da “Una Storia anomala” primo volume
La ricostruzione storica e politica dell’esperienza dell’Organizzazione Proletaria Romana, richiede una serie di considerazioni finali che la sottraggano alla tentazione dello storytelling e la consegnino all’attualità del dibattito e del lavoro su una ipotesi comunista e rivoluzionaria nel XXI Secolo. Per dirla con Eduardo Galeano “avere gli occhi anche sulla nuca” e dunque saper guardare al passato, può essere decisivo anche per guardare in avanti.
La metà degli anni ’70 sono stati per il movimento della Sinistra Rivoluzionaria nel nostro paese un momento di passaggio, periodo in cui si andavano accumulando una serie di nodi irrisolti negli anni precedenti, che pure avevano visto un conflitto inedito per l’Italia del secondo dopo guerra, ed in un contesto di sostanziale riflusso politico verso il Partito Comunista italiano. Riflusso non solo politico ma anche di classe in quanto i processi di ristrutturazione produttiva nelle grandi fabbriche, a iniziare dalla FIAT, cominciavano a far sentire i propri effetti sulla condizione operaia. Da quella “impasse” strategica i gruppi extraparlamentari cominciarono ad entrare in crisi ed a disgregarsi e si moltiplicarono ipotesi politico/ organizzative molto diverse che in qualche modo prefiguravano già quella polverizzazione che si è poi manifestata nel corso dei decenni successivi e che ha riconsegnato al riformismo nostrano già all’epoca quella egemonia che era stata rimessa in discussione con il “biennio rosso” del ‘68 e ’69.
Proprio a metà di quel decennio, nel Settembre del 1975, viene fondata l’Organizzazione Proletaria Romana che prendendo atto del riflusso in corso (nel 1975 e nel 1976 ci sono state le più forti affermazioni elettorali del PCI berlingueriano), tentava di ripartire certamente da un livello più arretrato (la dimensione locale) ma ponendo al centro la questione del rapporto con la classe operaia e con il proletariato, concreto, reale, che esisteva nella città di Roma.
Il progetto aveva naturalmente una aspirazione nazionale ma questa prospettiva sarebbe stata possibile solo dentro una crescita autonoma del movimento operaio, così come si era caratterizzato nei primi anni ‘70.
Non a caso i promotori della costituzione dell’OPR erano comunisti che avevano rotto con l’evoluzione riformista del PCI, che si riconoscevano nel movimento rivoluzionario internazionale di quegli anni, dal Vietnam all’America Latina passando per la Cina della rivoluzione culturale, ma che avevano per scelta costruito le proprie basi materiali dentro l’intervento operaio nelle fabbriche romane e nei quartieri proletari, andando oltre il solo intervento politico ed ideologico che allora caratterizzava i gruppi rivoluzionari.
I comitati operai metalmeccanici costituiti all’Autovox, alla Voxon, all’IME, il comitato delle cooperative di facchinaggio dell’INPS, i primi nuclei nei Vigili del Fuoco, il Comitato Proletario per la Casa, i comitati costruiti nella periferia cittadina per le autoriduzioni delle bollette SIP (telefoni), ACEA ed ENEL, le lotte per i prezzi politici degli alimentari per i settori popolari, i Disoccupati Organizzati di Roma sono state le gambe sulle quali è iniziata una esperienza comunista ma che intendeva mettere al centro il rapporto con la classe. Esperienza che con la nascita di Radio Proletaria nel ‘78 e con l’intervento diretto nel movimento del ‘77 intendeva proporsi anche come ipotesi generale, di carattere rivoluzionario ma avendo i piedi organicamente piantati nella realtà di classe.
Riprendere quella storia, ricostruirla e darle un significato politico e teorico anche in funzione della fase attuale non è certo una operazione facile, in quanto sia in termini cronologici – sono passati 40 anni – sia in termini storico-politici, la distanza è siderale. Si tratta infatti di ricostruire un percorso politico-pratico che ha dovuto affrontare la crisi del movimento comunista nei primi anni ’90, ma anche di contestualizzarlo alla crisi che si sta manifestando ora che, a sua volta, è divergente con quella precedente in quanto manifesta proprio la crisi dell’assetto internazionale raggiunto nell’ultimo ventennio.
La necessità di riprendere, cogliendone sia gli aspetti positivi che i limiti, quel percorso, di motivarlo e tentare di spiegarlo a chi non lo conosce oppure lo ha criticato, nasce dal fatto che una parte consistente di quel gruppo di compagne e compagni che hanno dato vita a quella esperienza agisce ancora nella realtà della sinistra di classe nel nostro paese.
Mantiene ancora un ruolo attivo ed ha tenuto con continuità quel “filo rosso” pur nelle modifiche oggettive, soggettive e di forma che sono intervenute nello scorrere degli anni. Fare un bilancio di questa esperienza soprattutto in un momento in cui si apre una nuova fase piena di contraddizioni internazionali, di classe, culturali ed ideologiche sapendone individuare i “nuclei duri” che hanno tenuto nel tempo, forse non è per tutti oggettivamente necessaria ma è sicuramente utile per chi vuole affrontare questa nuova fase con la stessa determinazione con cui sono stati affrontati i passaggi precedenti, magari con un bagaglio di esperienza ben maggiore e con una visione più obiettiva, distaccata e storicizzata della realtà in evoluzione.
Quello che si è inteso realizzare con questo lavoro di ricostruzione analitica, storica e politica, è un tentativo di individuazione e descrizione di quei contenuti strategici e teorici che negli anni ’70 avevano una determinata forma di espressione, una forma prodotta dai precedenti cicli della lotta di classe in Italia ed a livello internazionale, cicli che nei decenni successivi sembravano essere scomparsi dietro l’orizzonte della “fine della storia”.
Ora, di fronte al riemergere delle contraddizioni di fondo del moderno imperialismo, questi contenuti si ripropongono dinamicamente modificati in modalità non “ortodosse” ma in relazione alla evoluzione della situazione generale e del livello di sviluppo raggiunto dal capitalismo.