da “Una Storia anomala” primo volume
Nei quartieri va avanti l’intervento di massa con l’autoriduzione delle bollette, la lotta contro il carovita e la lotta per la casa, mentre si consolida il Comitato Disoccupati Organizzati. Nel 1978 i disoccupati organizzati si stabilizzano diventando salariati esterni degli appalti della manutenzione stradale della Provincia. Nascono tre “Cooperative Disoccupati Organizzati” (Roma Sud, Est e Nord) che portano al lavoro e al reddito un centinaio di disoccupati.
Contemporaneamente nascono anche i Comitati di lotta delle donne, espressione in gran parte di donne proletarie che avevano partecipato alla lotta per la casa o che sono attive nei quartieri. C’è una presa di coscienza ampia. Le donne si iscrivono alle 150 ore per ottenere un titolo di studio ma sperimentano anche iniziative innovative sul piano del lavoro e dei servizi. Nelle scuole elementari si va diffondendo il tempo pieno. Nascono dall’intuizione dei Comitati di Lotta delle Donne le esperienze delle mense autogestite nelle scuole, che cresceranno attraverso una cooperativa che darà lavoro e reddito, indipendenza e stabilità, curiosità e coscienza a centinaia di donne proletarie. Questa componente “proletaria” del movimento delle donne non solo è stato un elemento decisivo e di prima linea nelle lotte, ma non rinunciava in alcun modo a portare il proprio contributo anche nel dibattito e nelle manifestazioni delle donne, spesso scontrandosi con la struttura sociale borghese di settori del movimento femminista.
Le strutture messe in piedi si rivelano strumenti che stabilizzano il lavoro di massa e l’intervento politico sia nel territorio che in alcuni segmenti del mondo del lavoro. I disoccupati organizzati che sono andati a lavorare non abdicano certo all’attività, soprattutto all’Ufficio di Collocamento, con presidi, blocchi degli sportelli e nuove liste di lotta dei disoccupati, mentre le donne organizzate portano dentro le lotte la coscienza che deriva dal ruolo di primo piano svolto da una conquistata indipendenza economica e dall’aver strappato servizi sociali prima inesistenti.
Si assiste inoltre ad un importante cambiamento nella vita sociale della città. La prima giunta di sinistra insediata ormai dal 1976, comincia a demolire le baraccopoli che disegnavano la geografia sociale della periferia romana e ad assegnare le case popolari ai baraccati e alle famiglie che vivevano in condizioni insalubri (esempio gli scantinati e le case minime di Quarticciolo etc.) Le famiglie proletarie e i baraccati con i quali si era lottato insieme negli anni precedenti si insediano nei quartieri, alcuni storici, altri di nuova costruzione.
In questi quartieri si manifesta un dualismo di rappresentanza: da una parte i Comitati di Quartiere ufficiali (espressione in larga parte del Pci) e dall’altra, lì dove si è potuto, agiscono i Comitati Popolari afferenti all’Opr.
Non è un dettaglio. Infatti se lo scontro politico (e spesso non solo politico) con il Pci si era fatto ancora più duro – sia sul territorio che in fabbrica – i dirigenti e i quadri del Pci o della Cgil trovano difficoltà a marginalizzare i militanti dell’Opr proprio perché non rispondenti alla caricatura degli studenti gruppettari o dei movimentisti, ma si tratta spesso di militanti ben inseriti nei settori di classe in cui intervengono e di militanti comunisti ideologicamente consolidati.
Dentro questo scontro politico con il PCI nei settori di classe, si rivela dunque la validità della scelta della “proletarizzazione” dei militanti dell’Opr. Una caratteristica che accentuerà le divergenze con l’Autonomia Operaia romana, fino ad arrivare ad una tesissima assemblea con botte da orbi tra militanti dell’Opr e di via dei Volsci nella famosa Aula I di Lettere all’università. Il giornale Lotta Continua, con un malcelato pizzico di rivalsa, scriverà in quella occasione una cronaca dell’assemblea e dello scontro dove, riferendosi “ ai Volsci”, descrive che “quelli abituati ad essere maggioranza (e a suonarle alla minoranza, ndr) stavolta sono finiti in minoranza”. Il tema dell’assemblea era la ferocissima polemica nata dentro una cooperativa di disoccupati organizzati di Guidonia (tra l’altro più vicina ai Volsci che all’Opr), a causa dell’allontanamento di alcuni soci che teorizzavano il rifiuto del lavoro mentre gli altri… lavoravano. Si trattava di una cooperativa sociale molto particolare, composta soprattutto da ex detenuti e da proletari dell’area metropolitana di Roma. Una buona dose di miopia e lo spirito “competitore” dell’Autonomia Operaia verso l’Opr prevalsero ancora una volta, ma i risultati politici e “quelli sul campo” si rivelarono disastrosi. Uno scontro analogo con l’Autonomia Operaia, sempre in un assemblea dentro l’università (in questo caso all’aula magna del Rettorato) si ripeterà alcuni mesi dopo in occasione di una mobilitazione studentesca.