Redazione (in Contropiano anno 23 n° 1 – febbraio 2014)
In questo numero di Contropiano pubblichiamo gli atti del convegno Fuori dall’Unione Europea. Una proposta politica per il cambiamento, tenuto a Roma il 30 Novembre e il 1 Dicembre 2013.
Da tempo, nell’elaborazione teorica e strategica della Rete dei Comunisti, la questione dell’Europa ha assunto un ruolo centrale. Dall’individuazione del polo imperialista europeo, al centro delle nostre analisi già dalla metà degli anni Novanta, all’elaborazione di una proposta politica sull’ipotesi della rottura e la costruzione di un’area euromediterranea come possibile transizione e sbocco non reazionario della crisi del capitale.
Del senso e del merito della proposta rendono conto i nostri interventi al convegno (Casadio, Vasapollo, Cararo e Santopadre), ad essi seguono, suddivisi sulla base di una scala di posizioni variegate, dalle più favorevoli all’ipotesi di rottura a quelle che esprimono più perplessità, non tanto sulla necessità quanto sulla praticabilità di quella rottura, gli interventi di economisti, studiosi, dirigenti di organizzazioni politiche e sindacali.
Lavorando alla rivista ci siamo resi conto – ma già lo sapevamo – che quello che viene fuori è, senza perdere la necessaria modestia, un corpo consistente di teoria ed analisi di cui difficilmente si può trovare pari nel dibattito politico italiano e forse europeo. Lo proponiamo come base per una discussione, che unisca serietà scientifica e internità alle lotte, che si svolga tra le soggettività politiche, nei diversi ambiti di movimento e, perché no, nei luoghi deputati alla elaborazione del sapere ma che da tempo, aldilà di alcune meritorie eccezioni, hanno abdicato a questa funzione di costruzione del pensiero critico: università, centri studi e di ricerca, scuole.
Una campagna, quella che intendiamo lanciare, che toccherà grandi, medie e piccole città italiane, da quelle in cui siamo presenti e attivi ad altre, per le quali proponiamo questo ragionamento a realtà diverse dalla nostra, ma disponibili ad un franco dialogo. Nei mesi di marzo e aprile per portare un po’ di area fresca nel dibattito tutto elettoralistico sulla scadenza per il rinnovo del parlamento europeo, noi gettiamo non una pietra d’inciampo, ma un grande monolite che sbarra la strada a tutti, a quelli che pensano di poterlo aggirare, a quelli che lo percepiscono lontano e dunque non decisivo nell’elaborazione del proprio intervento politico e sociale, e a quelli che hanno l’illusione del movimento perché marciano incessantemente sul posto. Questo monolite si chiama Unione Europea, ed è un monolite non perché non sia multiforme e diversificato come i paesi che lo compongono, ma perché sta riuscendo ad imprimere al processo una direzione politica che è ormai chiara e, per noi, devastante.
In molti si oppongono all’ipotesi di fuoriuscita dallo spazio europeo, come se si trattasse dell’abbandono di un terreno dato una volta per sempre, all’interno del quale debba giocarsi l’intera partita dello sbocco rivoluzionario. A volte non distinguendo tra Europa ed Unione Europea, tra lo spazio geografico e la creazione statuale che ancorché incompiuta è per noi la linea di tendenza principale, in grado nel tempo di spazzare via le altre ipotesi. O come se la storia ci avesse consegnato un unico recinto all’interno del quale ipotizzare il mutamento. A questo opponiamo diverse obiezioni, che sinteticamente potrebbero schematizzarsi così:
1) Il problema della “rivoluzione in Occidente” ha attraversato la storia del movimento operaio, impegnando le menti più acute in uno sforzo che ci consegna l’ipotesi che la rottura rivoluzionaria non debba necessariamente avvenire nel cuore della cittadella imperialistica.
Dall’Ottobre russo in poi la storia ci dice che invece la rottura si pratica dove è possibile, nei tempi possibili e non simultaneamente;
2) Le condizioni della classe lavoratrice in Europa sono fortemente diversificate. Il concetto di “aristocrazia operaia” continua ad avere una sua valenza e capacità di descrivere la realtà.
Se questo è vero, non si capisce davvero per quale ragione gli appelli all’unità della classe lavoratrice debbano valere nei confronti dei lavoratori tedeschi e non di quelli del nord Africa o delle periferie produttive europee, specie nella dimensione produttiva odierna di filiere che oltrepassano non solo i confini nazionale ma anche quelli continentali (alla faccia dell’internazionalismo!). L’onere della prova passa, a questo punto, dalla teoria alla proposta politica, a chi sostiene che dentro l’Europa possa e debba passare il ribaltamento dei rapporti di forza.
3) Anche a volere intendere l’Europa non dal punto di vista delle istituzioni (politiche, economiche, finanziarie) ma dal punto di vista dello spazio geografico o di quello culturale, si incorre comunque in un errore a dimenticare che la storia dell’idea di Europa – dai tempi dei Greci e dei Persiani o della contrapposizione fra Res Publica Christiana e mondo dei pagani e degli infedeli – è stata sempre la storia di una contrapposizione identitaria che faceva del vecchio continente uno spazio a geometria variabile: con o senza la Russia, con o senza la Turchia tanto per fare qualche esempio. E che un punto di vista rivoluzionario non può davvero dimenticare i caratteri di classe della tradizione culturale europea per sormontarli, sulla base di quella che Franco Fortini nel 1968 definiva «la sua [dell’Europa] impresa maggiore: l’assoggettamento coloniale o semicoloniale del resto del mondo (e delle proprie medesime classi oppresse).» [1]
Tanto basta, crediamo, in una introduzione, per aprire una discussione nel merito dei problemi posti. La proposta della Rete dei Comunisti pone fortemente il problema dell’orizzonte strategico, nella consapevolezza che il passaggio dalle pagine di libri o riviste alla realtà abbia bisogno di niente di meno che del movimento reale, che senza una intensificazione delle lotte e un passaggio organizzativo che abbia in vista, in prima istanza, un’accumulazione delle forze, essa resta un’affascinante ma inverificabile ipotesi.
NOTE
[1] ↑ Franco Fortini, Verifica dei poteri, Einaudi, Torino 1989, p. 292