Stiamo assistendo, in questi ultimi 3-4 anni, all’apice di quella che può essere considerata la crisi economica più forte di questi ultimi cento anni.
Analizzare questa realtà, ci mostra con chiara evidenza che quella alla quale stiamo assistendo è una crisi del capitalismo che investe l’organizzazione stessa del sistema e il suo modello di civiltà, che crea non più soltanto povertà diffusa nei cosiddetti terzo e quarto mondo, ma anche in sempre maggiori strati della popolazione di quel mondo che fino ad ora si era sentito al sicuro.
L’acutizzarsi dei conflitti, ancor prima che nelle piazze o nei luoghi storici dei conflitti stessi, si manifesta chiaramente nei rapporti economico-sociali all’interno dei paesi a capitalismo così detto avanzato. Il conflitto capitalelavoro con la sempre maggiore disoccupazione strutturale e la precarizzazione dell’occupazione e della vita, lo scontro tra capitale e Stato dei diritti con la privatizzazione dei servizi, la crisi degli alloggi, l’insicurezza del sistema pensionistico, e non ultimo quello tra il capitale e la natura con la crisi delle risorse energetiche, dello smaltimento dei rifiuti, lo sfruttamento smisurato e la distruzione delle risorse naturali, i cambiamenti climatici, lo svilimento della qualità del rapporto uomo-ambiente, sono solo le manifestazioni più lampanti del significato della crisi stessa.
I problemi ambientali sono ormai da tempo all’attenzione pubblica e nell’agenda politica nazionale e internazionale, acutizzati dalla crisi globale e da essa resi più evidenti.
La contraddizione capitale-natura è una delle forme più avanzate della crisi del capitalismo e anche in questa, tutta interna al conflitto capitale-lavoro, si trova oggi una delle più lampanti chiavi di lettura del conflitto tra gli interessi di classe. Un problema che dovrà necessariamente gestire la società del capitale nel tentativo di uscire dalla crisi, ma che, paradossalmente ed inevitabilmente, la dinamica dello stesso sistema di produzione capitalista acutizzerà. L’accesso alle materie prime e alle fonti energetiche, la produzione delle merci, la loro circolazione, il loro consumo, la delocalizzazione della produzione, sono fattori indispensabili al capitale, sono la sua “cassetta degli attrezzi” per tentare di uscire dalla crisi, ma sono anche quelli che la renderanno sempre più evidente. Gli strumenti a sua disposizione per tentare di risolverla non sono compatibili con la natura, e più tenterà di farlo e più renderà evidente la contraddizione capitale-natura e alimenterà il conflitto capitale-lavoro.
Un quadro, questo, che rende necessario una elaborazione teorica delle questioni ambientali, che sia in grado di dare respiro ad una pratica politica che parta da una visione di classe.
A livello internazionale, segnali importanti in questo senso ci arrivano dall’America Latina con il processo di cambiamento che sta avvenendo in molti paesi di quel continente. Il Governo di Evo Morales in Bolivia, quello di Correa in Ecuador, il Venezuela di Chavez, i paesi tutti dell’ALBA, con le loro nuove Costituzioni ne sono un esempio, solo per citare le punte più avanzate.
Insomma un continente dove, con forme legate agli interessi di classe dei lavoratori e altre soggette a maggiori mediazioni, ma comunque orientate alla creazione di una nuova società, si stanno avviando processi sociali ed economici fuori dalle leggi di mercato e alternativi al capitalismo, quindi che attivano processi che si pongono nella prospettiva di superare le leggi dello sfruttamento sull’uomo e sulla natura, dove l’economia rimane indirizzata alla soluzione dei bisogni delle persone e quindi al rispetto e alla protezione della natura.
Seguire con attenzione questi processi e questo conflitto, comprenderne l’importanza, esserne parte, è necessario per i comunisti. Non avere un approccio romantico verso questi processi è un dovere intellettuale, per coglierne invece la reale essenza. Un’essenza che pone con forza non solo il conflitto nord-sud o il valore anticolonialista e antimperialista, ma il conflitto con il capitalismo e il suo superamento proprio a partire dalle questioni ambientali, avendo colto appieno la contraddizione capitale-natura e ponendola, come già detto, nel conflitto capitale-lavoro.
Le questioni ambientali a livello globale ci appaiono in tutta la loro drammaticità con i cambiamenti climatici, la deforestazione, la colonizzazione del suolo e dell’atmosfera, la depauperazione delle materie prime, l’emigrazione, la crisi energetica. Queste, come quelle di carattere locale, vanno interpretate tutte all’interno del conflitto con il capitale, come frutto dell’attuale mondializzazione di quest’ultimo attraverso la sua opera imperialista e colonialista, che si esprime sia in campo politico che in quello bellico. Una competizione globale frutto dello scontro tra gli interessi dell’imperialismo della Unione Europea, ma anche interni all’UE stessa (soprattutto tra quelli di Francia e Germania e quelli dei cosiddetti PIIGS), con quelli degli Stati Uniti d’America, che sta evidenziando i suoi effetti più devastanti dall’Asia all’America Latina, dal Medio Oriente al Nord Africa imponendo continuamente assetti geopolitici ed economici, che non possono non tener conto anche della contrapposizione con quelli dei paesi emergenti del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina).
Seppur le questioni internazionali sono di fondamentale importanza, l’attenzione deve essere posta anche a quelle di politica interna e, quelle ambientali come altre, comunque interpretate nel quadro internazionale. Allora i temi di carattere ambientale presenti nell’agenda politica attuale, ma anche quelli che apparentemente non sembrerebbero essere legati a questi, bisogna affrontarli con la capacità e con gli strumenti della critica marxista.
Le questioni ambientali, qualunque esse siano, sia di carattere nazionale che internazionale, non possono non avere radici nella critica al modello di sviluppo capitalista che, per i comunisti, deve necessariamente avere un punto di vista di classe.
Fino ad oggi in Italia abbiamo assistito a molti conflitti sulle questioni ambientali, da quelli sui treni ad alta velocità a quelli sullo smaltimento dei rifiuti, da quelli sull’inquinamento elettromagnetico a quelle sugli OGM, sull’acqua pubblica fino a quelli sull’ampliamento delle basi e dei poligoni militari solo per citarne alcuni, ma l’elenco potrebbe serre più lungo. Questi però, in molti casi, hanno espresso “semplicemente” vertenze locali, sui diritti, su specifiche tematiche, senza riuscire a trovare una percezione di unità e senza cogliere fino in fondo l’essenza della contraddizione capitale-natura e il nesso con le altre espressioni del conflitto sociale e del mondo del lavoro.
Questi conflitti hanno in sé una potenzialità anticapitalista, che spesso però rimane incompiuto a causa della mancanza di un progetto unificante e del soggetto che lo esprime, di un disegno strategico di trasformazione del quale sentirsi parte, nel quale confluire, al quale contribuire.
Un recupero in questo si rende necessario, in parte già avviato, che superi la visione del contrasto uomo-natura tipica dell’ambientalismo ecologista, che sappia opporsi al tentativo di ripresa ideologica ed egemonica del capitale, che si ponga in alternativa alle visione fuorvianti della contraddizione capitalenatura come una mera variante, anche se in alcuni casi involontaria, del pensiero capitalista, che riacquisti le tematiche ambientali ad una visione anticapitalista e di classe nei processi di riorganizzazione dell’opposizione politica e sociale.
Questo sia a livello locale che globale mettendo in relazione, all’interno di un nuovo processo, i movimenti sociali e politici dei paesi a capitalismo maturo con quelli nella periferia produttiva, in una visione inscindibile delle loro rispettive istanze.
E’ necessario quindi fin da subito unire le questioni ambientali alle dinamiche attuali della soluzione politica del conflitto capitale-lavoro, collegando la contraddizione capitale-natura allo sviluppo delle lotte sociali e del conflitto di classe in un programma di controtendenza.
In questo i comunisti hanno il dovere di trovare il loro spazio teorico e di agire politico, capaci di porsi come elemento scevro da dogmatismi e ortodossie, nella costruzione, in divenire, anche di una rappresentanza politica, che includa le questioni ambientali in quanto contraddizione significativa della produzione capitalista.
Costruire quindi un movimento dei lavoratori (occupati, disoccupati, precarizzati, migranti), dal basso e indipendente, che si opponga alla competizione globale e alla mondializzazione del capitale, che trovi una visione unificante tra tutte le lotte sull’ambiente e tra queste e quelle sociale e del lavoro, in una strategia comune anticapitalista e di classe.