scelte e posizioni che poco o nulla hanno a che vedere con la realtà socio-politica odierna.
A questo scopo pensiamo che l’utilizzo di strumenti come la formazione e la comunicazione siano essenziali per dare strumenti analitici e porre delle problematicità che aprano un dibattito libero dall’immediatismo con diversi settori di compagni.
Questo è un compito che in parte deve assumersi l’intera struttura della Rdc e in parte deve avere l’uno strumento proprio e una struttura propria di intervento. Se infatti deve essere un compito di tutte le realtà della Rdc proporre e sviluppare nei territori momenti di formazione e dibattito con le realtà giovanili presenti nel territori, abbiamo anche bisogno di un ambito proprio e dedicato a questo intervento. Ciò a cui stiamo pensando e una rivista con funzione di laboratori politico che abbia come obiettivo l’aumento del dibattito teorico a partire dalla propria prassi quotidiana.
Ciò può portare gruppi con posizioni e percorsi diversi a confrontarsi su specifiche questioni di ordine sia teorico che pratico creando anche uno strumento che può avere una vita propria all’interno del movimento e delle realtà nazionali. A ciò l’idea e di accompagnare sei seminari nazionale di formazione per giovani che nascano dai bisogni e dai temi affrontati dal laboratorio stesso con l’obiettivo di trasmettere dei punti e parametri di riferimento il più comuni possibili.
Irrazionalità come elemento culturale dominate
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un imbarbarimento generale di tutta la vita culturale e dei costumi della nostra sociètà.
La “ grande fabbrica dei desideri e delle menzogne” ha prodotto una sovrastruttura tale per cui qualsiasi atteggiamento razionale e qualsiasi approccio scientifico e razionale alla realtà risulta residuale all’interno della sociètà italiana e in modo drammatico tra i giovani.
Ad un elevato livello di istruzione generale non si accompagna un rinnovamento culturale conseguente. Se pensiamo ai rapporti di genere e al ruolo della donna nella nostra società ma anche al rapporto con religione e con le varie credenze che ancora oggi vengono sponsorizzate dai media e sostenute dalla cultura dominante ci rendiamo conto di come la politica del pensiero unico abbia depotenziato qualsiasi idea di alternativa sociale possibile.
I modelli proposti da questa sociètà stanno vivendo una radicale polarizzazione in cui al soggetto rampate proposto dai mass media ,super competitivo nei confronti dei suoi simili, viene contrapposta l’arcaica idea della famiglia e il rispetto di valori primordiali e reazionari come la patria, la lingua e l’identità culturale. Basti pensare all’atteggiamento e alle parole d’ordine che hanno caratterizzato le ultime manifestazioni delle donne in cui alla donna “prostituta” serva del potere e stata contrapposta la brava massaia con una conseguente minima partecipazione da parte delle giovani che si trovano schiacciate tra 2 prospettive non di certo emancipatrici.
La scuole e tutta la comunicazione vivono questo generale abbassamento culturale della società e vengono proposti e riorganizzati come semplici riproduttori di una cultura e di una storia tramandata dai vincitori senza alcuna opposizione di un pensiero e di una visione diversa. Ogni pensiero critico fuori dagli schemi viene relegato o al folclorismo o al dibattito tra intellettuali da salotto incomprendibili per la stragrande maggioranze delle persone e spesso con nessuna attinenza con la realtà.
Scienza contro irrazionalità
Trovandoci in una situazione come questa non possiamo sottrarci nell’assumere anche con metodologie propagandistiche, la ricostruzione di una visione scientifica del mondo e dei rapporti sociali. Le battaglie per l’emancipazione della donna e per la repressione delle idee più irrazionale che sembravano dover assumere solo un ruolo di rimando storico hanno oggi una importanza determinante nella riproposizione di un pensiero alternativo e indipendente all’interno della società italiana.
Sviluppare a seconda dei casi momenti di formazione, discussione e dibattito mirati non solo a compagni ma anche ad altri soggetti politici civili che subisco o sono particolarmente sensibili alle tematiche culturali può essere un modo per entrare all’interno del dibattito culturale e politico in corso nel nostro paese e soprattutto un canale d’accesso per tutte quelle tendenze che ancora hanno degli spazzi all’interno del mondo giovanile. Ciò implica una ricostruzione anche tra compagni di un pensiero forte che possa contrapporsi senza folclorismi al pensiero dominante e alla crisi da basso impero che stiamo attraversando.