da “Una Storia anomala” primo volume
Ma con l’uccisione di Moro salta praticamente l’operazione del compromesso storico tra Dc e Pci e viene rinviata la realizzazione del governo di unità nazionale. La reazione dello Stato e del Pci a questa azione sarà durissima. Inizia ad agire il “Partito della Fermezza” sperimentato nel ’77 e rafforzatosi nelle settimane del sequestro Moro, una sorta di patto tra DC, PCI e apparati dello Stato che per almeno cinque anni sottoporrà il paese alle leggi di emergenza e rovescerà contro la sinistra rivoluzionaria la guerra di bassa intensità avviata negli anni ’60 contro il Pci dagli Usa, dalla DC, dagli apparati dello Stato e dai fascisti.
In quegli anni sarà assordante anche il “silenzio dei garantisti” (incluso Rodotà) che piegano o girano la testa di fronte alle leggi speciali che dal 1978 in poi verranno varate dai governi con il consenso parlamentare del Pci. Solo pochissimi, tra cui Luigi Ferrajoli, troveranno il coraggio di denunciare quanto sta accadendo nel paese. È stato calcolato che in Italia, in quegli anni, ci saranno almeno cinquemila militanti o attivisti politici di sinistra che passeranno per le carceri per periodi più o meni lunghi.
L’Opr non farà eccezione. Tre compagni vengono arrestati nel 1979 mentre affiggono uno striscione su un muro di Garbatella che denunciava lo scandalo delle case sfitte e invitava ad occupare. L’accusa è di “istigazione a delinquere”.
A metà del 1978 Radio Proletaria e l’Opr avevano cominciato una attività di denuncia della situazione nelle carceri speciali dove erano stati rinchiusi i prigionieri politici (gran parte dei quali militanti dei gruppi armati). Molte di queste carceri sono su isole che diventeranno tristemente famose come l’Asinara, Favignana, Pianosa. L’Opr, attraverso Radio Proletaria, sostiene le manifestazioni dei familiari dei prigionieri, partecipa e organizza assemblee e riunioni anche a livello nazionale per organizzare in modo stabile questa attività per la chiusura delle carceri speciali e l’introduzione dei colloqui con i vetri divisori.
A febbraio del 1979 una vasta operazione di polizia, con il quartiere di Casalbruciato circondato e decine di agenti, porterà alla chiusura di Radio Proletaria e all’arresto di 23 compagni con accuse pesantissime. La Radio ospitava una riunione nazionale sulle carceri alla quale partecipavano avvocati, familiari dei prigionieri e attivisti di riviste e collettivi impegnati nella lotta contro la repressione. La procura di Roma annuncia trionfalmente sui giornali di aver sgominato un gruppo di brigatisti. In una lettera dal carcere pubblicato dal quotidiano Lotta Continua, i compagni arrestati rivendicano il loro lavoro e cioè “il diritto di rendere di pubblico dominio la conoscenza di tutti gli abusi che avvengono dentro le carceri rivolgendo l’informazione direttamente alle masse popolari”. L’immediata mobilitazione dei compagni smonta l’operazione della Digos e della magistratura pezzo su pezzo. Dopo due mesi i compagni arrestati verranno tutti scarcerati e al processo, alcuni anni dopo, verranno assolti con formula piena. Dopo la chiusura da parte della polizia, Radio Proletaria per tre mesi (febbraio, marzo, aprile) sarà ospitata per due ore al giorno da Radio Onda Rossa. La stessa solidarietà si realizzerà nel gennaio del 1980 quando verrà chiusa Radio Onda Rossa e ospitata a sua volta da Radio Proletaria.
Dopo tre mesi di chiusura, Radio Proletaria riapre e riprende le trasmissioni. Un manifesto della radio che verrà affisso sui muri di Roma scrive: “La radio riaperta, i compagni scarcerati. Una brillante operazione della Digos andata a male”. Ma, come scrivevano dal carcere i compagni arrestati, quello contro Radio Proletaria era stato una sorta di blitz sperimentale, il primo del suo genere. Servirà alla varie procure a “testare” politicamente e mediaticamente la gestione di grandi operazioni di polizia – i famosi “blitz” appunto – che vedranno decine e decine di arresti. Da lì a poco scatterà infatti il blitz del 7 aprile contro gli esponenti più noti dell’Autonomia Operaia, in particolare del Veneto e della Lombardia, i più noti tra essi Toni Negri e Oreste Scalzone.
Dal 1978 Radio Proletaria diventa in qualche modo l’espressione del fronte politico dell’Opr, mentre i comitati popolari sulla casa o dei quartieri, il comitato disoccupati organizzati e i comitati operai di fabbrica, ne sono l’articolazione sociale e di classe. La radio prende iniziative sul terreno della lotta contro la repressione, sull’internazionalismo e sull’agenda politica. Su questi temi verrà sviluppata una azione politica non più solo a Roma ma verranno sviluppati contatti anche in altre città.
Dopo il blitz del 7 aprile 1979 contro i leader storici dell’Autonomia Operaia, l’attività contro la repressione, le leggi e le carceri speciali diventa più intensa, anche perché i blitz e gli arresti offrono continuamente materia di intervento. Anche in questo si registra una divaricazione con l’Autonomia Operaia – che in modo piuttosto velleitario annuncia di voler “accettare la sfida dello Stato”- e l’Opr che non sottovaluta affatto la portata dell’operazione repressiva e cerca con ogni mezzo di allargare il fronte di opposizione e le contraddizioni negli apparati dello Stato.
In un documento interno del luglio 1979, e ormai in pieno “stato di emergenza”, a proposito del clima repressivo in atto nel paese, l’Opr scrive che: “Alla crisi politica non corrisponde però una parallela disorganizzazione delle strutture reali del potere statale. In particolare sul terreno della repressione e dell’organizzazione militare questi anni sono serviti, anche e soprattutto grazie alla politica di “solidarietà nazionale”, a creare una capacità di intervento dello Stato qualitativamente nuova. Il 7 aprile non è, come è ormai chiaro, un episodio di lotta al terrorismo vero o presunto, è invece una impostazione nuova dei rapporti tra lo Stato, i movimenti di classe e le organizzazioni politiche rivoluzionarie che stravolge le regole del gioco “democratico” e reimposta i rapporti istituzionali su nuove basi (…) Questo progetto ha dimensioni ben più ampie rispetto allo scontro tra Stato e BR e fa parte di un progetto interno ed internazionale che vede la riorganizzazione capitalistica strettamente collegata a processi di militarizzazione della società civile e di sviluppo del terrorismo di Stato, nelle sue forme pubbliche e private. In questo senso lo Stato delle multinazionali agisce davvero con un collegamento organizzativo e un indirizzo politico che è ben più solido dei rapporti economici e di governo”.
L’escalation repressiva ormai agiva a tutto campo, colpendo i militanti e simpatizzanti dei gruppi armati ma anche dei collettivi o delle organizzazioni più di movimento. Gli arrestati ormai sono centinaia. Il meccanismo repressivo si affina introducendo nuove leggi speciali nel 1980 e soprattutto la Legge sui pentiti che consente sconti di pena a chi fa i nomi. Lo scontro, anche sul piano militare, si fa più duro. Sotto i colpi dei gruppi armati cadono magistrati, poliziotti, imprenditori. Muoiono sotto i colpi di polizia e carabinieri anche militanti delle Br come in via Fracchia a Genova.
Nelle carceri speciali la situazione per i detenuti politici si fa pesante. Viene ucciso dalle Br anche un sindacalista Cgil dell’Italsider di Genova, Guido Rossa, che aveva denunciato un altro operaio della fabbrica come militante delle Br. I funerali di Rossa vedono sfilare migliaia e migliaia di operai e il Pci agisce per farli sentire “tutti nel mirino” riducendo il consenso nelle fabbriche ai gruppi armati ma anche cercando di fare il vuoto intorno ai delegati più combattivi o ai comitati operai.
In questo clima si produrranno i blitz e gli arresti di massa (soprattutto a Torino) operati dalla divisione dei carabinieri “Pastrengo” guidata dal generale Dalla Chiesa, ma anche i “61 licenziamenti politici alla Fiat” dell’ottobre 1979, quando alcuni delegati e lavoratori particolarmente combattivi della Fiat, vengono licenziati “politicamente” dall’azienda come segnale anticipatore, intimidatorio e depotenziatore per i 23mila licenziamenti che verranno fatti l’anno successivo: quello dello scontro alla Fiat del 1980, decisivo per le sorti – e l’inizio della sconfitta – della classe operaia italiana dopo le conquiste del decennio precedente.
A marzo del 1981 verrà scoperta dai magistrati la famosa lista della Loggia P2. Tra i 962 iscritti nella lista figurano i nomi di 44 parlamentari, di 12 generali dei Carabinieri, di 5 generali della Guardia di Finanza, di 22 generali dell’Esercito di, 4 dell’Aeronautica militare, 8 ammiragli della Marina Militare, vari magistrati e funzionari pubblici. Nello stesso anno l’allora presidente del consiglio, il democristiano Forlani si rivolge in un discorso pubblico direttamente all’Arma dei Carabinieri affinchè assicurino con ogni mezzo la stabilità politica del paese, un sapore quasi di autogolpe.
Nel documento dell’Opr del luglio 1979, si indicano nel lavoro politico contro la repressione e nell’organizzazione militante della lotta antifascista due presupposti per il confronto con tutte le forze del movimento passando “da momenti di solidarietà e di partecipazione saltuaria alla lotta ad uno sforzo di attivizzazione e di iniziativa sistematica”. Tra questi “la creazione di strumenti di lotta alla repressione che siano interni ai movimenti di massa e sappiano far crescere il movimento su tali questioni evitando di essere sia copertura di iniziative che strategicamente si collocano fuori dalla prospettiva dello scontro che i lavoratori conducono contro lo Stato e i padroni, sia di pura riaffermazione della “legalità democratica”. La lotta contro la repressione per noi è difesa del movimento di classe, delle sue organizzazioni e dei suoi militanti”.
Nonostante un clima sempre più pesante sul piano dell’agibilità politica, l’Opr tramite Radio Proletaria, non rinuncia alla sua attività contro la repressione ma anche contro la crescente “desolidarizzazione”. Radio Proletaria aderisce e partecipa all’attività del Coordinamento nazionale dei Comitati contro la Repressione e de “Il Bollettino”.
I compagni in carcere o attaccati dalla repressione vanno difesi indipendentemente dalla loro storia o posizione politica. Questa sarà una regola di comportamento alla quale l’Opr non verrà mai meno, anche quando lo scontro politico con i gruppi che praticavano la lotta armata sarà netto e manifestato pubblicamente.
Due episodi possono essere ritenuti emblematici del “rispetto” di cui Radio Proletaria/Opr hanno goduto anche in aree politicamente diverse e con le quali si sono manifestate queste divergenze politiche. Quando il blitz della polizia chiude nel 1979 Radio Proletaria e arresta i compagni, in quasi tutte le carceri speciali i prigionieri politici fecero proteste di solidarietà con fermate all’aria o battiture. Quando Radio Proletaria nel 1984 organizzò una delegazione di madri di prigionieri politici a Parigi e Strasburgo a sostegno di uno sciopero della fame nelle carceri che aveva visto contrasti durissimi anche tra le varie aree politiche dei detenuti, quasi tutte le componenti dei rifugiati politici italiani in Francia – nonostante scontri, dissapori e tensioni pre-esistenti – parteciparono all’incontro con la delegazione. Un contributo a quell’evento occorre riconoscerlo a due compagni assai diversi tra loro ma poco inclini al settarismo come Oreste Scalzone e lo scomparso Sergio Spazzali.
Un esempio di questo atteggiamento politico da parte dell’Opr/Radio Proletaria è stata la campagna per la chiusura del carcere/lager dell’Asinara, che verrà realizzata affrontando apertamente un mucchio di “controindicazioni”. La richiesta veniva infatti dai prigionieri politici, in gran parte militanti Br, che per ottenere il risultato sequestrarono un magistrato (che fu poi rilasciato incolume dopo alcune settimane). Il clima era dunque piuttosto pesante. Ma la contraddizione della inumanità dell’Asinara e delle carceri speciali, al di là dei soggetti e delle modalità con cui veniva denunciata, era reale e da quella contraddizione si è mossa Radio Proletaria (insieme alla coraggiosa solitudine di Franca Rame) per promuovere tumultuose assemblee con centinaia di persone e che chiedevano la chiusura dell’Asinara, delle carceri speciali e l’abolizione delle Leggi d’emergenza. Radio Proletaria si doterà anche di un proprio strumento editoriale: il Bollettino Carceri, che riuscirà a pubblicare però solo tre numeri.
Le prime iniziative pubbliche della Lista di Lotta (la lista elettorale dell’Opr, su questo se ne parlerà ampiamente più avanti) nel 1980 e nel 1981 furono proprio dedicate alla battaglia contro le leggi e le carceri speciali. Nel 1982, quando vennero denunciati numerosi episodi di tortura contro gli arrestati (in gran parte militanti Br), Radio Proletaria, insieme ad altre realtà diede vita al Comitato contro l’uso della tortura (che pubblicò un libro bianco di denuncia) affrontando apertamente sia le reazioni degli apparati repressivi che della “politica”, la quale negava spudoratamente l’uso della tortura. Nei primi anni Ottanta sostenne con una campagna gli scioperi della fame dei prigionieri politici nelle carceri contro l’art.90 (una restrizione odiosa nella detenzione), anche affrontando un duro scontro con coloro che erano contrari a quella forma di lotta. Nel 1984 riuscì a portare la questione dell’art.90 e dello sciopero della fame al parlamento e alla commissione diritti umani di Strasburgo insieme ad alcuni familiari di prigionieri politici, rompendo finalmente il muro di silenzio sulla vicenda. Per tutto un periodo Radio Proletaria produrrà un proprio Bollettino Carceri e sarà attiva nel Coordinamento nazionale dei Comitati contro la repressione, un organismo al quale aderivano decine di comitati e collettivi in tutto il paese con posizioni estremamente diverse tra loro. Una esperienza tutta in controtendenza rispetto alla crescente desolidarizzazione che doveva produrre isolamento intorno ai prigionieri politici.
La desolidarizzazione non si realizzava solo attraverso la paura della repressione (il favoreggiamento era diventato partecipazione a banda armata tanto per intendersi), ma anche attraverso un progetto politico/giudiziario/ideologico che si rivelò efficace almeno quanto la legge sui pentiti: la dissociazione.
Magistrati, carabinieri, esponenti politici del Pci o della “sinistra” non chiedevano più o non solo i nomi dei militanti da arrestare utilizzando a piene mani la Legge sui pentiti, ma chiedevano ai militanti in carcere di prendere le distanze, politicamente e pubblicamente dalla violenza e dalla propria storia. Nelle carceri questo progetto creerà fratture, tensioni, scontri e divisioni devastanti. Ma è un progetto che avrà i suoi effetti politicamente letali anche all’esterno, agevolato da giornali come Lotta Continua (ormai in mano al gruppo di ex LC più legato al Psi di Craxi), alimentando il trasformismo che ha visto tanti “ex” passare ideologicamente armi e bagagli al nemico di classe e seminare a piene mani l’anticomunismo “di sinistra”. La lotta contro la dissociazione, per Radio Proletaria e l’Opr, fu dunque una battaglia politica e culturale piuttosto anticipatrice contro la devastazione ideologica dentro i movimenti, i sindacati e la sinistra nel nostro paese.
Su questo Radio Proletaria conduce anche una battaglia ideologica durissima verso Toni Negri e le posizioni di molti detenuti legati all’Autonomia Operaia arrestati nei blitz del 7 aprile e del 21 dicembre 1979. Il Bollettino Carceri e Repressione di Radio Proletaria così riassume le proprie critiche: “Due sono gli aspetti che ci appaiono più evidenti delle posizioni di Negri di questi mesi. Uno, il più indigesto sul piano politico e morale è la decisione, cosciente, di contribuire ad alimentare la tendenza alla desolidarizzazione e alla campagna di discredito contro il movimento rivoluzionario che travalica abbondantemente la critica alle BR, mantenendo tra l’altro un rapporto politico interlocutorio con la magistratura di cui la lettera comparsa su Panorama (lettera diretta al magistrato Sica che conduceva le indagini, ndr) è stato l’episodio più drammaticamente evidente. Il secondo presenta le caratteristiche di una vera e propria revisione teorica dello scontro di classe.
In uno scritto sulle lotte sociali in Nord Europa apparso su Metropoli n.6 e nella lettera pubblicata da Il Mattino di Padova, Negri esaspera il soggettivismo e l’autovalorizzazione prendendo spunto dalla socialità (in ampie quote consentita e ghettizzata) che si sviluppa nelle case occupate di Berlino, Amsterdam o Zurigo per affermare che finalmente ci siamo: il nuovo soggetto sociale e i suoi bisogni si sono realizzati nelle città d’Europa dei paesi più industrializzati”.
Radio Proletaria e l’Opr hanno sostenuto in quegli anni la proposta dell’amnistia per i detenuti politici come unica soluzione politica accettabile e percorribile, ossia un atto e un riconoscimento politico del conflitto di classe e dei suoi soggetti. Una posizione questa che è stata però ampiamente minoritaria, sia per il velleitarismo di molti prigionieri politici e settori di movimento, sia perché la sola soluzione politica che veniva veicolata “a sinistra” (e dallo Stato) era quella, inaccettabile, della dissociazione.
La lotta contro la repressione e la dissociazione è stata una parte decisiva della storia e della visione politica dell’Opr che anche su questo terreno apre ai primi contatti sul piano nazionale con altri compagni.