Carlos Venturi in Contropiano anno 24 n°1 – maggio 2015
Un’accumulazione di beni senza fine deve basarsi su un’accumulazione di potere senza fine Dietro a quella che normalmente viene chiamata ricerca di potere stanno gli imperialismi, così come noi li intendiamo, nella definizione assunta dai marxisti, descritta e delineata nei suoi contorni da Lenin: un determinato livello di sviluppo del sistema capitalistica i parametri fondamentali per leggere il carattere e in qualche modo la misura degli imperialismi sono quelli classici:
- concentrazione della produzione;
- concentrazione del capitale bancario;
- rapporto tra esportazione di capitale ed esportazione di merci;
- diffusione delle associazioni monopoliste;
- continua spartizione di territori tra poli economici.
Questo il significato complessivo che ci interessa recuperare, a fronte di un uso riduzionista per indicare una politica militare aggressiva atta all’espansione dei propri territori nazionali o semplicemente d’influenza; questa è sicuramente importante ma da sola è insufficiente a spiegare la difficoltà del concetto, poiché l’aspetto militare è l’aspetto più drammatico, ma è anche la conseguenza di contraddizioni altrimenti irrisolvibili.
Per questo occorre guardare all’imperialismo nella sua pienezza concettuale e, alla luce di quanto detto, utilizzare questo termine non certo con parsimonia, giacché le occasioni non mancano, ma con misura, verificando le pesanti condizioni che questa parola comporta, poiché una confusione su questo punto rischia di ribaltare la percezione del ruolo dei soggetti in campo.
Come tredici anni fa, presentando “Il piano inclinato del capitale“, anche oggi cerchiamo di individuare una tendenza che ci faccia da bussola, riprendendo quindi quel filo d’analisi per aggiornarlo a uno dei momenti più imprevedibili della storia del capitalismo moderno.
Tredici anni fa erano forti le voci nella sinistra che vedevano il mondo, riorganizzato in un unico ipotetico impero, dove l’interesse era globale e le contraddizioni disinnescate, il popolo non più classe ma moltitudine mondiale contro i signori della terra.
Noi in una sala come questa ragionavamo di competizione globale e guerra in un mondo che ritenevamo già multipolare, sottolineando il carattere transitorio della fase a perfetto dominio statunitense, che già allora diminuiva il suo apporto percentuale al PIL mondiale Dagli anni Novanta sino ai primi anni del 2000 è stato possibile — per il capitale — riorganizzare il lavoro su base internazionale e far galoppare liberi i capitali nelle nuove terre vergini liberate dal controllo sovietico, mentre solo pochi anni dopo apriva i suoi spazi anche la Cina, divenuta nel frattempo la potenza che oggi conosciamo, e parti consistenti dell’economia completavano il processo di finanziarizzazione Tutto questo ha potuto rimandare (la deflagrazione o la percezione) (del)la crisi economica. Pochi anni dopo quella spinta è esaurita, e il mondo è di nuovo in fermento.
Sono emersi nuovi soggetti concorrenti, i Brics in pochi anni hanno aumentato il loro peso a fronte di una costante erosione della posizione americana, 1TJE ha fatto passi da gigante sotto la tagliola della crisi, verso il processo di centralizzazione, mentre le borghesie arabe mostrano al mondo le ambizioni di polo indipendente In poche parole le tendenze di allora sono divenute realtà effettiva.
Oggi la “teoria dell’impero” di Negri non è più egemone, ma questa non è stata scalzata da una teoria migliore, né nella sinistra italiana né in quella europea, bensì si è continuato a ignorare la necessità di una coerenza scientifica, lasciandoci a confronto con una visione improvvisata della politica.
Noi parliamo ormai da tempo del carattere imperialistico dell’Unione Europea, e crediamo che bisogna davvero essere ciechi per non vedere il mostro che ci sta crescendo intorno.
Come spiegare altrimenti la situazione in Grecia, le politiche di Austerity che pesano come macigni sulle teste dei paesi deboli dell’UE, dove dietro l’incapacità di risolvere la crisi c’è una precisa volontà di usarla per fare le cosiddette “riforme strutturali”, cioè tagli al costo del lavoro, privatizzazioni d’imprese pubbliche e di risorse comuni. Un processo di assoggettamento alle esigenze del capitale Tedesca Come spiegare la vicenda ucraina e la politica disinvolta e spregiudicata dell’UE nella ricerca disperata di ridefinire i confini dell’area monetaria allargandosi a scapito dei concorrenti economici, anche a costo di dare spazio e ossigeno a formazioni Nazista Come leggere la tragedia libica, dove è lampante il fatto che a nessun polo egemone interessi davvero la democrazia ma il solo dominio sule risorse di qualunque tipo, e quando questo dominio è messo in pericolo, possiamo star certi che le sirene della guerra si faranno sentirà Questi sono solo tre esempi che ci riguardano da vicino, utili a descrivere la vastità della teoria dell’imperialismo, che agisce, dentro, al confine e fetori dei poli stessi.
In un mondo multipolare, le velleità espansive dei vari soggetti e la sete di nuova linfe per economie gigantesche e ormai asfittiche, si deve rapportare con un “mondo finito” e non in grado di soddisfare una crescita capitalistica infinita. Ecco la contraddizione irrisolvibile.
Quello che è certo comunque, è che la stessa ricerca della crescita infinita colpisce i ceti subalterni di tutto il mondo, la quota salati sul reddito nazionale sta diminuendo in quasi tutti i paesi del mondo, avanzati, emergenti e in via di sviluppa Anche la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi sta aumentando così come la concentrazione della ricchezza nelle mani dei capitalisti e degli speculatori.
In ragione di questo la ricerca sulle forme dell’imperialismo e le sue conseguenze sono essenziali per definire cosa ci aspetta e aprire la discussione su come lo affronteremo.
Ancora una volta, vogliamo ribadire che l’accumulo delle contraddizioni e il carattere regressivo del sistema capitalistico non saranno sufficienti a determinare un passaggio a un mondo migliore, la dialettica è un elemento costantemente al lavoro, e per questo senza un soggetto agente che indichi una strada diversa, le contraddizioni possono esplodere e presentarci un mondo ancora peggiore.
Pensiamo che il primo Imperialismo da combattere sia quello in cui viviamo, prima che arrivi a compimento il processo di centralizzazione economico, politico e militare.
Combattendo per rompere la gabbia che imprigiona milioni di lavoratori dentro e fuori l’Unione Europea.