Juan Pablo Mateo Tomé [1] [2] (in “Il vicolo cieco del capitale”)
Premessa
Questo documento presenta le linee guida fondamentali di una proposta di politica economica post-crisi. Come elemento distintivo coniuga una serie di riforme a breve termine insieme ad un progetto di trasformazione a lungo termine del modello di crescita nel quale queste si inseriscono, e dal quale acquisiscono il loro significato. I fulcri che reggono e giustificano il modello sono il raggiungimento di una maggiore (e differente) efficienza, un cambiamento sostanziale nella distribuzione delle entrate e nel contesto della sostenibilità ambientale. In ultima istanza si basa sulla considerazione della centralità del lavoro all’interno della società, come fondamento di un ideale di democrazia economica.
1. Introduzione
In questo testo si abbozzano alcune linee di ciò che costituirà una tabella di marcia o un progetto alternativo di programma economico per uscire dalla crisi attuale. La prospettiva adottata sarà quella della politica economica e non quella dell’economics, mostrando così la prospettiva ideologica e la pretesa che possa essere compreso da lettori non economisti.
Il meccanismo proprio del sistema economico vigente, il capitalismo, per superare la crisi passa attraverso la creazione delle condizioni che riprendano la domanda di investimento produttivo, fondamento del ciclo di espansione. E considerando che questa versione dipende dalla redditività del capitale, affermiamo che la crisi deve ristabilire il tasso di profitto.
Per tanto, qualunque politica economica che si proponga come uscita dalla crisi deve spiegare, per rigore e sincerità, il modo di portare a termine questo compito, in relazione a quelli che intendiamo essere i tratti del funzionamento del sistema economico.
Detto questo, che riprenderemo nella riflessione finale di questo testo, più che una mera enumerazione delle misure da implementare, quello che proponiamo è una tabella di marcia in forma di progetto di democrazia economica, che esige una prospettiva di lungo termine. Si tratta, perciò, del fatto che la democrazia (come ideale) si avvicina all’ambito economico, al processo produttivo. È da qui che la modifica dell’insieme di rapporti di produzione costituisce il nucleo del progetto ed è per questo che crediamo che “la partecipazione delle persone alle decisioni collettive di produzione conferisca più libertà personale che la partecipazione individuale nelle decisioni riguardo il consumo” (Arriola, 2006:15).
Ora questo orizzonte temporale non conta di ridursi ad un futuro indeterminato. Al contrario, le proposte economiche che vengono esposte, eterogenee per contenuto, incorporano proposte immediate a breve termine. Ma l’aspetto rilevante è che tali misure di imminente applicazione raggiungono il loro vero significato per come si inseriscono in un progetto di politica economica più generale, il quale, inoltre, esige alcuni cambiamenti di carattere politico e sociale per poter risultare attuabile. Dunque, crediamo che le proposte non debbano essere formulate in maniera isolata, poiché acquisiscono la loro vera dimensione, e per tanto credibilità nella popolazione, solo se si presentano all’interno di un programma di transizione verso una vera democrazia economica. E questo perché se non si trascendono le leggi fondamentali del sistema economico capitalista, le iniziative esposte possono essere solo meramente circostanziali, realizzabili quel tanto che lo permetta la norma del beneficio privato. In concreto, si richiedono cambiamenti organizzativi e di coscienza sociale, in assenza dei quali qualunque intento di controllo democratico della produzione culminerà nella cooptazione di gruppetti di minoranza, burocrazie sindacali o di alcuni partiti (Astarita, 2011).
Il progetto di procedere verso una democrazia economica ha tre pilastri:
- efficienza e vitalità economica;
- diritto a un livello di vita degno inerente alla condizione del cittadino e della giustizia distributiva;
- sostenibilità ambientale.
Il comun denominatore che rende compatibili questi punti è quello della democrazia economica, a partire dalla considerazione della centralità del lavoro nell’insieme della società e del sistema economico. In effetti, non può essere considerato democratico un sistema nel quale il guadagno di alcuni, la maggioranza, è retto dal lavoro di altri, la minoranza, con ampie disuguaglianze di guadagno e condizioni di vita miserabili di vita per ampi strati di popolazione, dove si privatizzano benefici e si socializzano perdite, dove alcuni sono stati sfrattati altri perdonati, dove esiste una stretta relazione tra la classe imprenditoriale e il potere politico (si veda Navarro, Torres e Garzón, 2011:54)
Da parte di una coscienza democratica non è concepibile che si impongano governi definiti falsamente “di tecnici” se questi si rapportano con i principali creditori del debito sovrano, la Banca Mondiale, la Trilateral o Goldman Sachs, come attualmente accade in Europa. In altre parole, la mancanza di mezzi per vivere è incompatibile con qualunque concetto di democrazia. Inoltre, il nostro progetto non si mantiene sul piano soggettivo della morale, ma si poggia sulla constatazione che un sistema economico come quello attuale, in cui l’assegnazione delle risorse avviene attraverso il mercato, non è il modo più efficiente per aumentare la crescita economica e il benessere della popolazione. [3]
Perciò questa tabella di marcia alternativa deve essere posta davanti dello strepitoso fallimento dell’attuale modello di produzione capitalista che non è in grado di procurare degne condizioni di vita per la popolazione, e che genera continuamente sfruttamento, regressione e conflitti, tutte caratteristiche che riguardano le sue fondamenta e non sono il prodotto di errori tecnicopolitici di gestione. Insomma questo sistema economico non può essere efficace, giusto e sostenibile se permette che, nel quadro dell’attuale crisi, lo 0,16% della popolazione si appropri del 66% del guadagno mondiale totale, e in Spagna le 35 maggiori imprese che sono quotate in borsa hanno guadagnato nel 2010 un 24,7% in più rispetto al 2009, mentre alla popolazione si impongono tagli profondi (Navarro e altri 2011:64).
Un programma economico alternativo contiene sempre una certa dose di utopia, ma non deve essere una chimera. Crediamo che sia un progetto razionalmente possibile, economicamente realizzabile e che cerca di fondarsi non sullo sfruttamento, ma sulla collaborazione. Ma per riuscire ad essere credibile, è cosciente dei profondi ostacoli che deve affrontare, ragion per cui le sue linee guida devono essere esposte con una vocazione che sia condivisa dagli ampi gruppi sociali dell’Unione Europea, perché solo questa collaborazione renderà fattibile questa proposta alternativa.
Il testo inizia giustificando il ruolo dello Stato tanto nell’attuale sistema economico che nella tabella di marcia, il che serve da base per trattare successivamente tre aspetti cruciali, come le dimensioni distributiva (salariale), spaziale (abitazioni, urbanistica e trasporti) e l’inserimento esterno, tutte strettamente collegate. L’ultimo paragrafo si occupa di giustificare la necessità di optare per criteri non commerciali di pianificazione democratica dell’economia, e si conclude con alcune implicazioni complementari su quanto esposto.
2. L’intervento dello Stato
Il fulcro della nuova politica economica proposta gira intorno all’intervento dello Stato, incrementando e modificando radicalmente il suo ruolo nell’economia. Richiedere un maggiore intervento pubblico comporta in primo luogo constatare una realtà. Da una prospettiva storica di lungo termine si osserva una tendenza all’incremento del peso della spesa pubblica sul PIL nell’insieme delle aree dell’economia mondiale (FMI, 2000; Hall, 2010). E ciò che è più rilevante è che la spesa pubblica ha sostenuto un ruolo essenziale dando spinta alla crescita e allo sviluppo economico nelle economie capitaliste nell’ultimo secolo e mezzo [4], finanziando le infrastrutture necessarie (strade, elettricità, acqua ecc.), procurando i servizi base di salute ed istruzione in modo più efficiente del settore privato, e può mantenere livelli salariali e condizioni di lavoro adeguate per il libero sviluppo personale.
Altra ragione che giustifica la necessità di scommettere su un maggiore intervento pubblico è la necessità di correggere l’impatto ambientale dell’attività economica. In concreto, la lotta contro il cambiamento climatico dipende decisivamente dal finanziamento pubblico (Hall, 2010:5).
Mettiamo in discussione, quindi, l’assioma del punto di vista neoliberista che stabilisce la superiorità del settore privato. È una questione complessa che non può essere dimostrata empiricamente, ma spiegata a partire da alcuni parametri teorici [5]. Si può apprezzare, questo sì, che il mercato capitalista fallisce attualmente in termini di ottenimento della crescita economica e pieno impiego e, da una prospettiva storica presenta la ripetizione di crisi e depressioni.
D’altra parte l’intrinseca tendenza alla crisi che l’economia capitalista mostra conduce a una socializzazione delle perdite sotto forma di ampie iniezioni di liquidità per evitare il fallimento delle grandi imprese, ma che risultano tremendamente gravose per la società [6]. Pertanto il mercato necessita permanentemente dello Stato, e perciò il dibattito non deve ruotare intorno al dilemma Stato sì o no, ma sul tipo di intervento che sosteniamo.
In virtù di queste considerazioni difendiamo la responsabilità del settore pubblico, in primo luogo, nel procurare i mezzi di sussistenza ai cittadini, come un requisito immediato della massima priorità. E a medio termine questo deve contribuire a modificare il modello vigente di accumulazione. Deve favorire i rami dell’economia a maggiore componente tecnologica, per i quali devono essere nazionalizzati i settori strategici per l’economia nazionale. Un primo passo potrebbe essere quello di invertire tutti gli aiuti, diretti o indiretti, che sono stati realizzati a beneficio del settore privato, così come il processo di privatizzazione effettuato fin’ora, ma nella prospettiva di trasferire alla proprietà statale i principali rami dell’industria e dei servizi. [7]
A breve termine scommettiamo in uno stretto controllo pubblico sul settore finanziario attraverso le limitazioni dei movimenti di capitali, un’alta tassazione su alcune transazioni, il divieto della speculazione con i “credit default swaps” (CDS), un’azione che tenda alla soppressione dei paradisi fiscali, ecc. [8]
Senza dubbio, l’obiettivo deve essere la nazionalizzazione del sistema finanziario in modo che possa agire a beneficio della popolazione lavoratrice. Segnaliamo una questione importante: per un’impresa pubblica, come un’istituzione bancaria, il semplice fatto di essere nelle mani dello Stato, non significa necessariamente agire a beneficio della società. In Spagna lo abbiamo provato con l’esempio delle casse di risparmio, utilizzate a beneficio degli interessi delle imprese private, ma che attualmente sono risanate con denaro pubblico per favorire un accentramento d’impresa a beneficio di poche (ma grandi) banche. Quello che bisogna tener presente è che solo al di fuori di interessi privati è possibile agire a favore della maggioranza. La canalizzazione del risparmio verso l’investimento è un elemento centrale nella riconfigurazione settoriale dell’economia per porre le basi di un nuovo modello di crescita e distribuzione delle entrate. I vantaggi di un sistema finanziario pubblico risiedono tanto nel decidere le priorità per destinare i fondi disponibili, come nel dare avvio a progetti di lungo termine. Precisamente, bisogna affermare che uno dei fattori che stava dietro al boom dell’investimento nel periodo del dopoguerra (gli anni d’oro del capitalismo) fu il ruolo sostenuto dal settore pubblico (Harman, 2009), mentre la liberalizzazione iniziata con l’aiuto della svolta neoliberista ha dato priorità ad un’ottica a breve termine. Le finanziarie hanno ideato prodotti che permettono la liquidità di queste spese il che dovrebbe, in teoria, incentivare gli investimenti a lungo termine. Così si giustifica la creazione di titoli che rappresentano diritti di proprietà sui flussi di valore futuri, che possono essere oggetto di transazione sui mercati secondari. Ma l’esperienza mostra comunque che in molte occasioni predomina la pura speculazione, e di fatto dalla svolta neoliberista degli anni ’80 i tassi di investimento produttivo nel mondo sono scesi con implicazioni sociali decisive, come segnala proprio l’FMI (2006). Tuttavia, con una pianificazione collettiva dei progetti di investimento, l’insieme dei prodotti finanziari non risulterà necessario e si eviterà la formazione di bolle speculative.
3. Distribuzione dell’entrata e rapporto salariale
Un altro dei pilastri per la conformazione della nuova politica economica, e della riconfigurazione settoriale che richiede, si basa sulla modifica dello standard di distribuzione dell’entrata. Scommettiamo su un incremento generale dei salari, sulla riduzione dell’orario di lavoro e sull’attenuazione delle differenze di reddito come un aspetto centrale del modello di crescita da attuare [9]. Segnaliamo che all’interno dell’attuale contesto dei rapporti economici, una migliore distribuzione del reddito porta a una maggiore speranza di vita, a una riduzione della mortalità infantile, a meno violenza (omicidi) e perciò di minor gente in prigione, così come a meno malattie mentali e obesità (si vedano Wilkinson e Pickett, 2009).
Ciò richiede l’aumento dell’insieme dei redditi e delle spese di Stato. Risulta ineludibile, perciò, invertire il processo di regressione fiscale avviato dagli anni novanta per i redditi da capitale, insieme ad una molteplicità di sussidi, sgravi ed esenzioni, insieme alla licenza per il capitale di ricorrere a paradisi fiscali e altri meccanismi di evasione fiscale. Come conseguenza, il tasso effettivo di imposta sulle società arriva appena al 10% in Spagna, inferiore al tasso nominale in Irlanda, del 12,5%. Le classi privilegiate pagano in proporzione meno dei loro colleghi europei, cosa che ha originato il problema del debito sovrano e sta alla radice del cosiddetto deficit sociale spagnolo (Navarro, Torres e Garzón, 2011).
Proponiamo un incremento sostanziale della imposta sui redditi da capitale attraverso l’incremento della tassa sulle società e sul patrimonio, l’eliminazione dei diversi meccanismi che fanno abbassare la tassa effettiva nominale, così come una lotta contro la frode fiscale con la budget che questo lavoro richiede.
In aggiunta, ma non meno importante, questa maggiore riscossione fiscale è coerente con il proposito di limitare la dipendenza dall’indebitamento nei mercati dei capitali, riaffermando così la sovranità nazionale nella politica economica.
Ma cercando ancora di limitare la dipendenza dai prestiti si deve eliminare la riforma dell’articolo 135 della Costituzione spagnola che attenta ai principi democratici, di sovranità nazionale e di giustizia distributiva, per stabilire costituzionalmente un’esigenza che deve dipendere dal governo democraticamente eletto, come nel concedere priorità al pagamento del debito pubblico rispetto ad altri fini, anteponendo gli interessi dei creditori (salvati con denaro pubblico) a quelli di tutti i cittadini.
Rispetto alla spesa, in primo luogo si deve chiarire che solo il ruolo che conferiamo allo Stato giustifica il suo aumento. Si noti che, in tali circostanze, lo spessore della spesa pubblica deve essere quello dell’investimento, con lo specifico proposito di ottenere la piena occupazione, che limiterà in gran misura la spesa sociale sotto forma di transfert, come quelli della disoccupazione.
A breve termine esistono, nonostante tutto, alcune parti di spesa pubblica il cui aumento costituisce alcune delle rivendicazioni fondamentali, e che debbono durare, ampliate, nel lungo termine: istruzione, sanità, pensioni.
L’istruzione è la base di una cittadinanza ben formata e critica, aspetto inevitabile di un progetto di democratizzazione e responsabilità dello Stato verso i suoi cittadini (Mateo, 2011).
Si deve incentivare un’istruzione pubblica assolutamente laica, gratuita e non subordinata alle necessità imprenditoriali, e con una classe di docenti con migliori condizioni lavorative. Il sistema educativo ha come prima missione quella di formare i cittadini, e in secondo luogo di produrre mano d’opera qualificata, ma subordinando l’impresa all’università e non il contrario.
In questo senso si deve eliminare qualunque favore concesso all’istruzione privata mirando a che in futuro tutta l’istruzione sia fornita dallo Stato, e rompere radicalmente con il Processo di Bologna. [10]
Un altro pilastro delle conquiste sociali è la sanità. Se confrontiamo il sistema sanitario statunitense, basato su imprese private, con il resto dei paesi della OCDE, constatiamo che i sistemi basati sul settore pubblico sono più efficienti ed efficaci. Per questo la spesa pubblica nella sanità ha un effetto positivo sulla crescita economica, a differenza del sistema privato, che pregiudica anche lo stato di salute (si veda Hall, 2010).
Pertanto bisogna invertire il processo di privatizzazione introdotto in Spagna dai governi di destra, del centro sinistra e dai nazionalisti conservatori con le “nuove forme di gestione” attraverso concessioni al capitale privato sottomesso al criterio di redditività economica, la pretesa di instaurare il ri/comborso o l’area unica, così come di utilizzare il denaro pubblico per interventi nei centri privati con l’alibi di ridurre le liste d’attesa, a discapito dell’ampliamento della rete ospedaliera pubblica. Difendiamo una sanità gratuita, universale, basata sulla prevenzione (Vs la cura), il sostegno all’offerta (i centri ospedalieri, soddisfare la domanda, l’individuo-consumatore) e con professionisti che dispongano di degne condizioni di lavoro (e per tanto migliori di quelle attuali).
In terzo luogo difendiamo un sistema di pensioni pubblico finanziato con tutte le entrate dello Stato che incrementino progressivamente il potere d’acquisto delle pensioni. Questo è un attacco contro uno dei protagonisti della globalizzazione finanziaria neoliberista, poiché i fondi pensione arricchiscono gli investitori a scapito dei lavoratori, investono in numerose attività finanziarie a rischio, alimentando bolle speculative, e servono da minaccia ai governi che non si piegano all’ideologia neoliberista (Mateo, 2011).
A tal fine si devono eliminare le riforme progressive del sistema delle pensioni che, per esempio in Spagna comporterà una riduzione del salario differito del 15-20% (Antón, 2011), eliminare tutti i sostegni ai piani privati mirando alla loro totale eliminazione, e con la prospettiva della graduale riduzione dell’età della pensione.
Questa redistribuzione del reddito non deve implicare in assoluto una riduzione del risparmio disponibile per gli investimenti. Solo con i redditi dei settori più ricchi si può generare un importo di risorse sufficiente a fornire un’entrata adeguata per ciascun cittadino e a finanziare i progetti di investimento che una crescita economica sostenuta esige.
4. Gli spazi: abitazioni, urbanistica e trasporti
Il tema distribuzione dello spazio è uno degli esempi più chiarificatori, per la sua visibilità e incidenza tangibile sulle condizioni di vita dei cittadini, in cui si dimostra l’assoluto crollo del mercato, e nel quale è più indispensabile una pianificazione. Molto brevemente noi ci limitiamo a menzionarne tre aspetti.
L’accesso a una casa deve costituire un diritto per tutti i cittadini che lo Stato deve assicurare, non un oggetto di investimento per ottenere benefici. È necessario invertire la politica economica di liberalizzazione portata avanti dai differenti governi in questa materia [11], conservatori o progressisti. Il crollo del mercato in questo ambito è più che evidente: in Spagna c’erano nel 2001 più di 24 milioni di abitazioni, e circa il 12% di queste era vuota (Fernández e Mayals, 2008), mentre il prezzo continuava ad aumentare, contro le pretese teoriche che giustificarono questa linea, per non parlare dell’aprioristica concezione dell’efficienza e dell’equilibrio del libero mercato. Senza dubbio l’abitazione possiede alcune caratteristiche che giustificano la sua esclusione dai criteri commerciali: costituisce un bene dalla domanda poco elastica la cui produzione ritarda nel tempo di alcuni anni, per cui nel breve termine il suo prezzo deriva dalla domanda, e per accedervi deve essere realizzata una operazione finanziaria, come ricevere un prestito. Data la prospettiva temporale di questo, circa 30 anni, il settore privato opta per tecniche per accedere a liquidità immediata (la cartolarizzazione), e insieme al fatto che il suolo ha uno spazio limitato, l’abitazione possiede gli elementi propri di una merce che può essere oggetto di una spirale speculativa [12]. Per queste ragioni la sua gestione non può essere lasciata al libero mercato.
Questa politica intorno alle abitazioni è connessa con un modello di urbanistica subordinato alle necessità sociali piuttosto che alla logica del beneficio. Il recente boom immobiliare ha generato un ordinazione urbanistica delle città vicina al modello anglosassone dei quartieri periferici privi di piccoli negozi, la cui pianificazione stradale gira intorno al centro commerciale, isolato da ampie strade, e con carenza di servizi sociali e culturali, portando fuori dal centro la popolazione con meno risorse per costruire quartieri di lusso, la cosiddetta gentrificación. Questa espressione dell’urbanistica neoliberista di carattere vendicativo, seguendo l’espressione di Smith (2002).
Così perciò si difende un cambiamento della politica urbanistica a beneficio della qualità della vita e del rispetto dell’ambiente, un compito che non può sottomettersi alla logica del beneficio privato. Un’altra delle ragioni dell’inefficienza del modello attuale sta nell’impatto ambientale che produce, tenendo conto che il mercato non può internalizzare i costi ecologici.
Allo stesso modo, questo settore è un elemento decisivo in termini distributivi, perché è stato con il boom del prezzo delle case che il capitale ha assorbito gli aumenti nominali del salario, tenendo conto che questo indice di prezzi non computa l’indice dei prezzi di consumo, perché non si considera un bene di consumo, ma di investimento (Fernández y Mayals, 2008). [13]
In fine, lo Stato deve portare avanti un riordinamento del sistema dei trasporti coerente con questo progetto economico. Deve essere pubblico e garantire ai cittadini il diritto di circolare con prezzi accessibili ed essere sostenibile a livello ambientale, il che richiede di riconsiderare la priorità concessa all’alta velocità in Spagna in circostanze nelle quali l’orografia non sia adeguata, considerando che molte delle varie infrastrutture sono state eseguite non per necessità sociali, ma per l’affare che rappresentano per il settore delle costruzioni.
5. L’inserimento esterno
La centralità dello Stato e dell’aumento dei salari ha come corollario un maggiore protagonismo della domanda interna. Non segue per questo nessuna pretesa autarchica, perché il commercio non è di per sé negativo. L’elemento essenziale si basa sulle condizioni di produzione dell’eccedenza. Dunque, sarà lo sviluppo delle forze produttive che determina il tipo di inserimento esterno verso cui tenderà l’economia, perciò non è tanto quanto si scambia, ma ciò che viene scambiato. Per tanto, ciò che risulta inevitabile è riconfigurare le condizioni nelle quali un paese si inserisce nell’economia mondiale, e in particolare nello spazio europeo, in termini di rapporti commerciali, finanziari e produttivi. Qui si inserisce la proposta per riconfigurazione settoriale e sociale dei fondamenti del modello di crescita, nel quale, uno degli aspetti più importanti sarà limitare la dipendenza esterna dai mercati finanziari.
In questo modo si può assicurare la sovranità nazionale di fronte ai movimenti speculativi e alla necessità di subordinare gli obiettivi interni di crescita o sostenibilità sociale ed ecologica agli imperativi della finanza mondiale. Inoltre, la ridistribuzione progressiva dell’entrata permette di subordinare l’importanza dei beni di lusso alle necessità più imperative dell’economia nazionale, con ripercussioni favorevoli sulla bilancia commerciale.
Uno degli aspetti da considerare all’interno della strategia della politica economica a seguire si riferisce all’appartenenza alla zona euro di un paese di periferia, come Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda, Grecia e, per estensione, allude al tipo di costruzione europea portata a termine e al ruolo delle economie meno avanzate. Non è possibile trattare in questo paragrafo un’analisi critica sollevata delle carenze di questa Europa, per cui ci limitiamo a difendere una mobilitazione coordinata per i cittadini della periferia europea per uscire dall’euro, ma implementando i già menzionati controlli ai movimenti di capitali e procedendo a fare la revisione contabile del debito. [14]
6. Una scommessa del futuro: pianificazione e coordinazione economica
La base di questa scommessa economica basata su criteri estranei al mercato si fonda sulla considerazione dell’esistenza di alcune leggi generali del funzionamento del sistema economico capitalista, che annullano qualunque allusione ad un’uscita progressista o di carattere sociale dalla crisi. Gli obiettivi di efficienza economica, riconfigurazione settoriale, giustizia distributiva (incluso la piena occupazione) e il rispetto dell’ambiente, richiedono alcuni cambiamenti nel metodo di produzione e distribuzione, davanti all’impossibilità che il libero mercato possa realizzarli.
Fatte salve le proposte immediate, il proposito a lungo termine richiede una progressiva introduzione dei criteri di pianificazione e coordinazione economica a scapito del meccanismo del mercato come criterio di assegnazione di risorse.
Curiosamente, senza dubbio, una proposta di questo tipo non è citata dagli autori dell’economia eterodossa, nonostante i progressi portati a termine. Come fa ben notare Montes (2011), “tanti anni per far notare le contraddizioni, l’ingiustizia e la violenza del sistema capitalista e quando questo si dichiara in bancarotta noi abbiamo dimenticato l’alternativa del socialismo”. La tabella di marcia proposta, in qualunque caso, non è certamente originale. Già è stata sviluppata in passato ed etichettata come transizione al socialismo per cui noi qui ci limitiamo a segnalare alcuni brevi appunti per l’ignoranza diffusa che prevale. [15]
Gli studi di Cockshott e Cottrell (1993a, 1993b, 2008) hanno dimostrato che i progressi tecnologici degli ultimi decenni, e in concreto le tecnologie dell’informazione e della comunicazione a partire dai computer, permettono che al giorno d’oggi la pianificazione economica sia una possibilità reale e che si possano superare le iniquità e le privazioni imperanti.
Fino a farlo in termini di unità naturali senza ricorrere all’intermediazione del denaro o dei mercati. Questi autori spiegano che, tecnicamente, è possibile pianificare un’economia di dimensioni continentali attraverso l’elaborazione informatizzata delle entrate e dei prodotti grazie a una coordinazione che può essere effettuata dal livello d’impresa, fino al livello centrale.
Per questo è necessario:
i) un sistema con una serie di obiettivi di prodotti finali, revisionabili periodicamente, che incorpori informazioni sulle preferenze dei consumatori e sul costo relativo per produrre beni alternativi; e
ii) un metodo per calcolare le implicazioni di una data serie di prodotti finali per la produzione lorda richiesta da ogni prodotto, tenendo conto delle restrizioni imposte dall’offerta di lavoro e dalla quantità dei mezzi fissi della produzione esistente.
In Cockshott e Cottrell (1993a) si spiega dettagliatamente il modo di implementare un sistema di pagamenti basati sul contenuto delle forze lavoro totali di ogni prodotto o servizio. I calcoli necessari si possono eseguire con potenti computer oggi disponibili per le previsioni meteorologiche, disegni di armi atomiche, scavi di pozzi petroliferi e fisica nucleare, grazie ai quali è possibile realizzare in pochi minuti calcoli che incorporano milioni di variabili.
Si devono distinguere differenti livelli di pianificazione: dettagliata, strategica e macroeconomica. Quest’ultima stabilisce alcuni parametri generali per decidere la composizione della produzione totale o il modo di distribuire il tempo di lavoro totale per i beni di consumo, servizi sociali, mezzi di produzione, e altre spese.
La pianificazione di carattere strategico si riferisce a un settore e si occupa di ciò che deve essere importato, del tipo di tecnologie da utilizzare, dei rami che devono essere potenziati, dell’impatto ambientale ecc… Finalmente l’aspetto più concreto (e dettagliata) si concentra nella decisioni sul tipo di beni da produrre, le imprese che riceveranno alcune entrate ecc. [16]
Quello che oggigiorno è perfettamente realizzabile con la tecnologia disponibile, ieri era una impossibilità pratica per le burocrazie centrali dei sistemi di economia pianificata. Per tanto, le critiche che storicamente ha lanciato la scuola austriaca (von Von Mises e Hayek principalmente) hanno perso qualche fondamento oggi, poiché questo sistema di pianificazione computerizzato può rispondere ai fenomeni in modo più rapido di qualunque mercato e abbracciare simultaneamente una ingente quantità di informazioni.
Non ripeteremo ora gli elementi esposti in forma tabella di marcia, ma esponiamo questioni attigue.
In primo luogo il modello di crescita che si difende avrà conseguenze decisive e positive in termini sociologici, nella misura in cui contribuirà a generare e articolare un soggetto sociale basato sul nodo della solidarietà e del senso di appartenenza ad uno stesso gruppo con interessi comuni, che costituirà la base d’appoggio di questo modello.
Ricostruire questo soggetto sociale è indispensabile davanti ai cambiamenti nella composizione della classe lavoratrice a partire dall’individualizzazione dei rapporti di lavoro, l’esternalizzazione, l’estensione del lavoro in conto proprio, il modello urbanistico, sottolineando la sottomissione e il conservatorismo che portano con sé il legame con l’ipoteca di 30 anni e osservare che il fondamento della crescita della capacità d’acquisto non deriva dal luogo che occupa nel processo produttivo, ma dall’aumento del prezzo delle case. In secondo luogo ci opponiamo alle ricette di uscita sociale o progressista dalla crisi che dall’economia “critica” si limitano a un decalogo di
proposte progressiste senza le modifiche dei rapporti di produzione. Elencare unicamente le misure distributive e che migliorino la giustizia della partecipazione politica costituisce un esercizio idealista che pretende che le istituzioni della sovrastruttura del sistema (Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale ecc.) si trasformano in ciò che obiettivamente non possono essere.
Uno degli esempi dell’egemonia del neoliberismo si basa sulla nostalgia e sulla pretesa del capitalismo degli anni dorati di Bretton Woods e la cosiddetta concertazione fordista, “un progetto utopico e anacronistico, il ritorno di un passato che non corrisponde più alle condizioni politiche e sociali del momento attuale.” (Arriola, 2006:9).
È necessario affermare, e questa è la conclusione che voglio sottolineare, che, oggi e con i problemi vigenti, nel quadro della globalizzazione neoliberista e nel contesto dell’unione monetaria, non esiste un’uscita progressista dalla crisi.
La piega presa dal governo spagnolo non si deve alla sua perversità, ma all’impossibilità di preservare lo stato di benessere esistente nel quadro e nelle condizioni attuali.
Un’affermazione tanto clamorosa richiede un chiarimento immediato: dire che non esiste un’uscita progressista non è la stessa cosa che dire che le cose devono rimanere come sono (Montes, 2011).
In aggiunta, nella misura in cui si giustificano le proposte a partire dagli aspetti della distribuzione, si vede una domanda insufficiente per il crollo dei salari, si contribuisce generare l’illusione di una convergenza di interessi tra tutti i cittadini e a limitare la portata delle rivendicazioni sui cambiamenti da attuare.Di fronte a queste chimere, poniamo la domanda di una democrazia economica che consenta il libero sviluppo personale di ogni singolo cittadino. È quindi necessario puntare su “la difesa della libertà anche nel campo dell’economia, ma non la libertà del capitale, bensì la libertà degli individui. Non la libertà di consumare quanto gli altri scelgono di produrre, ma la libertà di decidere cosa produrre sulla base di ciò che scegliamo di consumare” (Arriola, 2006:16).
In secondo luogo, nonostante il carattere della tabella di marcia qui solo delineata, si capisce che il programma neoliberista è del tutto coerente con il ruolo che ha la crisi nell’ambito del processo di riproduzione. Ma questa coerenza è solo il sostrato materiale di un discorso tanto ideologico, come qualsiasi altra opposizione.
Anzi, tale elemento di verità si riferisce al mantenimento della logica economica che, contrariamente ai suoi bilanci, non tende a nessun equilibrio, o in altre parole, tende solo alla polarizzazione sociale.
Pertanto, e recuperando quanto abbiamo detto nell’introduzione, ci concentriamo sul fatto che il tasso di redditività del settore privato non sarà la base per gli investimenti, avendo dimostrato che questo può migliorare e modificare la sua struttura con un altro modello di crescita.
In terzo luogo citiamo il suo aspetto essenziale: questa tabella di marcia conduce alla necessità di riconsiderare il modello del paese.
Ci dovrebbe essere un coordinamento a livello nazionale per conseguire un equilibrio territoriale di investimenti che contribuisca alla strutturazione effettiva del paese, e dove tutti i cittadini possano ricevere gli stessi servizi.Pertanto, nel caso spagnolo, noi manifestiamo contro i gli accordi autonomistici e i privilegi fiscali che, per conto di presunte nazioni fittizie, fanno fallire la solidarietà fra tutti i dipendenti e la formazione del soggetto sociale di cui sopra.
L’unità del paese è l’unità della sua maggioranza, a partire da ciò reclamiamo l’effettiva sovranità nazionale nelle mani della popolazione lavoratrice.
Traduzione di Flavia Castelli
BIBLIOGRAFIA
1. L. Abellán, Hacienda considera a las ‘entidades de tenencia’ un gran foco de fraude, El País, 27 febbraio 2011.
2. D. Albarracín, Sobre el debate del euro: Una estrategia para romper la Europa del Capital y encaminarse hacia Otro Modelo Solidario Supranacional, Viento Sur, edi- zione digitale, 4 settembre 2011. http://www.vientosur.info/articulosweb/noticia/?x=4279
3. A. Antón, Pensiones: recorte del 20%, Nueva Tribuna, 31 gennaio 2011. 4. J. Arriola, Los Derechos Humanos como paradigma en la teoría económica, 2003. http://fr.pekea-fr.org/p.php?c=comm/H-
4-Arriola.html [consultato il 28/11/2011].
5. J. Arriola (a cura di), Derecho a decidir: propuestas para el socialismo del siglo XXI, El Viejo Topo, Barcelona, 2006
6. R. Astarita, ¿Control obrero del capitalismo?, 21 novembre 2011. http://rolandoastarita.wordpress.com/2011/11/21/control-obrero-del-capi- talismo/ [consultato il 22/11/2011].
7. S. Beraldo, D. Montolio, G. Turati, Healthy, educated and wealthy: a primer on the impact of public and private welfare expenditures on economic growth, The Jour- nal of Socio-Economics, vol. 38, no 6, p. 946–956. 2009.
8. L. Cabeza, S. Gómez, Los procesos de privatización en España: determinan- tes e implicaciones de la eficiencia empresarial, Jornadas de Economía Industrial, 2004.
http://www.ugr.es/~xxjei/JEI(54).pdf [consultato il 30/11/2011].
9. W.P. Cockshott, A. Cottrell, Hacia un nuevo socialismo, Edizione digitale, 1993. http://www.correntroig.org/IMG/pdf/Hacia_un_nuevo_socialismo.pdf [consultada il 28/11/2011].
10. A. Cottrell, W.P. Cockshott, Calculation, complexity and planning: the socia- list calculation debate once again, Review of Political Economy, vol. 5, no 1, p. 73- 112, 1993.
11. A. Cottrell, W.P. Cockshott, Computadores y democracia económica, Revista de Economía Institucional, vol. 10, No. 19, pp.161-205, 2008.
12. J.I. Fernández, D. Mayals, La evolución de la situación de la situación de la vi- vienda (1995-2008), in Auge y crisis de la vivienda en España, Informe de economía no 5, Seminario di Economia Critica Taifa, novembre, p. 19-47, 2008.
13. Fondo Monetario Internazionale (FMI), The world economy in the twentieth century: striking developments and policy lessons, in World Economic Outlook, p. 149- 180, aprile 2000.
14. Fondo Monetario Internazionale (FMI), Global imbalances: a saving and investment perspective, in World economic outlook, p. 91-124, aprile 2006.
15. D. Hall, Why we need public spending, Reports, PSIRU, University of Greenwich, Londra, 2010.
http://www.psiru.org/reports/2010-10-QPS-pubspend.pdf> [consultato il 02/11/2011].
16. C.H. Harman, Zombie capitalism: global crisis and the relevance of Marx, Bookmarks, Londra, 2009.
17. Istituto Nazionale di Statistica (INE), Economía. Cuentas Económicas, Contabilidad Nacional de España, 2011. http://www.ine.es/jaxi/menu.do?type=pcaxis&path=%2Ft35%2Fp008&file =inebase&L=0
18. S. Lamartina, A. Zaghini, Increasing public expenditures: Wagner’s Law in OECD countries, Center for Financial Studies Working Paper Series 2008, 13 aprile 2008.
19. C. Lapavitsas, La estrategia de salida del euro, crucial para los griegos, Sin Per- miso, 26 giugno 2011.
20. J.P. Mateo, El Sol y la economía. Reflexiones para avanzar en la utopía, in AA.VV., La rebelión de los indignados. Movimiento 15-M: democracia real, ¡ya!, Edi- torial Popular, p. 21-39, Madrid, 2011.
21. P. Montes, Reforma o ruptura: no hay salida progresista a la crisis, Rebelion, 24 novembre 2010.
22. V. Navarro, J. Torres, A. Garzón, Hay alternativas. Propuestas para crear em- pleo y bienestar social en España, Sequitur, Madrid, 2011.
23. F. Núñez, J. Gallego, Sicav: 8.000 millones de beneficios en cinco años, sólo 56 de impuestos, El Mundo, 27 settembre 2009.
24. N. Smith, New globalism, new urbanism: gentrification as global urban strategy, Antipode, vol. 34, no 3, p. 427-450, 2002.
25. E. Tiontoret, Y Felipe González no hizo subir las bolsas, La Vanguardia, 31 ottobre 1992.
26. AA.VV., Breaking up? A route out of the eurozone crisis, Research on Money and Finance Occasional Report, no 3, novembre 2011.
27. J.H. Vigueras, Crisis financiera, rescates bancarios y paraísos fiscales, El Viejo Topo, no 253, p. 52-57, 2009.
28. R. Wilkinson, K. Pickett, The spirit level: why equality is better for everyone, 2009 http://www.equalitytrust.org.uk/resource/the-spirit- level?gclid=CITX9861xaQCFVD-2AodUgvPDA [consultato il 29/10/2011].
29. R. Wray, ¿Puede sobrevivir Grecia? ¿Puede sobrevivir la UE?, Sin Permiso, 26 giugno 2011.
NOTE
[1] ↑ Versione attualizzata della conferenza originale. J.P. Mateo Tomè, “Ciò che bisogna fare. Una tabella di marcia della politica economica per uscire dalla crisi.”, Sociedad y Utopía, No. 38, dicembre, pp. 221-242, 2011
[2] ↑ Università Pontificia Comillas.
[3] ↑ Di fatto il crollo dei salari, e di conseguenza la mano d’opera artificialmente a poco prezzo che si pretende, implica paradossalmente una lentezza nell’adottare i meccanismi di risparmio del lavoro (si vedano Cockshott e Cottrell, 1993a:59).
[4] ↑ Come provano i diversi studi che hanno confermato il rapporto tra questa spesa e il PIL pro-capite (si veda Hall, 2010; Lamartina e Zaghini, 2008), e addirittura giungendo a sostenere che la spesa pubblica influisce di più sulla crescita del PIL rispetto alla spesa privata (Beraldo, Montolio e Turati, 2009). Esiste anche un’ampia serie di scritti sulla cosiddetta “legge di Wagner” che stabilisce questo impulso alla crescita della spesa pubblica conforme a come si sviluppa una società, per questo ci rimettiamo alla raccolta di Hall (2010:69).
[5] ↑ Ma per presentare alcuni studi, menzioniamo quello portato a termine da Cabeza e Gómez (2004), nel quale non si trova nessun miglioramento significativo nel comportamento delle imprese private in Spagna in termini di redditività, efficienza, volumi di vendite, investimento, livello di indebitamento e impiego.
[6] ↑ Hall (2010:12) calcolava quasi più di un anno fa che l’ammontare del riscatto bancario implementato dai governi nell’attuale crisi ha superato il valore dell’insieme delle privatizzazioni portate a termine negli ultimi 30 anni: “il settore pubblico ha iniettato più capitale nel settore privato in un anno di quello che il settore privato ha pagato per le imprese pubbliche negli ultimi 30 anni”.
[7] ↑ Dalla metà degli anni ’80, il valore aggregato lordo dei rami dell’industria manifatturiera è passato dal 23-25% del PIL all’11% nel 2010, mentre quello dell’edilizia è cresciuto sostanzialmente, dal 6 al 12% (nel 2009) (INE, 2011).
[8] ↑ Rinviamo a Navarro, Torres e Garzón (2011:66-70). Non si può permettere che le imprese principali (né le meno importante) sono interessate ai paradisi fiscali e quello che è più evidente è che sia i governi nazionali che la stessa UE tollerano e proteggono le reti offshore delle banche riscattate con denaro pubblico, che in realtà serve per l’evasione e la frode fiscale. (Vigueras, 2011). Citando
[9] ↑ il termine “rapporto salariale” ci si riferisce a un concetto di salario che include non solo la retribuzione reale diretta, ma il salario indiretto e differito: pensioni, spesa sociale, e tutto quello che, in definitiva, comporti una crescita del livello di vita dei salariati, in denaro e in natura.
[10] ↑ Serva come esempio che il sistema educativo valutato come migliore al mondo dalla Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCDE) è quello finlandese, basato sull’istruzione pubblica.
[11] ↑ Già la dittatura del generale fascista Franco, con la Legge delle Abitazioni Protette del 1939 di Proprietà Orizzontale del 1960, la utilizzó con la pretesa di legittimazione, lottare contro la sovversione e integrare la casa nella logica del mercato, un aspetto, quest’ultimo, che si è accentuato negli ultimi decenni.
[12] ↑ In altre parole, il prezzo del mercato può deviare dai suoi fondamenti oggettivi, come sono le condizioni della produzione materializzate nei tempi del lavoro astratto, e devono riguardare lo scopo di investimenti speculativi in una massa di surplus che, anche estremamente elevata in termini assoluti, sono insufficienti per valutare lo stock esistente di capitale, dato un tasso di rendimento troppo piccolo per incoraggiare una fase di algida degli investimenti. In questo senso, è chiaro che il boom del mercato immobiliare non è dovuto a un cambiamento nel comportamento degli individui lavoratori. Al contrario, è dovuto all’azione del capitale, che ha trovato nel mattone una via di fuga per raggiungere un profitto sicuro, quando la bolla del mercato azionario si è conclusa nel 2000-1.
[13] ↑ Nel 1995-2005 i salari nominali sono cresciuti del 30%, mentre quelli degli appartamenti sono cresciuti del 254% (Fernández e Mayals, 2008).
[14] ↑ Su questa questione rimandiamo a Albarracín (2011), Lapavitsas (2011), Vari Autori (2011), Wray (2011), etc.
[15] ↑ Rimandiamo agli articoli pubblicati nella rivista Science & Society nel 1992 e 2002, volumi 56 (1) e 66 (1), autori come Cockshott e Cottrell (1993a, 1993b, 2008), così come l’interessante compilazione realizzata da Arriola (2006).
[16] ↑ Va notato che, nel quadro dell’economia capitalistica stanno già esistono esperienze di pianificazione, ma sono subordinate alle dinamiche dei prezzi di mercato. Considerate le decisioni che saranno prese dalle grandi aziende per decidere i propri investimenti in tutto il mondo, l’uso di prezzi di trasferimento nello scambio infragruppo, o la cosiddetta economia mista che ha guidato la ripresa economica dell’Europa occidentale, il Sud-Est asiatico, o più specificamente, come segnalano Cockshott e Cottrell (1993a), il successo industriale della pianificazione strategica del Ministero Giapponese dell’Industria e del Commercio Internazionale (MITI). Inoltre, senza dubbi nel difendere l’uso di programmi informatici per valutare i rischi di insolvenza e qualificare le emissioni del debito in un contesto molto più complesso di quanto suggerito qui. Questo dimostra non solo la fattibilità di questa pianificazione, ma il contenuto apologetico delle critiche.
CREDITS
Immagine in evidenza: Gli studenti rifiutano i sacrifici
Autore: Cau Napoli; 5 ottobre 2012
Licenza: Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Immagine originale ridimensionata e ritagliata