Rete dei Comunisti
Brevi note sul fenomeno migratorio, sulle mobilitazioni antirazziste e solidali dei prossimi mesi e su alcuni tra i promotori della Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi
In questi giorni – con non poche difficoltà, dovute in parte alla recente pausa estiva ma soprattutto allo sbandamento generale che investe la variegata area che compone la cosiddetta sinistra “radicale” e di “movimento” del nostro paese – si stanno organizzando in varie città iniziative di solidarietà attiva verso e al fianco delle migliaia di profughi che fuggono da guerre di aggressione e dallo sfruttamento intensivo delle loro terre.
I paesi d’origine del flusso umano che sta investendo l’intera Europa disegnano la geografia degli ultimi 25 anni di ingerenze “umanitarie”, di interventi economici, finanziari e politici i cui i responsabili sono ben noti a tutti: USA, Unione Europea, NATO, Israele, petromonarchie del Golfo persico, multinazionali di riferimento.
Per l’Italia parliamo di tutti i governi che si sono succeduti dal 1991 in poi – nessuno escluso – i quali si sono incaricati di gestire e proiettare l’apparato ideologico e di guerra nazionale sui binari decisi sia negli uffici dell’Alleanza Atlantica e in quelli della Troika europea.
Dall’Iraq all’ex Jugoslavia, passando per l’Afghanistan, la Libia, l’Ucraina, sino alla Siria di oggi tutti i partiti (tranne rare eccezioni) si sono accodati a quei diktat, votando a favore di bombardamenti e invasioni coloniali, definite dagli “spin doctor” al servizio dei governi e dei comandi militari (Scuola superiore S.Anna in primis) operazioni di peacekeeping, peacebuilding, eccetera: le famigerate “missioni di pace”.
Alla luce dei risultati economici di Finmeccanica, dell’ENI e di altre industrie di punta italiane ed europee, le missioni si sono rivelate un successo, che sta però producendo imbarazzanti “effetti collaterali”: le lontane e sempre più rare immagini dei massacri prodotti quotidianamente nei vari scenari di guerra si sono trasformate in corpi senza vita sospinti dalla risacca sulle spiagge del Mediterraneo, nei container in giro per l’opulenta Europa del Nord o sotto le rotaie del tunnel che da Calais collega la Francia all’Inghilterra.
Una barbarie che ci riporta ad epoche non troppo lontane, quando altri carri piombati giravano per l’Europa, con dentro esseri umani marchiati sulla pelle per indicare ai carnefici dei campi di sterminio le varie destinazioni: lavori forzati e/o camere a gas.
Scenari imbarazzanti per la signora Merkel e per tutto l’establishment europeo, impegnato a costruire un polo imperialista in competizione con le altre economie concorrenti sui vari scenari geopolitici.
Le frontiere aperte in questi giorni dalla Germania e dall’Austria sono chiaramente una boccata di ossigeno per le massi di disperati in fuga, che potranno cogliere un’opportunità creata dalla sofferenza loro e dal massacro di fratelli, figli, amici e connazionali meno fortunati.
Ma alcune note stonate danno l’idea dell’operazione che questa improvvisa apertura nasconde. La colonna sonora dell’Inno alla gioia adottato come proprio dalla UE, con la quale sono stati accolti i profughi nelle stazioni tedesche, l’improvvisa bontà delle locali forze dell’ordine (il poliziotto che cede il cappello d’ordinanza al bambino scampato alla morte), gli applausi dagli autoctoni alle file dei disperati giunti sin lì, ribaltano completamente ed in poche ore uno scenario finora insostenibile.
Dietro quest’operazione si cela non certo un “sobbalzo di coscienza” di una classe dominante responsabile diretta del disastro sociale e umano al quale siamo di fronte, piuttosto il cambio congiunturale di strumenti di guerra, vista l’attuale debolezza di quelli della forza militare e della repressione, si usa ora a piene mani l’altra arma strategica nelle guerre contemporanee: quella mediatica.
Un’arma maneggiata magistralmente dai vari Lucia Annunziata, Gad Lerner, Roberto Saviano, Sergio Staino, che da anni ammorbano l’etere e riempiono le pagine dei quotidiani di trasmissioni, articoli e vignette a sostegno delle politiche estere dei governi nazionali, dell’Unione Europea e di Israele, paese quest’ultimo che sostiene attivamente i tagliagole jihadisti sulle alture del Golan siriano, contribuendo così all’esodo dei disperati che ora investe l’Europa.
Leggere tra i promotori della “marcia delle donne e degli uomini scalzi” i nomi di questi personaggi, insieme a organizzazioni sindacali come la CGIL, i cui gruppi dirigenti nei momenti cruciali hanno sempre appoggiato le aggressioni decise dai governi di centro sinistra contro i vari paesi divenuti target, evidenzia un’operazione che intende agire ed incidere sulle difficoltà e il disorientamento di un’ancora ampia area politico/culturale presente nel paese ad assumere una posizione indipendente e autonoma sui temi di politica internazionale.
Allo stesso tempo riconosciamo ad altri firmatari di quell’appello uno spessore e una dignità che certo non viene meno. Pensiamo soprattutto a Emergency, che attraverso il suo portavoce e ispiratore principale ci ha abituato a prassi e prese di posizioni coerenti e nette contro i “signori della guerra” che infestano e controllano i palazzi del potere.
Ma alcune firme nobili non ci sono sufficienti per accettare un’alleanza innaturale. Occorre tracciare una chiara linea di demarcazione tra vittime, carnefici e loro complici. L’unità degli uni e degli altri, sull’onda dell’emozione del momento, si è sempre rivelata un abbraccio mortale per i primi e una legittimazione per i secondi.
Per questo l’11 settembre noi non parteciperemo a quella marcia, ma saremo nei presidi promossi da chi in questi anni si è battuto coerentemente contro tutte le guerre, di carattere economico e militare, che il polo imperialista europeo e i suoi alleati portano avanti contro tutti i dannati della terra, all’interno dei confini della “fortezza europea” con le politiche della Troika, nei paesi limitrofi con bombardamenti, occupazioni militari e gruppi terroristici creati ad arte.