Rete dei Comunisti
Ricostruire il movimento contro la guerra.
Promuovere e sostenere ogni iniziativa che si batte contro la militarizzazione dei territori.
Contrastare l’egemonia culturale che sostiene lo sforzo bellico del polo imperialista europeo.
Individuare e combattere i soggetti politici, le istituzioni amministrative e scientifiche, il sistema d’informazione “embedded”, gli insediamenti militari e produttivi che danno forma concreta al complesso militare-industriale italiano-europeo.
La guerra è tornata a essere strumento centrale delle politiche interne ed estere dei paesi occidentali. L’Alleanza Atlantica (NATO) continua a essere, nonostante le crescenti contraddizioni tra i principali paesi che la compongono, l’alleanza in grado di rispondere alle esigenze di proiezione bellica dell’apparato militare – industriale statunitense e dell’Unione Europea.
Superata la crisi “esistenziale” causata della dissoluzione dell’URSS, la NATO ha progressivamente riconvertito la sua “missione”, usando sapientemente tutte le armi a sua disposizione per affondare le sue iper tecnologiche baionette nel corpo vivo di un mondo in dissoluzione. Dai primi anni ‘90 del secolo scorso sino a oggi, abbiamo visto all’opera il mix di strumenti che sono sistematicamente utilizzati per distruggere interi Stati. Un cliché ben oliato, che si è ripetuto per ogni scenario geopolitico, e che ha preparato il terreno alla devastazione dell’Iraq, della Jugoslavia, dell’Afghanistan, della Libia, dell’Ucraina, sino alla Siria di oggi. Un’opera che continua, causando l’esodo biblico di milioni di persone, in fase di ricollocamento selettivo all’interno dell’apparato produttivo dei paesi forti del polo imperialista europeo, in base alle recenti decisioni prese dai governanti del nocciolo duro della UE: Germania, Francia, paesi del Nord Europa.
Parlare dei flussi migratori significa quindi entrare nel merito di come le conseguenze delle attuali politiche coloniali e militariste siano gestite dai responsabili diretti del fenomeno, in un nesso inscindibile tra guerra interna ed esterna, dove per il “fronte interno” – nel caso dei rifugiati – si usa l’arma più sofisticata tra quelle a disposizione: l’informazione embedded e la pletora di intellettuali al servizio della narrazione eurocentrica, che fanno da cinghia di trasmissione tra gli obiettivi gestionali delle contraddizioni determinate dalle guerre e una opinione pubblica disorientata dalla velocità di eventi di dimensione storica.
1. LE CAUSE PROFONDE DELLA TENDENZA ALLA GUERRA
In tempi non sospetti (seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso) la Rete dei Comunisti analizzò ed evidenziò con convegni e pubblicazioni l’origine storica e le basi materiali della crisi sistemica del Modo di Produzione Capitalistico.
Oggi di crisi sistemica parlano eminenti analisti economici negli articoli di fondo dei quotidiani confindustriali di tutto il mondo.
Una crisi che non trova soluzione, ma che anzi si approfondisce, per rispondere alla quale i grandi paesi capitalistici e alcune economie “emergenti” hanno velocizzato – a vari livelli – processi d’integrazione finanziaria, economica, politica e militare di grandissime dimensioni, sfociati nell’Unione Europea, nello SCO (Shanghai Cooperation Organisation), nei BRICS e in altre alleanze di carattere bancario, finanziario, commerciale e militare.
Processi che in alcuni casi evidenziano il raggiungimento di un determinato stadio di sviluppo, ancora definibile come imperialistico. È il caso dell’Unione Europea, che non a caso si trova sempre più spesso a confliggere su vari fronti – con gli interessi materiali dell’altro grande polo imperialista: gli Stati Uniti d’America.
Il motore della tendenza alla guerra continua quindi a essere l’irrisolto (e pacificamente irrisolvibile) problema dei limiti intrinseci del capitalismo, che a un suo determinato stadio di sviluppo è costretto a distruggere sistemi produttivi, merci e forza lavoro (esseri umani) per ricostruire le basi del proprio ciclo di produzione e valorizzazione: distruggere per ricostruire. La recente crisi finanziaria in Cina evidenzia come non ci siano vie “alternative” a questo meccanismo economico.
2. I LITIGIOSI ATTUATORI DELLE POLITICHE DI GUERRA
La NATO è stata e continua a essere la “cabina di regia bellica” dei paesi occidentali. Espansasi a dismisura nell’Est Europa dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’Alleanza atlantica continua a svolgere un ruolo centrale nella pianificazione e promozione delle strategie d’ingerenza, aggressione e guerra in tutta l’immensa area d’influenza che gli compete.
I vertici militari statunitensi hanno sempre avuto un ruolo centrale all’interno della NATO, per le funzioni di comando a essi assegnate per statuto, dipendenti dalla vicenda storica e dalla potenza militare preponderante degli USA rispetto agli alleati.
L’aumento della competizione economica tra la potenza d’oltre oceano e l’Unione Europea ha progressivamente messo in fibrillazione quest’alleanza militare, evidenziando ancora di più la gravità della situazione venutasi a determinare a causa della crisi sistemica che si manifesta attraverso interessi economici sempre più contrastanti nei vari scenari geopolitici. Dalla guerra in Georgia dell’agosto 2008 sino alle ultime vicende ucraine e siriane, sono emersi molti segnali di contrasto tra USA e alcuni grandi paesi europei, creando all’interno della NATO alleanze a “geometria variabile”, secondo gli interessi in campo.
A rendere più difficile la convivenza il processo di autonomizzazione militare dell’Unione Europea in atto, con la costituzione di un autonomo complesso militare-industriale, che si esprime anche attraverso manovre militari autonome, come nel caso della missione navale “Eunavfor Med“, che ha ricevuto il via libera dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea per un nuovo intervento in Libia, di cui l’Italia di Renzi si candida per essere l’azionista di maggioranza.
Altro Stato che agisce come “variabile indipendente” all’interno della NATO è la Turchia, che gioca nella sua storica area d’influenza una partita spesso in contrasto netto con le direttive dell’Alleanza Atlantica.
Nonostante le sempre maggiori contraddizioni e gli scontri “dietro le linee” tra alleati, i fattori coagulanti continuano al momento a essere maggiori di quelli disgreganti, per il grado elevatissimo d’interazione economica tra mercati (che attraverso il TTIP si tenta di implementare ancora di più), per la storica contrapposizione economica, politica e culturale con i paesi dell’EST e del Sud del mondo. La NATO rimane quindi una “camera di compensazione” imprescindibile per portare a sintesi interessi divaricanti, uniti solo dalla comune volontà di assicurarsi il dominio sulle fonti di approvvigionamento energetico, di materie prime, di mano d’opera a basso costo, del commercio e della finanza nei vari scenari geopolitici e a livello internazionale.
Per questi motivi la lotta per scioglimento della NATO continua a essere un obiettivo centrale del movimento contro la guerra.
3. LA GUERRA IN CASA: MILITARIZZAZIONE DEI TERRITORI, DEI CUORI E DELLE MENTI
Contribuire alla ripresa del Movimento Contro la Guerra significa individuare le cause generali della tendenza alla guerra ma anche i soggetti che gestiscono i processi di militarizzazione sui territori, indagando sul grado e sulla qualità della militarizzazione dei propri territori, al fine di dare un senso compiuto e prospettive concrete alla lotta contro la guerra.
In molte zone del paese, note per la presenza di basi USA – NATO abbiamo individuato alcuni elementi che ci fanno pensare a una sorta di “dipolo bellico”, dove la relazione intercorrente tra il polo della guerra e quello della pace – si alimentano a vicenda.
Per ciò che concerne il polo della guerra, l’Italia vede sul suo territorio un’eccezionale presenza basi militari, che ne fanno da sempre la portaerei delle proiezioni belliche occidentali contro l’Est e il Sud del mondo. Negli ultimi anni, al fianco delle storiche basi USA-NATO, si sono aggiunte quelle dell’Unione Europea: EUROFOR, EUROGENDFOR, GENDARMERIA EUROPEA, EUROCORPS, EUROPEAN UNION BATTLEGROUPS, EUROMARFOR.
CONQUISTARE IL CUORE E LE MENTI ALLA “CULTURA DELLA DIFESA”, DALLE SCUOLE ALL’UNIVERSITÀ.
Finora è stato descritto il “polo della guerra”. Di contro, ma in perfetto equilibrio sistemico, si pone il “polo della pace” di cui protagonista indiscussa è sicuramente la Scuola Superiore Sant’Anna, con i suoi 20 corsi di alta specializzazione per personale civile in operazioni di Peace-Keeping e Peace-building, gli ultimi dei quali si sono tenuti – oltre che a Pisa e a Roma – in Egitto, per il personale impegnato in Somalia, in Somaliland, in Sud Africa, in Cameroon. Da sottolineare come un numero rilevante di queste attività di formazione sia organizzata in collaborazione con il Reggimento Tuscania dell’Arma dei Carabinieri e sotto la guida dall’ex Comandante della Folgore, Generale Mingiardi. Oltre che il protocollo con l’Arma dei Carabinieri, con l’Esercito italiano, e oltre all’internship con il CEPOL (European Police College) è interessante rilevare anche la partnership che la Scuola Sant’Anna ha instaurato con l’IDS, (Industria dei droni MANTA e HERO adottate dalle truppe speciali italiane e di altri paesi) e con la Wass (Whitehead Alenia Sistemi Subacquei), società livornese del gruppo Finmeccanica, da sempre impegnata nel mercato militare con la produzione di siluri pesanti, siluri leggeri, sonar, sistemi di difesa anti siluro e sistemi di sorveglianza.
Il disegno di legge n°2609/2011 “Disposizioni per la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà” (Governo Monti) ha permesso un progressivo e pervasivo ingresso dell’esercito nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università, attraverso corsi, scambi “culturali”, feste di accoglienza delle scolaresche nelle caserme, con l’evidente fine di rendere “popolare” un esercito che ne ha perso ogni caratteristica, grazie al governo D’Alema, che nel 2000 iniziò il percorso di sostituzione dell’esercito di leva nell’attuale esercito professionale.
L’analisi di questo processo di militarizzazione in atto, ci ha portato in tempi recenti a imbatterci nelle derive intraprese da alcune importanti componenti dell’ex movimento pacifista italiano (associazionismo laico e cattolico, OnG, sindacati concertativi), impegnate in una campagna per la promozione dei cosiddetti “corpi civili di pace”, che non a caso coincide con un decreto attuativo Firmato dai Ministri Poletti e Gentiloni il 30 gennaio 2015 e inserito nell’ultima Legge di Stabilità, aprendo la strada alla sperimentazione di omonimi “Corpi Civili di Pace” governativi.
Questo esempio ci serve per chiudere il cerchio di un ragionamento sulla centralità della funzione ideologica di politiche che intersecano inscindibilmente civile e militare, al fine di esercitare egemonia culturale sulla società, operazione che investe e coinvolge i corpi intermedi di una “sinistra” che s’incarica di veicolare a livello di massa le nuove forme dell’interventismo “umanitario” in un paese facente parte di un aggressivo polo imperialista.
4. INTERVENTISMO STATALE NEL SETTORE DELL’INDUSTRIA BELLICA: L’UNICO KEINESISMO POSSIBILE IN TEMPO DI CRISI SISTEMICA
Parlare d’industria delle armi in Italia significa parlare di Finmeccanica. Primo gruppo industriale italiano nel settore dell’alta tecnologia e tra i primi “player” mondiali in difesa, aerospazio e sicurezza. Il suo maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze italiano. Il gruppo è presente in oltre 20 Paesi nel mondo con 273 siti (35% in Italia e 65% all’estero), dei quali 120 sono stabilimenti produttivi (56 in Italia e 64 all’estero). A livello commerciale, sono circa 150 i Paesi nel mondo che ogni giorno utilizzano prodotti, sistemi e servizi forniti da Finmeccanica (dati al 31 dicembre 2014).
Numeri che piazzano il nostro paese al nono posto a livello mondiale tra quelli esportatori di armi, con un “attivo di bilancio” miliardario. Inutile evidenziare quali siano i paesi acquirenti. Basta dire che sono equamente distribuiti sui fronti opposti di ogni guerra presente oggi sul pianeta, a dimostrazione sempiterna dell’utilità della guerra come funzione di ultima istanza per la produzione capitalistica. Le leggi Finanziarie, ora chiamate “di stabilità” hanno sempre riservato uno spazio enorme per il settore militare, portando ad una spesa giornaliera media di 70 milioni di euro al giorno nel settore.
Il Parlamento Europeo in una risoluzione del 21 maggio 2015 chiede agli Stati membri di spendere per la difesa almeno il 2% del PIL, per rafforzare la “base tecnologica e industriale della difesa europea” e creare un “mercato comune della difesa”. Per l’Italia significherà aumentare la spesa militare a oltre 100 milioni di euro al giorno.
5. NON SOLO ESPORTAZIONE. L’ESERCITO ITALIANO SI SPECIALIZZA IN CONTROGUERRIGLIA, CONTROLLO E REPRESSIONE INTERNA
Per effetto della legge delega 244/12 (governo Monti), che ha avviato il processo di revisione e razionalizzazione dello strumento militare, è stato costituito il COM.FO.SE (Comando delle Forze Speciali insediatosi recentemente dentro la caserma dei paracadutisti Gamerra di Pisa) e la “Divisione Friuli” con sede nella Caserma “Predieri” del rione Rovezzano di Firenze, famosa per esser stata in precedenza il quartier generale di EUROFOR (EUropean Rapid Operational FORce – Forza operativa europea a reazione rapida), diventata una componente della PESD (Politica Europea di Sicurezza e Difesa), che costituisce attualmente uno degli strumenti principali della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) dell’Unione Europea, diretta dalla ex “pacifista” Federica Mogherini.
Il Partito Democratico di Renzi è responsabile della protrazione della missione dell’Esercito italiano denominata “Strade sicure”. Iniziata nel 2008 con l’impiego di 4250 unità fino al dicembre 2014, ha avuto ben 3 proroghe con un incremento fino a 6.650 soldati, presenti fino a tutto il 2015.
Un evidente quanto mai repentino processo di militarizzazione dei territori, direttamente proporzionale a quel lento ma efficace processo di militarizzazione delle menti in atto ormai da anni, teso a rendere ammissibile il ricorso alla forza armata a fini sociali, umanitari e di interesse collettivo che ha raggiunto un paradosso: a una “militarizzazione imposta” viene fomentata una “militarizzazione richiesta”, attraverso il sapiente uso di campagne stampa ad hoc.
DA QUESTE ANALISI DISCENDONO ALCUNI OBIETTIVI CHE RITENIAMO CENTRALI PER IL RILANCIO DELLA LOTTA CONTRO LA GUERRA:
- L’Unione Europea è il nemico principale della pace in tutta l’immensa area geografica che circonda il continente. La costruzione di un polo imperialista in conflitto oggettivo con altre potenze economiche, finanziarie e militari implica un uso sempre maggiore della forza, sia all’interno dei propri territori (guerra economica e negazione di diritti elementari contro le classi sociali subalterne, repressione, militarizzazione), sia nelle relazioni internazionali ( operazioni “di pace” e di “polizia internazionale”, lotta al terrorismo, sostegno a “rivoluzioni colorate”, eccetera). Lottare contro il proprio imperialismo è un obiettivo centrale del movimento contro la guerra.
- L’epocale fenomeno migratorio al quale stiamo assistendo è un prodotto diretto delle guerre di aggressione occidentali. L’unica soluzione al drammatico esodo in atto è la sconfitta delle politiche aggressive e militariste occidentali e dei loro alleati (paesi del Golfo e arabi moderati), che sostengono direttamente gruppi e movimenti fondamentalisti come l’ISIS a fini di destabilizzazione dei paesi indisponibili a piegarsi ai voleri delle potenze imperialiste. Occorre he il movimento contro la guerra si batta con determinazione al fianco dei migranti e dei loro diritti, senza cadere nelle trappole della propaganda promossa dalle classi dominanti europee, che strumentalizza la sofferenza di milioni di esseri umani per veicolare le proprie politiche di potenza (corridoi umanitari, uso massiccio di mano d’opera qualificata per ridurre ulteriormente i diritti di tutti i lavoratori)
- Occorre denunciare il ruolo di punta che il governo Renzi sta assumendo nelle politiche d’ingerenza e aggressione dettate dall’Unione Europe, all’interno delle quali l’attuale esecutivo a guida PD tenta di ritagliarsi spazi per difendere gli interessi delle multinazionali tricolori (ENI, Finmeccanica, Lega COOP, Unicredit e altre), a partire dall’ex colonia libica.
- L’Italia è una portaerei al servizio della NATO e dell’Unione Europea. Occorre riprendere il lavoro d’inchiesta, denuncia e mobilitazione contro le basi militari USA, NATO e UE sui nostri territori, per lo scioglimento dell’Alleanza Atlantica e la rottura dell’Unione Europea, verso la costruzione di nuove alleanze politiche, economiche e militari fuori e contro il polo imperialista europeo.
- I processi di militarizzazione dei nostri territori passano attraverso precise politiche amministrative, coadiuvate da un complesso sistema scientifico/culturale, al fine di creare un “habitat” congeniale per la crescita di industrie delle armi. Occorre smascherare e denunciare tutte quelle amministrazioni locali che svolgono questa funzione.
Nella catena di comando che parte dalle direttive dell’UE e della NATO, le politiche amministrative divengono particolarmente pericolose perché in contatto più diretto con le popolazioni, le scuole, le università. - Le guerre del XXI secolo si caratterizzano per un uso intensivo dell’ideologia. Le libertà individuali e di mercato, i diritti umani e civili, la supposta superiorità delle architetture istituzionali e giuridiche dell’Occidente rispetto a quelle dei paesi del Sud e dell’Est del Mondo, sono declinate magistralmente da un’immensa pletora d’intellettuali, professori e istituti universitari, giornalisti, editorialisti, opinion maker al servizio delle multinazionali e dei governi di riferimento, al fine di esercitare un’egemonia culturale su fasce significative di opinione pubblica, sconfiggendo sul terreno dei valori e delle prospettive ogni ipotesi alternativa.
In forme sempre nuove e complesse, il capitalismo si rappresenta come l’unico modello possibile. La battaglia culturale contro la martellante propaganda che prepara, legittima e accompagna le aggressioni militari deve divenire uno dei fronti centrali di lotta del movimento contro la guerra.
Intorno a questi punti di programma intendiamo costruire percorsi di confronto, organizzazione e mobilitazione con tutti coloro i quali che intendono battersi contro le guerre e chi le promuove, in primis il polo imperialista europeo.