da “Una Storia anomala” primo volume
La presa di distanze dal movimentismo e l’affermazione della centralità degli interessi, della condizione e dell’organizzazione di classe nello scontro politico, fanno emergere la necessità di un proprio strumento di comunicazione di massa che non poteva essere svolto dal Foglio di Lotta (il giornale dell’Opr) o dai volantini. Alla fine del 1977 si cominciano a fare i primi esperimenti per aprire una propria radio.
C’erano già altre radio di movimento come Radio città Futura (legata alla “destra” del movimento, a Democrazia Proletaria e alla Flm) e Radio Onda Rossa espressione dell’Autonomia Operaia.
A febbraio del 1978 inizierà le trasmissioni la radio dell’Opr che non poteva che chiamarsi “Radio Proletaria”, la frequenza saranno gli 88,9 mhz.
Radio Proletaria ha i suoi studi nelle soffitte di un palazzo ottenuto con l’occupazione delle case del 1974 nel quartiere di Casalbruciato, le soffitte verranno messe a disposizione da alcune delle famiglie e dei compagni che vivono nel palazzo. “Radio Proletaria. Un contributo alla costruzione del movimento di classe” recita il primo manifesto stampato dalla radio.
Radio Proletaria, almeno nella fase iniziale è una radio di propaganda e di controinformazione. Parla delle lotte sociali e operaie in corso, commenta – interpretandoli – i fatti politici e dedica molta attenzione all’internazionalismo. I toni verso il Pci sono duri e il dibattito con gli ascoltatori che chiamano in diretta è spesso asprissimo. Radio Proletaria nasce anche in rapporto con molti giovani proletari della Tiburtina, spesso con una spiccata sensibilità alla buona musica piuttosto che alle lotte. Questo connubio tra i Doors e le lotte sociali, che ha raggiunto in molti casi livelli di qualità indiscutibili e decisamente fuori dal comune, è continuato negli anni.
Nel documento interno del gennaio 1979, l’Opr ritiene che “la situazione odierna ha posto in essere le condizioni e la necessità di creare una forza politica che sappia dare risposte più complesse e corrette allo sviluppo degli avvenimenti, aldilà di quelle che sono le espressioni “di movimento” di tale realtà o le teorizzazioni di una autonomia senza capacità di organizzazione e di strategia”. Dentro l’organizzazione si pone dunque il problema di come rispondere ad una sfida politica a tutto campo. “Una prima risposta l’abbiamo data con la costruzione di Radio Proletaria… come strumento di orientamento politico in una situazione in sviluppo, di aggregazione di forze, di introduzione di tematiche di classe”. Da un primo bilancio viene riaffermata “una prospettiva di intervento politico che ha nella radio un suo cardine essenziale”.
Ma solo poche settimane dopo l’inizio delle trasmissioni, Radio Proletaria deve fare i conti con un evento politico decisamente rilevante: il sequestro di Aldo Moro nel marzo del 1978. Dunque con il salto di qualità della lotta armata in Italia da parte delle Brigate Rosse soprattutto, che pure anche durante il ’77 avevano realizzato numerosi ferimenti e uccisioni di esponenti politici o economici dello Stato e della Dc.
L’Opr non ha mai condiviso la posizione “né con lo Stato né con le Br” ad esempio espressa da Democrazia Proletaria, ritenendola inaccettabile. Lo Stato è il nemico da abbattere e dunque non può esserci equidistanza. Ma l’Opr pur accettando il ricorso alla forza – ad esempio contro i fascisti o nelle manifestazioni di piazza – non ha condiviso la scelta della lotta armata che pure ha investito centinaia di militanti della sinistra rivoluzionaria, con molti dei quali negli anni precedenti si erano condivisi pezzi di percorso, soprattutto nei quartieri e nei posti di lavoro.
Sia nelle trasmissioni di Radio Proletaria sia nelle assemblee, l’Opr ribadirà queste posizioni senza concedere niente sul piano politico. Lo Stato resta il nemico da abbattere ma secondo l’Opr la strategia armata non ha, nella fase storica in corso – dunque la fine degli anni Settanta – possibilità di successo, soprattutto perché dentro la classe non si intravede una spinta o una coscienza insurrezionale, anzi si intravvedono i sintomi della destrutturazione capitalista e gli effetti della collaborazione del Pci e del sindacato alla logica di sacrifici. Il rischio indicato è quello dell’avventurismo.
A maggio, quando verrà ritrovato il cadavere di Moro, l’Opr distribuirà un volantino nelle fabbriche dove è presente, contro la decisione di uccidere Moro.
Nel documento del gennaio 1979, l’Opr si pone apertamente il problema di “fare i conti con le posizioni dei vari gruppi clandestini armati che hanno posto con le loro azioni il problema di fronte al movimento operaio”.
Nel documento si ricorda che “già in occasione del rapimento e l’uccisione di Moro abbiamo preso posizione sulle BR anche se la nostra posizione si riferiva ad un singolo episodio”. Ma l’Opr si pone il problema di esprimere anche una posizione più completa e articolata: “La fase che stiamo attraversando dal ‘68 a oggi è una fase di rottura teorica e pratica con il riformismo da parte delle masse all’interno di una crisi che ha investito i vecchi equilibri di potere degli anni ‘50 ma che non ha caratteristiche tali da porre all’ordine del giorno la lotta armata”. In secondo luogo “a livello teorico va riaffermata la validità di un principio marxista basilare e della sua esperienza storica e cioè che non è possibile porre concretamente il problema della lotta armata se non nel momento in cui le contraddizioni oggettive e lo sviluppo della coscienza di classe permettano effettivamente di porre in termini strategici il problema del potere. Al di fuori di questo contesto la lotta armata finisce per diventare subalterna ai processi politici come è avvenuto in quelle situazioni dove, appunto, è stata posta in modo sbagliato. Se in Italia in questi anni sono sopravvissute o addirittura proliferate organizzazioni armate, ciò è dovuto da una parte a contraddizioni (o strumentalizzazioni) della classe dominante che non può (o in taluni casi non vuole) una resa dei conti con i gruppi clandestini. Dall’altra l’esistenza di uno strato sociale piccolo borghese che vede la lotta armata come riferimento centrale, al di là di una valutazione corretta e di una verifica dei processi reali. Non è un caso che il maggior sviluppo delle organizzazioni clandestine si è avuto in coincidenza con il movimento del ‘77 le cui caratteristiche sono note e, tra noi, già ampiamente dibattute”.
In un altro passaggio il documento dell’Opr chiarisce ulteriormente questo aspetto: “Quindi anche se noi dobbiamo recuperare tutto il bagaglio teorico della lotta rivoluzionaria e saper costruire nella pratica una organizzazione che sappia porsi il problema del potere in termini rivoluzionari (di cui la lotta armata è un cardine), dobbiamo sapere individuare in questa fase il carattere “astratto” (anche nella sua drammatica concretezza) della scelta delle BR, le quali si sono assunte una responsabilità così grave senza nessun presupposto storico che motivasse tali scelte. Anche se dobbiamo tener ferma la distinzione tra colpisce e chi viene colpito, non possiamo che ricondurre il nostro giudizio su basi politiche, affermando che la scelta della lotta armata esemplare fa arretrare i livelli di organizzazione di classe e non produce ancora tutte le conseguenze negative solo perché i rapporti di forza complessivi e le contraddizioni del potere non lo rendono possibile”.