da Il Manifesto Politico presentato alla III Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti Roma, 2 aprile 2011
Fino alla Seconda Assemblea Nazionale del 2007 la Rete dei Comunisti ha agito come una sorta di intellettuale collettivo al «servizio» dell’azione politica e sindacale e della ricostruzione di un punto di vista comunista della realtà. Non abbiamo mai inteso essere un «cenacolo», al contrario abbiamo sempre ritenuto doverosa e discriminante l’internità dei militanti ai movimenti reali che si esprimono sul piano delle lotte sociali, per la solidarietà internazionalista, per il sindacato di classe, né ci siamo mai sottratti al dibattito sulla rappresentanza politica che oggi riguarda materialmente pezzi significativi del blocco sociale antagonista e della sinistra di classe.
Sta qui la dialettica tra progetto strategico della Rete dei Comunisti e capacità di agire nelle lotte e nei movimenti sociali, senza rinunciare alla battaglia delle idee e all’analisi critica della nostra storia passata e presente.
Abbiamo definito questa modalità di concezione e di azione politica come articolata su “tre fronti”:
A- Il “fronte strategico” attraverso la ricostruzione di una analisi e di un punto di vista comunista della realtà, un processo iniziato a metà degli anni Novanta che ha sviluppato la ricerca e l’attualizzazione su temi come l’imperialismo, la composizione e l’inchiesta di classe, le caratteristiche del conflitto tra capitale e lavoro, il passato e il presente delle esperienze di transizione al socialismo;
B- Il “fronte politico” che ha sempre avuto ben presente l’esigenza della rappresentanza politica (anche elettorale) come espressione però di interessi di classe definiti e organizzati e non – dunque – di mera rappresentazione di residue storie politiche e personali della sinistra per quanto dignitose esse possano essere;
C- Il “fronte sociale” dell’organizzazione diretta dei settori del blocco sociale antagonista tramite il conflitto di classe nei posti di lavoro e nelle aree metropolitane, un processo questo che ha le sue radici, esperienze, elaborazioni e convinzioni sin dagli anni Settanta.
Abbiamo inteso articolare la nostra azione politica su tre fronti perché la loro sintesi nel nostro paese è andata liquidandosi nel corso del tempo, sia sotto i colpi dell’avversario e delle modificazioni nella realtà sociale, sia per le crescenti contraddizioni interne dei partiti comunisti esistenti.
Rimettere in campo una nuova e immediata sintesi tra strategia, organizzazione del blocco sociale antagonista e rappresentanza politica di classe, non ci è sembrato in questi anni un traguardo accessibile. Più volte e pubblicamente abbiamo dichiarato la nostra non autosufficienza come organizzazione politica comunista per riempire un vuoto che si è andato allargando negli anni.
Nasce da questa coscienza comune la decisione di procedere “a rete”, riconnettendo un tessuto di quadri, militanti, attivisti, intellettuali comunisti, consapevoli dei passaggi da operare e liberati culturalmente dal macchiettismo che produce continuamente piccoli e nuovi partiti comunisti, generali senza eserciti, o eserciti di attivisti sociali ma senza una sintesi generale con i piedi saldamente piantati a terra.
Questa concezione dei tre fronti è stata spesso poco compresa o talvolta avversata da compagni che hanno perpetuato una concezione riformista del partito comunista o una “affascinante” ma finora inefficace sintesi tra soggetto politico e soggettività sociale. Con la terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti abbiamo inteso precisare le caratteristiche e le ambizioni possibili di tale proposta.
La costruzione del Partito dei comunisti
Il documento e l’incontro nazionale del febbraio 2010 su “Organizzazione e Partito” ha messo nero su bianco la nostra elaborazione sul partito comunista, inteso come “partito di quadri con funzione di massa”. In essa vi è l’analisi sulla realtà in cui siamo chiamati ad agire (un paese intermedio ma nel cuore del capitalismo maturo), sul nesso tra il partito e la composizione di classe esistente e nella collocazione del nostro paese nella divisione internazionale del lavoro, sulla funzione di un partito comunista dentro la complessità di una società come quella in cui viviamo nel XXI Secolo. La nostra concezione di partito confligge apertamente con quella venuta imponendosi negli anni, che ha visto prevalere i partiti dei funzionari, organizzazioni della mera propaganda, apparati elettorali e della predominanza dei gruppi parlamentari sulla vita politica e sulle priorità.
Abbiamo potuto verificare come militanza e organizzazione siano diventate due esperienze desuete nella formazione e nella sperimentazione di migliaia di compagne e compagni nel nostro paese. Dalle teorizzazioni del “partito leggero” alla realtà dei partiti come “apparati elettorali” o dei nuovi “partiti ad personam”; l’idea stessa dell’organizzazione come ambito per l’aggregazione, la formazione, la discussione, la comprensione, l’attivizzazione dei compagni e come strumento indispensabile del conflitto sociale, è stata demolita. La militanza si è ormai trasformata solo in adesione tramite tesseramento, in una attività quasi dopolavoristica nelle sedi (quando ci sono), in propaganda e campagne elettorali. Costruire soggettività e identità politica con questi criteri si è rivelato devastante per una idea anche minima di militanza attiva e di radicamento sociale.
Riaffermiamo, dunque, la nostra concezione di partito come intellettuale collettivo piuttosto che come “appendice del segretario e delle sue capacità”. Ma è anche una concezione processuale della sua costruzione che nega al partito il valore feticista che gli si è venuto attribuendo come soluzione taumaturgica di tutti i problemi.
In tal senso affermiamo che in questo processo di costruzione del partito la Rete dei Comunisti non è e non ritiene di poter essere autosufficiente. Ne deriva che intendiamo facilitare – anche formalmente – in ogni modo i processi di confronto, convergenza, amalgama con altri compagni e soggettività comuniste che lavorano nella stessa direzione. Rivendichiamo come nostra la storia del movimento comunista del XX, ne rivendichiamo gli errori e i successi ma intendiamo indagarne e comprenderne a fondo le contraddizioni. La trascuratezza nell’elaborazione teorica, la scarsa conoscenza della storia e lo schematismo che hanno dilagato in questi ultimi trenta anni, sono stati un ostacolo ad un serio bilancio storico ed hanno spianato la strada alle posizioni liquidazioniste che oggi si offrono di nuovo come soluzione alla crisi della sinistra e dei comunisti.
Rappresentanza politica indipendente e fronte politico-sociale anticapitalista
I comunisti non possono sottovalutare le contraddizioni che si sono accumulate in questi anni e i conti che gli presenta la storia. Non esiste più il tesoretto elettorale del PCI, né rendite di posizione che consentono di dare come scontata la credibilità e la funzione emancipatrice che hanno avuto nella storia. La funzione dinamica e di avanguardia dei comunisti va completamente riconquistata dentro le contraddizioni e le forze sociali. Quando parliamo di rappresentanza politica indipendente del blocco sociale antagonista intendiamo riaffermare la centralità dell’autonomia degli interessi di classe da quelli delle compatibilità di sistema. L’espressione organizzata di questi interessi, anche sul piano elettorale, confligge apertamente con ogni subalternità alla logica bipartizan di gestione della crisi ed a forze politiche che dichiarano apertamente di voler cooptare i lavoratori dentro al patto neocorporativo.
Voler battere Berlusconi non significa consegnare nuovamente le classi subalterne nelle mani dei suoi competitori nelle banche, nella Confindustria e nell’establishment dell’Unione Europea. I comunisti non possono che lavorare ad una rappresentanza politica indipendente e di classe che sia il risultato di alleanze sociali di segno anticapitalista.
Allo stesso tempo non è possibile ignorare che la soggettività antagonista che si esprime nella società non è tutta né solo dei comunisti. Nel conflitto di classe sono venuti emergendo attivisti e movimenti sociali anticapitalisti che non riconoscono la propria identità dentro quella comunista. E’ così nel nostro paese ed è così in molte parti del mondo. I soggetti politici della trasformazione sociale sono oggi molto più articolati di quanto lo siano stati in passato. Il confronto e l’azione comune con queste soggettività presuppone rapporti leali e identità politiche definite. La ricomposizione di un fronte politico-sociale anticapitalista che includa organizzazioni sociali, sindacali, ambientaliste, soggetti politici, intellettuali antagonisti o democratici su una piattaforma politica e sociale avanzata, può e deve diventare un percorso praticabile anche in un paese a capitalismo maturo come l’Italia. E’ dentro e non fuori questo fronte politico-sociale che i comunisti debbono e possono svolgere una funzione propulsiva e non meramente strumentale o propagandistica.
Occorre riaffermare con forza come la rappresentanza politica non può che essere l’espressione organizzata degli interessi del blocco sociale antagonista e dei settori sociali che lo esprimono. Si tratta dunque di una visione estremamente diversa da quella di compagni che la interpretano come mera rappresentanza elettorale o semplice coordinamento delle forze della sinistra. Confondere questi due livelli ingenera confusione e riproduce quel politicismo da cui occorre liberarsi con estrema decisione.
Il rapporto di massa e il fronte sociale
L’elemento dirimente per ogni prospettiva credibile di ricostruzione dell’opzione comunista in Italia o di una rappresentanza politica del blocco sociale antagonista, è il rapporto tra i militanti e i settori sociali. Un rapporto che non può certo fondarsi solo sulla propaganda (tantomeno solo sulla propaganda elettorale) ma che deve essere un nesso stretto e inscindibile nella funzione dei comunisti. Quando negli anni Settanta si era parlato di “proletarizzazione” dei militanti non si indicava una prospettiva di tipo missionario quanto un approccio alla realtà e un metodo di lavoro.
In questi anni abbiamo elaborato, costruito e praticato un metodo nel lavoro di massa attraverso la costruzione del conflitto sociale organizzato, sia nei posti di lavoro sia nelle aree metropolitane; una ipotesi che riprende esperienze già sperimentate in passato e tenta di adeguarle alla realtà e alla complessità sociale di oggi.
L’individuazione delle aree metropolitane come ambito in cui quantità e qualità delle contraddizioni di classe possono ricomporsi in fronte di lotta e blocco sociale antagonista in presenza di una profonda frammentazione sociale, indica concretamente una ipotesi di sperimentazione, radicamento e ricomposizione di classe a nostro avviso decisivi. La questione del rapporto di massa è un terreno di verifica importante nel ruolo dei comunisti in una società integrata nel cuore sviluppato del capitalismo, soprattutto perché intendiamo una rapporto di massa organizzato e non limitato alla propaganda.
Alla disgregazione materiale e culturale indotta dalla riorganizzazione produttiva e sociale del sistema occorre dare risposta con un forte ruolo della soggettività politica dei comunisti nei processi di ricomposizione del conflitto di classe, ma sarebbe un errore clamoroso pensare di avviare questi processi fondamentali a partire dalla “politica” e non dalla comprensione teorica di come si costruisce il rapporto di massa, qui ed ora. Far crescere il rapporto di massa organizzato, e di conseguenza la coscienza di classe, fornire ai quadri politici un metodo di lavoro e degli strumenti interpretativi adeguati alle caratteristiche della classe reale è un compito al quale i comunisti non possono sottrarsi.