Massimiliano Piccolo in Contropiano anno 24 n°1 – maggio 2015
Questo numero della Rivista — che ricostruisce fedelmente il convegno di Bologna Il piano inclinato degli imperialismi (7 marzo 2015) organizzato dalla Rete dei Comunisti — può apparire (ma solo a chi non ci conosce) il rituale esercizio culturale e teorico di un’organizzazione marxista e comunista. Eppure se mettiamo in fila indiana l’ultimo numero pubblicato sugli “Apprendisti stregoni”, dunque sui fantasmi di un nuovo conflitto mondiale cento anni dopo la Grande guerra e gli attentati ‘terroristici’ successivi, soprattutto quello di Parigi d’inizio anno, allora questo apparente essere fuori tempo massimo è una ‘inattualità’ che rivela un suo punto di forza, non volendo descrivere un singolo avvenimento ma inserire i fatti interpretati e selezionati in una linea di tendenza.
Si può parlare, ad esempio, come astrattamente e maliziosamente ha fatto buona parte della sinistra europea, di libertà d’espressione a proposito dei fatti di Parigi, senza osservare concretamente la totalità del contesto per individuare il senso dei singoli fenomeni? Se ne può parlare, cioè, senza fare riferimento alla guerra? Una guerra già in atto — e non solo perché gli Stati stanno in una relazione di guerra permanente — ma anche perché le guerre di oggi non sono più legate alle forme tradizionali (inutile aspettare che riprendano quelle forme per dire di essere in guerra!).
Il cosiddetto mondo islamico, senza la guerra, avrebbe reagito allo stesso modo? E ancora più radicalmente: senza la guerra sarebbero state ideate le stesse vignette? In altre parole non si può astrarre dalla realtà il problema di principio della libertà d’espressione.
Le guerre del nostro presente (a Est o in Medio Oriente) sono legate al nuovo protagonismo europeo che, dialetticamente legato al tradizionale imperialismo nordamericano, porta a ridisegnare gli assetti geopolitici.
Un processo, non concluso del tutto, quello della costruzione del polo imperialista europeo capace di spiegare tutte le contraddizioni — proprio in forza del suo carattere costituente e dialettico — che lascia al proprio interno: quelle tra gli Stati da una parte; il duplice movimento di opposizione e/o rinforzo rispetto all’imperialismo statunitense dall’altra.
Se l’imperialismo è la fase più avanzata del capitalismo e quest’ultimo genera guerre, bisogna comunque evitare di cadere nella tentazione d’instaurare una relazione meccanica che ci farebbe deviare dal fuoco del problema: una riduzione semplicistica di questo tipo ci consegnerebbe a un atteggiamento da spettatori di processi necessari e dunque immodificabili. Ma è, al contrario, proprio negli interstizi dei processi dialettici che si annida la possibilità dell’inversione delle tendenze storiche e si aprono quindi gli spazi di agibilità politica. Vogliamo dunque rappresentare uno scenario verosimile: quello cioè di effetti possibili rispetto alle cause poste in essere. È vero che nessuno ha la palla di vetro, ma gli effetti hanno sempre cause che se comprese possono aiutare nella individuazione degli spazi di resistenza, senza nessun meccanicismo.
Questo nuovo protagonismo europeo è dunque al tempo stesso il contesto entro il quale ci muoviamo e il nemico da combattere. Una cartografia dell’oggi, degli imperialismi e del piano inclinato che essi rischiano di fare prendere all’umanità intera, è quindi necessaria come insieme delle conoscenze che possiamo sviluppare per poi descrivere, attraverso una mappatura delle forze reali in campo, gli scenari del nostro agire.