L’impropria fama di “filosovietici”
da “Una Storia anomala” primo volume
L’altro fronte che ha visto Radio Proletaria agire come espressione politica dell’Opr, è stato l’internazionalismo. Questo è un aspetto importante perché per anni l’Opr ha dovuto convivere con la definizione di “filosovietici”, una definizione che ancora oggi è da ritenersi impropria.
Dalla sua nascita l’Opr si era limitata alla partecipazione attiva nelle manifestazioni internazionaliste della sinistra rivoluzionaria, quelle contro il franchismo in Spagna e per la Palestina, fu decisiva nelle manifestazioni e gli scontri contro l’assassinio dei prigionieri della Raf nel carcere di Stammehim in Germania, forzando l’uscita del corteo dall’università assediata dalla polizia. Ma è solo alla fine degli anni Settanta che, attraverso le trasmissioni e alcune prime elaborazioni, comincia a delineare una propria linea politica. Nel documento interno del gennaio 1979 a proposito della situazione internazionale, si indicava “l’acutizzarsi delle contraddizioni tra Usa e Urss nel tentativo di modificare continuamente le zone di influenza”. Questo da una parte porta al “rafforzamento del ruolo di gendarme mondiale da parte degli Usa e dall’altra la necessità per l’Urss di appoggiare una serie di movimenti rivoluzionari che destabilizzano l’area controllata dagli americani. Anche se il ruolo dell’Urss rispetto ai movimenti rivoluzionari è tutt’altro che lineare, non vi è dubbio che essi in molti casi traggano vantaggio dall’accentuarsi del conflitto sovietico-americano e in questo senso l’azione dell’Unione Sovietica a livello mondiale acquista un significato diverso da quello simboleggiato con l’invasione della Cecoslovacchia”.
Ed ancora, analizzando il ruolo di Cina ed Europa, l’Opr scrive che “anche se con riferimenti diversi, rompono la logica dei due blocchi e moltiplicano i poli di iniziativa mondiale”. Sul corso post maoista di Pechino, l’Opr scrive che “La Cina punta a diventare una potenza a livello mondiale, il discorso sulle quattro modernizzazioni non è altro che il tentativo di creare le basi per tale sbocco a livello internazionale. Che cosa ci sia di rivoluzionario in tale prospettiva è difficile dirlo”.
Sul ruolo dell’Europa, l’Opr sostiene a gennaio del 1979 che “l’obiettivo degli “europeisti” è quello di collocarsi in una dimensione imperialista autonoma dagli Stati Uniti dopo il vassallaggio degli anni ‘50 e ‘60. In sostanza si tratta di un riequilibrio dei rapporti di forza interimperialistici”.
Già nel 1979 dunque si individua il polo imperialista europeo – ancora potenziale – come tendenza destinata a rafforzarsi, anche se ancora manifestata solamente attraverso una ambizione verso quell’obiettivo. Lo scenario individuato è quello di una crescente tendenza allo scontro interimperialista.
In fondo l’Opr è stata una organizzazione che si ispirava alla Cina di Mao più che all’Urss. Con la morte di Mao Tse Tung e l’avvento di Deng Xiao Ping e del nuovo corso cinese l’Opr si riconosce più nei “quattro di Shangai” (dirigenti maoisti che si oppongono alle “riforme” di Deng e che vengono arrestati e processati). L’antimperialismo dell’Opr si fonda sul sostegno ai movimenti di liberazione che dal 1975 in poi avevano trionfato in Angola, Mozambico e nel 1979 in Nicaragua. Dà un giudizio positivo sulla prima fase della rivoluzione islamica in Iran nel 1979 – la fase antimperialista – sostenendo le tesi della maggioranza dei Feddayn del Popolo iraniani (che su questo si divisero aspramente). Nello scontro tra Vietnam e Kmer rossi nel 1978 (che porterà all’invasione vietnamita della Cambogia) si schiera con il Vietnam e lo stesso farà nello scontro tra Vietnam e Cina nel 1979. All’epoca chi si schierava con il Vietnam veniva liquidato come “filosovietico”. Ma lo snodo vero avviene intorno all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre 1979. Tutti – dalla destra alla sinistra – si schierano contro l’invasione, l’Opr invece darà un giudizio più articolato sulla base del contesto internazionale e del ruolo “oggettivo” dell’Urss indicato nel documento del gennaio 1979.
In primo luogo nel 1979 c’erano stati fatti rilevanti. Il secondo shock petrolifero seguito alla caduta dello Scià in Iran e alla rivoluzione islamica. Uno dei maggiori alleati dell’imperialismo Usa in Medio Oriente e dei maggiori produttori di petrolio non era più a disposizione dell’imperialismo statunitense. La crisi economica del 1973 si riproduceva a sei anni di distanza come crisi globale del sistema capitalista. I paesi del socialismo reale, coordinati nel Comecon (una organizzazione economica dove non vigevano i prezzi di mercato), essendo fuori dal mercato capitalistico si mostravano indenni ai suoi fattori di crisi. I sandinisti a luglio del 1979 entravano a Managua realizzando la seconda rivoluzione, venti anni dopo Cuba, nel cortile di casa degli Usa. La sensazione che si andava diffondendo era quella di una sconfitta epocale dell’economia capitalista e dell’imperialismo egemone, quello statunitense. In tale contesto, l’invasione sovietica dell’Afghanistan significava in qualche modo “bastonare il cane che affoga”, tant’è che fu salutata positivamente da tutte le forze antimperialiste in Medio Oriente, a partire dai palestinesi, perché indicava una attivizzazione e un interesse dell’Urss in una regione da cui si era ritirata da molti anni.
L’Opr, tramite Radio Proletaria, aveva anche cominciato un lavoro di analisi delle controtendenze messa in campo dall’imperialismo a seguito della crisi del ‘73, a partire dai documenti della Commissione Trilaterale della metà degli anni Settanta. Quando l’amministrazione Usa (presidenza Carter) a fine 1979 vara la direttiva nr.39 che prevede l’installazione dei missili nucleari Cruise e Pershing in Europa (Italia, Germania, Belgio etc.), intuisce che ci si avvia ad uno scontro globale con l’Urss, quella che sarà la Seconda Guerra fredda sul piano politico/militare e l’offensiva liberista sul piano economico. L’Urss non aveva alcun interesse a riaprire lo scontro a questi livelli, soprattutto perché immaginava che la crisi stesse indebolendo gli Usa e il blocco imperialista dall’interno. Un errore di valutazione di cui oggi sono visibili le conseguenze. Un errore che si manifesta già chiaramente con la crisi in Polonia nel 1980 e con i movimenti sociali antisovietici che portarono alla nascita del sindacato/movimento Solidarnosc (sostenuto ovviamente e ufficialmente dagli Usa, dal Vaticano, dalle potenze occidentali ma anche da settori della sinistra europea, anche radicale).
Qualche ripercussione si avverte anche nell’Opr. Sull’analisi dei problemi internazionali – oltre ovviamente su questioni di relazioni interne – alcuni compagni usciranno dall’organizzazione. Per alcune settimane a Roma circolerà un opuscolo firmato “I compagni di Ostia usciti dall’Opr”.
Proprio le contraddizioni che esplodono in Polonia e poi in Jugoslavia, vedono l’Opr tramite Radio Proletaria e il Bollettino di lotta antimperialista, sviluppare una analisi sulla tendenza emersa in alcuni paesi del socialismo reale ad abbassare la guardia nelle relazioni con il capitalismo del mondo occidentale. Sia la Polonia che la Jugoslavia (questa seconda esterna da decenni al Patto di Varsavia e in rotta con l’Urss) avevano acceso crediti presso il Fmi che poi era passato all’incasso. L’aver accettato i crediti internazionali, vide i due governi “socialisti” ricorrere a misure di austerità che incontrarono le reazioni degli operai delle fabbriche. Chiedere sacrifici in società costruiti su parametri ispirati alla produzione socialista e con un apparato dirigente sempre meno credibile sul piano politico e logorato sul piano ideologico, creò una contraddizione sulla quale l’imperialismo potè agire con efficacia.
Radio Proletaria realizza per dare corpo al lavoro internazionalista una propria pubblicazione, il Bollettino di lotta antimperialista, che farà quattro numeri andati esauriti anche per la qualità dei materiali pubblicati. Le due interviste dello scomparso economista marxista Riccardo Parboni alla radio e al bollettino antimperialista, rappresentarono allora e rappresentano tutt’oggi una documentazione tra le più interessanti per comprendere i prodromi della crisi del socialismo reale che portarono poi alla dissoluzione dell’Urss nel decennio successivo.
Il numero zero del bollettino porta con sé un ricordo tragico. Era prevista infatti una intervista con il dirigente dell’Olp Majed Abu Sharar in visita a Roma, ma proprio il giorno in cui era fissato l’appuntamento, Abu Sharar veniva ucciso da una bomba del Mossad all’Hotel Flora di Roma.
Era il 1981 ed era il secondo omicidio del Mossad nella capitale contro dirigenti palestinesi (il primo fu quello di Wael Zwaiter nel 1973. Altri due dirigenti dell’Olp (Hussein Kamal e Nazih Matar) furono uccisi a Roma nel 1982. La solidarietà con la resistenza del popolo palestinese ha dunque radici solide e antiche nella storia dell’Opr.
Il Bollettino di lotta antimperialista e le trasmissioni di Radio Proletaria, seguono le vicende della corsa al riarmo scatenata dagli Stati Uniti, ma cominciano a seguire con maggiore attenzione anche lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari in Centro America e in America Latina dopo la vittoria del Nicaragua, in particolare nel Salvador. La lotta nel cortile di casa dell’imperialismo Usa ha indubbiamente un carattere di grande interesse, anche alla luce dell’esperienza rivoluzionaria di Cuba. Nel 1981 Radio Proletaria organizza la prima manifestazione di solidarietà con la lotta del Salvador alla quale partecipano migliaia di persone, e questo nonostante le tensioni in piazza con l’Autonomia Operaia che aveva accusato per settimane la manifestazione di essere organizzata dai “filosovietici”. La riuscita della manifestazione impedì in piazza ogni degenerazione. L’Opr crea in quegli anni i presupposti per rapporti consolidati con il FMLN del Salvador e con Cuba. Non altrettanto venne fatto con il Fronte Sandinista del Nicaragua, del quale non sfuggivano certe aperture e le ingerenze della socialdemocrazia europea.
Inizia così una fase di intenso lavoro internazionalista contro quelli che Radio Proletaria/Opr definiscono come “i preparativi di guerra dell’imperialismo”. Ci sono le prima manifestazioni in Europa contro l’installazione degli euromissili Usa, ma in Italia il “movimento per la pace” si guarda bene dal chiedere l’uscita dalla Nato e l’allontanamento delle basi Usa e Nato dal territorio. Il PCI infatti da anni non chiedeva più l’uscita dalla Nato, una posizione questa rivelatasi decisiva per realizzare il compromesso storico e candidarsi agli occhi di Washinton per il governo di unità nazionale.
Dentro il movimento per la pace Radio Proletaria cerca dunque di consolidare l’area più antimperialista e anti Nato, partecipa attivamente ai blocchi e al campeggio contro la base di Comiso dove verranno installati i missili Usa e avvia su questo un progetto nazionale che porterà alla costituzione della rete “Imac ‘83” (che prende il nome dall’International Meeting Against Cruise che era il campeggio di Comiso). I rapporti si consolidano soprattutto con i compagni dei Comitati Popolari per la pace del Veneto dove il movimento era particolarmente diffuso e popolare.
Sono questi quindi i motivi per cui l’Opr/Radio Proletaria vengono indicati come i “filosovietici”, una etichetta strumentale e decisamente sballata, anche perché non vi era alcun rapporto tra l’Opr con l’Unione Sovietica. “L’oro di Mosca” dalle parti dell’Opr (purtroppo, potremmo dire, perché sarebbe stato molto utile) non è mai arrivato. E su questo va scritta ormai una verità definitiva che taglia la lingua a tutti i detrattori.
Da questo contesto, caratterizzato dalle questioni della pace e dell’internazionalismo e dalla crisi del Pci, emergerà il primo tentativo dell’Opr (che ormai non utilizza più questa sigla dal 1979) di costruire un primo vero progetto politico nazionale: il Movimento per la Pace e il Socialismo. Ma di questo si parlerà più avanti.