Presentazione Contropiano anno 23 n° 2 – novembre 2014
Massimiliano Piccolo (in Contropiano anno 23 n° 2 – novembre 2014)
Nel maggio scorso, in concomitanza con le elezioni europee, a livello mediatico impazzava la retorica europeista (nello scenario politico-istituzionale italiano è ormai prona consuetudine) che con maliziosa leggerezza dipingeva l’Europa come luogo di rassicurazioni contro la guerra, tralasciando come negli ultimi venticinque anni la guerra ci sia stata sia dentro i confini continentali ma anche e soprattutto come esportazione nei limiti più prossimi al continente stesso. Per questo motivo, come Rete dei Comunisti, abbiamo deciso di far rasserenare le acque del can-can mediatico per riprendere poi il filo del discorso non con spirito accademico ma militante.
Ricordare adesso che cento anni fa iniziava il primo conflitto mondiale è – per noi – più una necessità politica che una semplice opportunità sul piano scientifico-storiografico.
A tal proposito, è impossibile non vedere che gli eventi a noi vicini acquistano in quest’ottica un diverso (e più grande) significato e per ciò stesso il lavoro dei marxisti e dei comunisti deve diventare di maggiore responsabilità.
Le guerre a Est e in Medio Oriente, i pericoli in Asia e i conflitti legati alle migrazioni sono indissolubilmente prodotti dal nuovo protagonismo europeo che, dialetticamente collegato (nel senso proprio della dialettica tra scontro e incontro) al tradizionale imperialismo novecentesco USA, vuole ridisegnare gli assetti geopolitici.
Il centenario della Prima guerra mondiale è dunque un’occasione per riflettere su quell’immane massacro e su quanto sia stato effettivamente (come disse papa Benedetto XV) una “inutile strage” oppure altro (Cui prodest?, avrebbe invece chiesto qualcuno).
Ma è anche l’occasione per una nuova mobilitazione, poiché non è più sufficiente (come forse poteva ancora accadere qualche anno fa), in Italia, ricordare le chiarissime parole con cui la Costituzione repubblicana e antifascista tratta i pericoli di guerra: «L’Italia ripudia la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali».
Il capitalismo sta alla guerra come le nuvole alla pioggia, si scriveva proprio prima dello scoppio della Grande Guerra. Un conflitto, insomma, che dovrebbe rappresentare un monito per quanti oggi in modo irresponsabile agitano fantasmi bellicisti per risolvere gli inevitabili conflitti tra i popoli.
Apprendisti stregoni di ieri e di oggi.
Pur nella consapevolezza che una semplice relazione meccanicistica tra le cause poste in essere e le conseguenze future sarebbe ingenua, è altrettanto ovvio che le cause esistono e dunque anche le conseguenze. Ma come renderle intellegibili? Non con la palla di vetro, è ovvio, ma con l’accuratezza dell’analisi dei processi profondi che la ristrutturazione europea sta determinando.
Come interpretarono allora la successione dei fatti i marxisti d’inizio Novecento? E quali lezioni trarne? I comunisti e i marxisti per la seconda volta si trovano oggi a interrogarsi sugli scenari di un possibile conflitto mondiale: già durante gli anni Trenta, infatti, le menti più illuminate capirono la direzione e il verso del processo in atto. Sembra però che si debba oggi azzerare tutto. La nostra situazione è più vicina alle riflessioni dei marxisti al tempo delle premesse della Grande guerra: oggi come allora, infatti, il movimento comunista internazionale e quello dei lavoratori si trovano a riflettere sul mondo dopo una sconfitta storico-politica non indifferente (per questo sarà anche utile riprendere la lezione di Gramsci, ma ci torneremo in seguito, nei prossimi numeri di questa rivista).
Fu poi la Rivoluzione bolscevica a riscattare l’enorme sconfitta della Seconda Internazionale; così come la fine del primo Stato socialista della storia rappresenta la nostra sconfitta.
Due date dunque – il ’14/’17 e l’89/’91 – periodizzanti il Novecento secondo Hobsbawm. La definizione migliore del Novecento rimane ancora, a nostro avviso, infatti, quella che ne ha dato il grande storico marxista britannico: il secolo breve.
Non per caso, secondo Hobsbawm, il secolo scorso è cominciato nel 1914: «per quanti erano cresciuti prima del 1914 il contrasto col passato fu così drammatico che molti di loro […] si rifiutarono di scorgere alcuna forma di continuità con esso. […] La Prima guerra mondiale coinvolse tutte le maggiori potenze e tutti gli Stati europei, a eccezione della Spagna, dell’Olanda, delle tre nazioni scandinave e della Svizzera. […] In breve, il 1914 inaugura l’età dei massacri».
Ma anche – aggiungiamo noi – delle grandi emancipazioni: la rivoluzione d’ottobre, la decolonizzazione e il suffragio universale.
Non possiamo ovviamente dire con certezza di essere a un nuovo inizio di questo tipo, ma certamente il mondo è in una fase nuova e delicata che non può essere letta attraverso le lenti del pensiero dominante ma richiede chiavi di lettura rivoluzionarie.
Per queste ragioni, il 21 settembre del 2014 abbiamo invitato compagni e studiosi, anche di formazioni diverse, a un confronto pubblico che vuole rappresentare – questo sì – un nuovo inizio. Delle relazioni e degli interventi a quella giornata questo numero di «Contropiano» si compone.