Franco Turigliatto (in Contropiano anno 23 n° 1 – febbraio 2014)
Vi ringrazio, compagne e compagni della Rete dei Comunisti, dell’invito, e vi ringrazio anche perché il tipo di dibattito in corso non solo è molto pertinente ma anche appassionante, pure nelle parti che non sono immediate dal punto di vista politico, ma che sono fondamentali per una adeguata riflessione su quello che sta avvenendo nel nostro continente: ci troviamo infatti di fronte a enormi problemi politico-sociali che pongono la necessità di un orientamento strategico, oltre che politico.
Per venire alla mia lettura delle problematiche poste sul tavolo, individuo due periodi del progetto di costruzione dell’Europa dal punto di vista capitalista.
La prima fase, quella che parte dal Trattato di Roma (1957), avviene sotto il segno del periodo d’oro del capitalismo ed è caratterizzato da politiche keynesiane che esprimono elementi, se pur parziali, di convergenza delle dinamiche economiche nazionali. Siamo anche nel periodo in cui le capacità di condizionamento delle organizzazioni sindacali sul continente sono notevoli e i lavoratori riescono ad ottenere importanti riforme sociali. Tutto cambia a partire dalla fine dell’età dell’oro, cioè nella prima metà degli anni ’70. Il progetto iniziale, riformista, della borghesia con cui realizzare l’unificazione europea dopo le esperienze terrificanti delle due guerre mondiali muta radicalmente di segno a partire dal libro bianco di Delors; si comincia a perseguire un percorso sempre più neoliberista fino ai provvedimenti degli ultimi anni (Fiscal compact). Il nuovo disegno si propone di “unificare” i Paesi europei attraverso una generalizzazione della concorrenza a tutti i livelli sulla base della teoria, del tutto ideologica, che questo processo neoliberista produrrebbe anche la convergenza delle economie.
Questa scelta è avvenuta senza tenere in alcun conto delle forti differenze economiche dei diversi Paesi e quindi senza mettere in piedi alcun meccanismo volto a ridurne gli squilibri. Per le classi dominanti e i governi europei solo il mercato e la moneta unica avrebbero prodotto questa convergenza. Con l’introduzione della moneta unica, l’unica possibilità per un determinato Paese di migliorare la propria competitività in questo mercato totale, non potendo più svalutare una moneta nazionale inesistente, è stata data dalla riduzione del costo del lavoro, cioè dalla svalutazione dei salari. È quanto avvenuto, determinando un forte arretramento sociale per la classe lavoratrice in Europa.
Queste scelte corrispondono a un progetto lucido delle borghesie europee, non solo quella tedesca (condivido quanto ha detto Franco Russo in proposito); una borghesia che naturalmente ha una gerarchizzazione al suo interno, ma che proprio intorno alla borghesia tedesca comincia a formarsi come classe sociale continentale. L’imperialismo europeo c’era già da prima anche se era più articolato ed oggi è condensato nel progetto dell’Unione Europea, con cui la borghesia europea si propone di reggere la concorrenza internazionale; in questo disegno, che è politico ed economico, c’è la necessità per le classi dominanti di distruggere quella che è stata la forza del movimento operaio di questo continente, le sue conquiste e le sue vittorie. È un disegno lucido che segna la fine di un’epoca. In questo senso, tutti quelli che hanno un’idea riformista si sbagliano completamente. Siamo entrati in un’altra fase storica in cui ci si gioca la pelle: o vincono loro o vinciamo noi, e questo vale per l’insieme dei paesi dell’Europa.
Ovviamente ci sono i Paesi più deboli di questa catena, i paesi detti PIGS, che in questo meccanismo sono duramente stritolati o, per meglio dire, sono stritolate le loro classi lavoratrici, non certo le borghesie che anzi ne traggono anch’esse vantaggio. Per quanto riguarda l’Italia la famosa lettera europea del 2011 che ha “imposto” l’austerità al governo Berlusconi non è stata scritta in Germania, ma è stata scritta direttamente dagli italiani, che l’hanno mandata in Europa, facendola ritornare firmata dalla Commissione europea. È stato proprio Draghi a scriverla, allora ancora Governatore della Banca italiana. Una connessione formidabile. Peraltro, se andiamo a vedere il personale politico economico della borghesia dal punto di vista della storia individuale, ci accorgiamo che i suoi membri hanno vissuto plurime esperienze comuni, hanno studiato nelle stesse università, avuto ruoli nelle diverse istituzioni economiche e finanziarie ed anche politiche; è così che si crea quel legame fondante tra la borghesia in quanto tale e i suoi rappresentanti e gestori economico-politici. Tutte queste persone hanno un disegno comune, si conoscono tra loro e sulla base delle vittorie ottenute contro il movimento dei lavoratori si rafforzano nella loro determinazione politica ed economica.
Franco Russo ha ricordato le parole di Draghi a proposito degli errori degli analisti statunitensi sulle sorti dell’euro e del lucido progetto degli europei. La ragione consiste nella sconfitta del movimento dei lavoratori. Da tutte le parti. Perché non si può dimenticare che la concorrenzialità della Germania è dovuta anche al fatto che i padroni hanno ottenuto un successo importante all’interno del Paese, creando 6 milioni e mezzo di mini-jobs, cioè di lavori a 400 euro; questo fatto combinato all’alto livello tecnologico e all’organizzazione della industria ne spiega il successo.
Come Sinistra anticapitalista abbiamo fatto un convegno che ha discusso dell’Italia e dell’Europa in cui abbiamo voluto ci fossero i compagni greci e spagnoli, ma anche i compagni francesi e quelli tedeschi. Non a caso.
E qui vengo al secondo passaggio. Credo che la storia dell’Europa e degli Stati nazionali sia stata terribile: è la storia di due guerre e di due massacri e non credo che si possa avere particolari rimpianti o desideri di tornare dentro gli stretti limiti degli Stati nazionali. C’è stata in proposito una sconfitta dei lavoratori. In che cosa consiste, dal punto di vista strategico? Nel fatto che il progetto di unificazione del continente è stato lasciato nelle mani delle borghesie e che la missione storica del movimento operaio in Europa, che era quello di superare le contrapposizioni nazionaliste, di perseguire la convergenza dei movimenti dei lavoratori in un progetto socialista comune, è semplicemente saltata. Nel ’68 e anche dopo e in tempi più recenti ci sono state forze, pur di minoranza, che non hanno mai abbandonato questa dimensione internazionale del conflitto di classe. Ho memoria della manifestazione internazionale del ’68 a Berlino, o quella del ’74 delle forze rivoluzionarie in Europa per il Vietnam a Milano. Per non parlare delle marce europee per il lavoro verso la fine degli anni ’90 o, ancora un anno fa, il movimento Occupy. È bastato che la CES, così, pro-forma, decidesse di fare un piccolo sciopero puramente dimostrativo, per facilitare nel 2012 un minimo di mobilitazione a livello europeo.
Certo, è vero quel che diceva Sergio Cararo all’inizio: non c’è l’unità della classe lavoratrice in Europa. Non c’è assolutamente, e non c’è neanche in Italia. Mai siamo stati così frammentati. Ma sarà o no proprio questo uno dei problemi più gravi per noi? Dobbiamo cercare di affrontarlo? La mia risposta è sì. Questo vuol forse dire non porsi il problema dei lavoratori che stanno dall’altra parte del Mediterraneo? O rinunciare al sostegno delle rivoluzioni arabe e all’unità con i popoli arabi in lotta per la democrazia e il socialismo? Assolutamente no; non c’è nessun vallo di Adriano.
Credo pertanto siano da respingere due tipi di orientamenti sulla questione Europa. Quella che io chiamo pseudoeuropeista, che, nella sinistra, si esprime in particolare in SEL, ma anche in altre forze politiche e sociali, che criticano la mancanza di democrazia nella UE e certe misure economiche, ma ne accettano il quadro e si propongono solo di fare alcune correzioni e di chiedere l’introduzione di qualche misura sociale ricercando alleanze e pressioni sui partiti di centro sinistra. Questo orientamento è destinato al fallimento perché a gestire fino in fondo le politiche dell’austerità sono tutte le principali forze, tutti insieme, partiti conservatori e partiti social-liberisti (anche se ancora si chiamano socialdemocratici).
Questa ipotesi quindi è completamente subordinata alle posizioni della borghesia europea e accetta le politiche di austerità.
Questa scelta è stata anche quella delle forze sindacali: la CES, pur essendo dal punto di vista dei numeri ancora una grande organizzazione, si è subordinata completamente al progetto padronale. E noi sappiamo che i burocrati sindacali nei vari Paesi, in particolare nel nostro, hanno lavorato per distruggere ogni embrione di coscienza di classe presente nei lavoratori e a non organizzare nessuna lotta concreta contro le leggi di stabilità o le varie stangate che si sono succedute negli anni.
Credo che sarebbe egualmente sbagliato un orientamento che ripiegasse sulla semplice dimensione nazionale. Credo che, alla fine, tale processo non sarebbe gestito dalla sinistra, ma da forze borghesi reazionarie. Certo oggi la crisi non si manifesta immediatamente nelle stesse forme in tutti i Paesi; la crisi può a un certo punto precipitare completamente, in Grecia oggi, o in Spagna domani o in Italia stessa.
Noi lavoriamo perché di fronte alle politiche liberiste ci sia la risposta più forte possibile, che si produca una crisi sociale e politica in cui i lavoratori siano un soggetto attivo e alternativo; noi dobbiamo contrastare le politiche dell’avversario, rifiutare di pagare il debito, rigettare il Fiscal compact, ricercando una mobilitazione di massa che affermi la difesa dell’occupazione e del salario fino alla crisi politica e di governo della borghesia e la possibilità che, come in Grecia, si ponga la possibilità di un governo di reale sinistra e, aggiungo, non strettamente parlamentare, perché un governo di questa natura potrebbe reggersi soltanto su una mobilitazione popolare amplissima ed organizzata.
Noi dobbiamo lavorare all’interno di questa dimensione strategica. E credo dobbiamo fare sempre un’attenzione particolare a mettere in luce quel che ci lega ai lavoratori degli altri paesi. Mi suscita una certa irritazione quando sento parlare di “Germania” in modo generico, senza precisare “borghesia tedesca”. Sono cose diverse; è un problema di educazione, anche nostra, di ragionare non in termini di Stati ma in termini di classe, delle classi sociali.
Quando parliamo di crisi sociali, di rotture da e con l’Unione Europea, dobbiamo anche sempre precisare quale classe sociale se ne fa carico e per quali finalità. Se un movimento di massa riuscisse in qualche Paese ad essere così forte da costituire in governo espressione della classe lavoratrice, quest’ultimo dovrebbe prendere tutte le misure adeguate, compreso l’uscita dall’euro, se necessario nel contesto dato, per praticare politiche economiche alternative e difendere gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Ma mentre si agisce nel concreto dello scontro di classe su scala nazionale, nello stesso tempo sarebbe indispensabile ricercare l’unità, la convergenza e un comune progetto con gli altri movimenti di massa, con le classi lavoratrici degli altri Paesi, come fattore decisivo per riuscire a reggere il confronto con la borghesia.
Ogni processo di rottura politica e sociale in un Paese non può essere disgiunto da un progetto internazionalista e della ricerca della solidarietà delle classi subalterne degli altri Paesi.
La cosa positiva è che tutti noi insieme proviamo a rispondere in Italia al vuoto politico e strategico che c’è di fronte alla crisi. La costruzione di un soggetto politico e di un movimento sindacale di classe abbastanza ampio in grado di costruire effettivamente le mobilitazioni e lotte a tutti i livelli è il tentativo di Ross@: provare cioè a rompere una situazione di frammentazione totale con una forte capacità di iniziativa, ma anche con un pensiero politico egualmente forte; in questa crisi epocale dobbiamo avere una prospettiva e un progetto di transizione che rompa col capitalismo e apra la strada a una società che una volta chiamavamo socialista.
Io non voglio dover scegliere tra Scilla e Cariddi, tra la controrivoluzione neoliberista “europeista” oggi in corso e un pericoloso ripiegamento nazionale gestito inevitabilmente da forze borghesi e reazionarie e altrettanto negativo. Vorrei che la classe a cui apparteniamo potesse costruire una sua alternativa.
CREDITS
Immagine in evidenza: Grecia, proteste contro l’austerità
Autore: Joanna; 1 maggio 2010
Licenza: Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Immagine originale ridimensionata e ritagliata