Valter Lorenzi (relazione alla Terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti)
Il nostro contributo all’assemblea nazionale ha inteso focalizzare l’attenzione sullo specifico territoriale entro il quale sviluppiamo la nostra attività politica, onde evitare un intervento generico sui temi del documento politico e del manifesto politico, intorno ai quali abbiamo avuto modo in questi mesi di misurarci prima dentro il dibattito dell’organizzazione, poi con i tanti compagni con i quali ci siamo confrontati in pubblici dibattiti e assemblee.
Siamo partiti dunque da alcuni dati statistici sulla popolazione toscana, sulla sua struttura sociale, produttiva e dei servizi. Dati che riteniamo utili per comprendere, seppur in termini molto generali, il contesto concreto entro il quale verificheremo, nel prossimo futuro, l‘aderenza delle nostre analisi alla realta’ e la possibilita’ di rilancio di una ipotesi organizzativa comunista ed anticapitalista nel vivo del conflitto che la crisi sta determinando in una regione storicamente dominata dalla sinistra “storica” ed oggi, in stretta continuita’ con quella lunga esperienza, dal centro sinistra.
I dati sono stati presi dal rapporto sul mercato del lavoro dell’istituto regionale programmazione economica toscana del dicembre 2010, dall’ISTAT e dal CENSIS.
“ La popolazione complessiva residente e’ di 3.700.000 abitanti, con un incremento dello 0,6% sul 2009, dovuto soprattutto agli stranieri, che sono il 9,1% di tutti gli abitanti censiti. Nel 2003 gli stranieri erano il 4%.
La crescita della popolazione in età attiva è da attribuire completamente alla componente straniera. I lavoratori stranieri in toscana sono circa 160.000, il 10,9% del totale.
La crisi economica internazionale, iniziata nella seconda parte del 2007 come fenomeno circoscritto al settore finanziario degli Stati Uniti, si è rapidamente trasformata nella più forte recessione del secondo dopoguerra. Il crollo della domanda internazionale, e la conseguente caduta dell’output industriale, hanno colpito in modo particolare quelle aree, come la Toscana, fortemente orientate agli scambi con l’estero. La forte contrazione della domanda e la brusca caduta delle aspettative imprenditoriali hanno determinato l’arresto dei programmi di investimento e un deciso decumulo delle scorte da parte delle imprese.
In Toscana gli operai sono sempre di meno. I colletti bianchi sono la maggioranza dei lavoratori dipendenti e i servizi fanno la parte del leone, a scapito di industria e agricoltura.
L’industria toscana tipica è quella manifatturiera e a dominare sono le piccole e medie imprese, che sono oltre il 99 per cento delle 359.120 imprese di tutta la regione.
Le grandi imprese sono poche, anche se qualitativamente significative: una sessantina con oltre 250 addetti, tra cui piaggio, nuovo pignone, menarini, breda, lucchini, gucci, galileo e calp.
L’asse portante del settore industriale toscano è rappresentato dal sistema moda: tessile, abbigliamento, cuoio e pelle. L’industria meccanica è un altro dei cardini dell’economia toscana. Dopo Lazio e Lombardia, la Toscana è terza per presenza di industrie farmaceutiche. Il turismo è un altro pilastro.
Tra le 20 regioni italiane la toscana è al 9° posto nella classifica del prodotto interno lordo (pil).
In base a indicatori che misurano il benessere e la qualità della vita, come l’indice di sviluppo umano (isu) e la qualità regionale dello sviluppo (quars), la toscana sale, fra le regioni italiane, dal 9° posto del pil al 5° posto. Questi indicatori tengono conto della salute dei cittadini, del loro livello di istruzione, della sicurezza sul lavoro, delle relazioni sociali e dello stato dell’ambiente.
L’incidenza del lavoro autonomo fa della Toscana la “patria delle partite iva”, ben più delle altre regioni del nord Italia: parliamo di 466.000 lavoratori che rappresentano il 30,3% della forza lavoro complessiva. Un dato disaggregato interessante per comprendere l’incidenza del lavoro autonomo è il seguente: la percentuale di lavoratori autonomi nell’industria è del 31,3%, superando di 10 punti la media di questo tipo di presenza nel centro nord del paese. Nonostante la crisi, questa percentuale di lavoro autonomo rimane stazionaria.
In base a stime istat 2010 la percentuale di lavoro nero ed irregolare è del 9% sul complessivo.
Il 16% dei giovani toscani – dai 15 ai 29 anni – sono da collocare nella categoria definita con l’acronimo neet, not in education, employment or trading, cioè giovani inoccupati, che non studiano né stanno facendo formazione in ambito extra scolastico o universitario. Una condizione in netto aumento percentuale.
Nel 2010 c’è stato un decremento del 20% di lavoratori nell’industria manifatturiera, passati alla condizione di disoccupati o di cassintegrati.
Da maggio 2009 a giugno 2010 in toscana le domande di cig da parte delle aziende sono state 14.653 con 30.104 lavoratori coinvolti, di cui il 74,3% operai, per una spesa complessiva pagata dall’inps di 205.688.000 euro.
Il tasso ufficiale di disoccupazione in toscana è del 6,8%, che sale all’8,3% con i lavoratori in cig e cig in deroga, giungendo al 10% se si contano anche i giovani neet.”
(Dal rapporto sul mercato del lavoro in Toscana – IRPET anno 2010 )
I dati proposti, se messi a paragone con quelli degli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria dei subprime iniziata nel 2008, evidenziano l’impatto profondo della crisi sistemica nella struttura sociale e produttiva toscana, una crisi che travalica il mero dato economico divenendo crisi di “civiità”, una civiltà che nell’accezione toscana ha significato per anni capacità di mediazione sociale, controllo dei conflitti, efficienza amministrativa, in una costante e stringente interazione tra il sistema produttivo e dei servizi con gli apparati di partito, sindacali, del cooperativismo e dell’associazionismo. In altre parole il modello gestionale che sino alla seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso ha contraddistinto le regioni “rosse” da tutte le altre.
Da molti anni questa storia si è interrotta. Gli amministratori di “sinistra” sono divenuti alfieri della modernizzazione capitalistica, indicando la strada neoliberista attraverso le ben note politiche di privatizzazione e svendita del patrimonio pubblico, esternalizzazione forsennata delle mansioni e dei servizi, messa a valore dei territori attraverso speculazioni di grande rilievo ed impatto ambientale, trasformazione progressiva delle città in fortilizi securitari, presidiati da innumerevoli telecamere e ronde di carabilieri/poliziotti/vigili di quartiere.
Dobbiamo ammettere però che nella sua metamorfosi neoliberista la socialdemocrazia toscana ha sapientemente usato parte dei contenuti del “movimento dei movimenti” per rivestire di velluto il guando d’acciaio delle politiche economiche che macinavano progressivamente diritti, sicurezze sociali e futuro delle nuove generazioni.
Come dimenticare la faccia del governatore toscano Claudio Martini mentre piangeva per i lacrimogeni nei cortei di Genova 2001? Chi non ha partecipato l’8-9 novembre 2002 al forum sociale europeo dentro la fortezza da basso di firenze, finanziato dalla regione e gestito dall’arci? E che dire delle maratone glocal nella tenuta di San Rossore a Pisa, con la passerella di tutti i guru del “movimento dei movimenti” a parlare di altri mondi possibili?
La relativa autonomia amministrativa ha permesso infine alla regione toscana di mettere in scacco il governo di centro destra su alcune norme particolarmente odiose contenute nel famigerato “pacchetto sicurezza”
Un esempio per tutti: la legge regionale a tutela dei cittadini stranieri approvata dal consiglio regionale toscano il 9 giugno 2009, impugnata successivamente dal governo berlusconi. La corte costituzionale ha dichiarato inammissibile e non fondato il ricorso del
governo sulla legge regionale che norma l’accoglienza, l’integrazione e la tutela dei cittadini stranieri in toscana, soprattutto in materia di assistenza sanitaria. Una piccola vittoria utile a nascondere l’infamia della turco – napolitano, madre di tutte le leggi anti immigrati, ma anche ad ammansire le coscienze dei tanti votanti di sinistra.
Mentre blandivano l’elettorato progressista, i tecnocrati del centro sinistra toscano si concentravano nello sviluppo delle aree metropolitane e delle città medio/grandi, per rispondere alla crisi del modello produttivo incentrato sui distretti economici, che caratterizza anche il sistema toscano.
Trasformando le giunte comunali in veri e propri consigli di amministrazione al servizio dei locali poteri forti, sono stati messi a valore i territori e le proprietà pubbliche privatizzate per grandi speculazioni edilizie e cambi di destinazione d’uso a favore delle imprese private.
Uno studio del CENSIS del 2004 classifica tra le sette aree metropolitane Firenze, caratterizzata da “forte potere economico, alto livello di benessere e complessità sociale. Tra le 25 città definite dallo studio “dello sviluppo” viene collocata Pisa, per alto livello di sviluppo economico, benessere ed attività culturale. Tra le 11 città definite come “centri produttivi” Arezzo e Prato, con forte caratterizzazione industriale e elevato tasso di attività. “
La crisi economica, conclamatasi definitivamente con l’implosione finanziaria dei subprime nel 2007, ha rotto l’incantesimo , costringendo i “nostri” a mettere in soffitta gran parte delle messe in scena new global, il politically correct ed il buonismo di maniera.
Il PD toscano è tornato a gestire il potere attraverso le bronzee leggi della realpolitik. Enrico Rossi, potente assessore alla sanità durante la giunta Martini, si è presentato alle elezioni regionali del 2010 con un programma turbo – liberista, fatto di grandi opere come l’alta velocita e il corridoio tirrenico, la costruzione di nuovi inceneritori e rigassificatori, la continuità delle politiche di precarizzazione, di esternalizzazioni delle mansioni lavorative negli enti pubblici locali, di tagli ai servizi e, dulcis in fundo, una vergognosa apertura ai centri di identificazione ed espulsione (i famigerati CIE), anello finale della catena di sfruttamento che strangola migliaia di lavoratori immigrati espulsi dal processo produttivo.
Anche in questo caso, per far digerire l’amara pillola all’elettorato progressita, il pd parla di cie “dal volto umano”, cavallo di battaglia usato anche in questi giorni durante la vicenda della deportazione verso Coltano (PI) di 500 migranti sbarcati a Lampedusa.
Il placet del Ministro Maroni al “Modello toscano” dei piccoli centri sta in questi giorni evidenziando la fallacia dell’alternativa “buonista” alle politiche della destra, perché si scontra immediatamente con la feroce opposizione di albergatori, commercianti e cittadini per niente convinti dalla proposta. Mai come in questo caso vale l’antico adagio che dice che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Le politiche xenofobe e razziste bipartisan condotte in tutti questi anni non risparmiano nessuno, evidenziando nel fenomeno migratorio uno degli elementi di contraddizione centrali della crisi di civiltà in atto, con il quale tutti saremo chiamati a fare i conti.
Nonostante un programma del genere, la coalizione elettorale di centro sinistra ha visto la partecipazione attiva dei partiti della fds, partecipazione costata al maggior partito della federazione una rottura difficilmente ricomponibile con i tanti compagni dei circoli critici del prc toscani, risolutamente contrari durante tutta la campagna elettorale all’accordo con il pd.
Oggi i rappresentanti della fds siedono tranquillamente sui banchi della maggioranza e gestiscono quelle politiche dall’interno della giunta regionale con incarichi di governo
Nell’utimo anno ci siamo battuti contro alcune tra le più vergognose scelte politiche portate avanti dalle amministrazioni locali e regionali.
Toscana no cie è stata probabilmente la campagna più importante, che ha visto impegnati e coordinati a livello regionale diverse organizzazioni comuniste, centri sociali e sportelli migranti, uniti contro il tentativo di costruire anche sui nostri territori un lager per cittadini senza permesso di soggiorno. Ci siamo dovuti battere contro il cie proposto da maroni, ma anche contro il cie “buono” proposto da Rossi e da tutta la sua giunta.
Altro importante ambito di battaglia politica è quello della lotta contro la militarizzazione dei territori. Da alcuni mesi siamo impegnati all’interno del coordinamento nohub, sorto per contrastare il progetto di costruzione del più grande centro aeroportuale di guerra italiano all’interno dell’aeroporto militare dall’oro di pisa. Questo progetto sintetizza in una mastodontica opera militare la convergenza bipartisan nelle politiche di militarizzazione del tessuto produttivo locale per l’aggressione imperialista dei paesi cosiddetti “terzi”, in piena fase di sviluppo nello scenario libico. Con l’hub si intende chiudere il cerchio di una poderosa militarizzazione territoriale, che interesserà Pisa e Livorno. Le amministrazioni locali delle due città hanno coadiuvato e sostenuto il progetto, attraverso una pianificazione di lunga lena.
La progressiva connessione di attività industriali, commerciali e logistiche con la complessa presenza militare pre esistente, di cui la base militare statunitense di camp Darby è il cuore pulsante, indica con estrema chiarezza quali siano i progetti di sviluppo locale dei nostri amministratori di centro sinistra.
Anche in questo caso, al di là di generiche petizioni di principio e roboanti dichirazioni pacifiste, registriamo una sostanziale inanità della sinistra istituzionale, impegnata più in pastoie mediatorie nei consigli comunali o nelle giunte piuttosto che nella lotta risoluta all’hub e all’economia di guerra in fase di pieno sviluppo.
Altra esperienza importante per il suo valore politico e la sua estensione regionale è stata quella del coordinamento antifascista ed antirazzista toscano, sorto dopo gli arresti di compagni antifascisti a pistoia nell’ottobre 2009 ed ancora attivo in molte città toscane.
Nonostante il mefitico clima da “concertazione critica” che da sempre caratterizza l’agire della sinistra toscana, dall’interno delle giunte locali ma anche nei movimenti, la nostra regione non è un territorio pacificato. Le mobilitazioni brevemente descritte e le molte altre sviluppatesi nelle fabbriche in crisi, tra i lavoratori migranti, nelle scuole e nelle università contro la riforma gelmini, parlano da sole.
Le laceranti contraddizioni economiche prodotte dalla crisi sistemica del capitalismo determinano fratture profonde nel tessuto sociale di una regione storicamente molto coesa, creando le condizioni ottimali per progressivi scollamenti tra la gestione buonista della cosa pubblica e ampi settori sociali emarginati dal sistema produttivo e pauperizzati dalla precarizzazione esistenziale.
I dati proposti all’inizio di questa relazione parlano chiaro, così come l’ultima vertenza alla piaggio di pontedera, che ha visto coagularsi intorno al “modello colaninno” una cordata sindacale e politica impressionante, con una fiom locale, regionale e nazionale contrapposta alla maggoranza dei delegati fiom interni alla fabbrica, contrari ad un accordo che prevede la messa in mobilità di 400 lavoratori.
Il referendum, che ha di nuovo sconfitto la resistenza operaia grazie ai voti degli impiegati e alla una bassa affluenza alle urne, ha comunque assegnato un 46% alle posizioni dei delegati.
Il responso delle urne padronali è stato salutato con entusiasmo dal presidente della regione toscana e dai sindaci del comprensorio industriale della valdera. Molto meno dagli operai Piaggio, sul piede di guerra ed intenzionati a proseguire, come fatto d’altronde in questi mesi, la mobilitazione anche con scioperi contro la flessibilità, i ritmi di lavoro e gli straordinari imposti dall’azienda.
I fatti di tutti i giorni evidenziano con estrema chiarezza il venir meno di quei margini economici utilizzati ad arte per attutire il conflitto tra il capitale ed il lavoro, attraverso politiche di mediazione e repressione sociale nelle quali i nostrani esponenti del pci – pds – pd sono stati maestri. Le cortine fumogene della concertazione non riusciranno ancora per molto ad offuscare i cuori e le menti di generazioni senza futuro.
È in questo contesto che la nostra opzione politica può acquistare spazio
La realtà evidenzia come l’obiettivo dell’indipendenza politica di un soggetto comunista ed anticapitalista sia oramai ineludibile.
Il vuoto siderale tra conflitto e capacità di consolidare rapporti di forza tra le classi ci impone di ragionare molto concretamente sull’esigenza di costruire una rappresentanza delle lotte sociali liberata dall’istituzionalismo e da tatticismi sempre più votati al suicidio.
Per operare questi passaggi occorre dotarsi di un soggetto utile allo scopo, capace di agire come intellettuale collettivo, orientato alla costruzione di un partito dei comunisti che sia il prodotto di un processo storico e non mero atto formale tra sodali.
Concetti e obiettivi che abbiamo fatto tornare all’ordine del giorno di centinaia di comunisti che in questi mesi si sono confrontati con noi.
L’esperienza concreta fatta nelle tante riunioni, incontri e mobilitazioni che hanno scandito il tempo della nostra vita e della nostra militanza recente ci hanno fatto capire le mille difficoltà che ci stanno di fronte. Dovremo combattere contro le pessime abitudini accumulate in anni di tatticismi esasperati, di alleanze innaturali, di pratiche politiche che hanno mortificato lo slancio di tanti giovani compagni affacciatisi alla politica in una fase di crisi profonda del movimento comunista.
Sappiamo che per risalire la china di questa fase non esistono scorciatoie né organizzativistiche, tantomeno politiciste. I tempi e le forme del confronto con le varie aree dei comunisti saranno, in questo senso, utili se praticati in dialettica con le laceranti dinamiche sociali determinate dalla crisi sistemica del capitalismo. Torna utile qui parafrasare un principio marxiano, valido per il nostro orientamento generale: l’ipotesi comunista tornerà ad essere una prospettiva credibile per milioni di proletari se i comunisti saranno capaci di farla tornare a vivere nel movimento reale che trasforma lo stato di cose presenti.
Con umiltà, ma allo stesso tempo con la determinazione e la serenità di coloro i quali ritengono di essere dalla parte giusta della storia, i compagni della rete dei comunisti daranno il loro contributo su questa strada.