da “Una Storia anomala” primo volume
Se per costruire il rapporto organico con la classe bisogna partire non solo dalle condizioni specifiche di questa ma da una capacità generale che non può che venire da un progetto politico è importante evidenziare che quest’ultimo non è possibile se non viene sostenuto a sua volta da una elaborazione teorica adeguata, da una visione generale delle dinamiche strutturali del capitalismo e del suo odierno livello di sviluppo; questo è stato nel tempo uno dei terreni principali di impegno della struttura nata con l’OPR.
1 Nel bipolarismo USA-URSS; si può dire che le vicende del ’91 con la crisi dell’URSS sono state lo spartiacque di due diversi, ma non divaricanti, piani di analisi e di elaborazioni. La prima fase era inevitabilmente condizionata dal bipolarismo USA-URSS e dalle lotte di liberazione che ancora facevano sentire il proprio peso a livello internazionale soprattutto dopo la vittoria del Vietnam nel ‘75.
L’attività di analisi, documentazione, elaborazione era caratterizzata dall’impegno antimperialista che all’epoca significava lotta all’imperialismo USA, che era in profonda crisi e sembrava quasi che fos- se sul punto di collassare. La Palestina in Medio Oriente, le lotte di liberazione nell’America Centrale e la lotta contro i colpi di stato nell’America Latina, le lotte di liberazione in Africa erano i riferimenti che portavano a ragionare sulle possibilità di affermazione di una dimensione rivoluzionaria inedita a livello mondiale.
Mentre il giudizio che veniva dato sia sull’URSS che sulla Cina nel momento di costituzione dell’OPR era sostanzialmente critico. Sulla prima perché erano evidenti i limiti di quella esperienza di costruzione del socialismo, esperienza comunque fondamentale per il ‘900, sia sul piano interno che sulla moderazione che veniva adottata nelle relazioni internazionali e con l’imperialismo USA. Sulla seconda perché alla liquidazione della rivoluzione culturale ed alla morte di Mao erano succeduti prima Hua Kuo Feng e poi Deng Tsiao Ping che prospettavano una inversione di tendenza rispetto alle scelte rivoluzionarie fatte in precedenza.
A questa fase di ascesa del movimento rivoluzionario, da ricordare anche la rivoluzione in Iran sotto la guida di Khomeyni e la seconda crisi energetica, si è contrapposta la controffensiva della presidenza Reagan che non si presentava solo come reazione al ruolo dell’URSS ma come reazione a tutto il movimento operaio, rivoluzionario e anticoloniale che aveva messo alle corde la capacità egemonica degli USA. L’elemento di svolta su questo furono i venti di guerra che dai primi anni ’80 cominciarono a soffiare sull’Europa dove lo scontro nucleare tra le superpotenze sembrava prossimo. Di fronte a questa precipitazione della situazione internazionale, ricominciarono anche gli interventi militari diretti degli USA con l’invasione dell’isola di Grenada alleata con Cuba nei Caraibi, si pose nettamente il problema dello schieramento dentro questo conflitto. La sinistra italiana, con il PCI in prima fila, prese al solito posizioni ambigue ed antagoniste nei confronti dell’URSS. Per quanto riguardava l’area politica dell’OPR, trasformatasi nel frattempo in “Movimento per la Pace ed il Socialismo” il problema era molto chiaramente di individuare il nemico principale che sembrava fosse evidente essere gli USA piuttosto che l’URSS. Di fronte alla drammatica situazione internazionale ora forse le cose sono più chiare anche a chi all’epoca fece scelte diverse.
L’attività di analisi e di elaborazione sviluppata non poteva che essere legata a questo contesto internazionale cercando di interpretare le possibilità di tenuta dei movimenti rivoluzionari, dei paesi socialisti e le capacità di ripresa del capitalismo. Su questo è stato prodotto un ampio materiale sia stampato sulla rivista “Lotta per la Pace ed il Socialismo” che tramite Radio Proletaria nella città di Roma. Il limite di questa elaborazione è stato però quello di tutto il resto della sinistra ovvero di non riuscire a storicizzare i processi in atto, di perdersi troppo nella polemica politica ed infine di non capire cosa stava effettivamente maturando sia nel campo socialista che nelle possibilità di un capitalismo aggressivo ed a sua volta “rivoluzionario”. Si è rimasti chiusi nella gabbia di una concezione sostanzialmente tutta politica e senza capacità di sviluppare un reale approfondimento teorico; forse non era possibile rompere in quelle condizioni quella gabbia ma è certo che ciò produsse danni soprattutto sul piano della coscienza dei problemi che maturavano di fronte all’incremento del conflitto di classe internazionale e dunque sulla soggettività politica.
2 Con la globalizzazione; lo sconquasso che venne dalla fine dell’URSS fece vittime molto più illustri quali lo stesso PCI ma ebbe anche un effetto dirompente sull’organizzazione aprendo una crisi durata due anni e che si manifestava in contemporanea alla nascita del PRC, che diveniva obiettivamente un polo di riferimento incontrastabile. Lo stare dalla parte del perdente cioè l’URSS, la crisi politica dell’organizzazione e la nascita di un partito comunista che tale si dichiarava ha portato ad un ridimensionamento inevitabile in cui si è riusciti a salvaguardare i punti di tenuta sociale e sindacale ma ha costretto ad una modifica dell’agire politico. Infatti dal ‘93 si è aperta una fase di profonda riflessione in cui si è scelto di dare priorità alla qualità dell’attività ovvero di avviare una fase di lavoro analitico e teorico che permettesse soprattutto di avere un quadro credibile della situazione che si andava determinando in quel periodo.
L’attività di elaborazione teorica ha assunto a quel punto un ruolo centrale anche per dare una prospettiva al lavoro di classe che comunque si manteneva e paradossalmente si rafforzava. pure su questo però è stato adottata una linea di ricerca sostanzialmente diversa da quella che all’epoca andava per la maggiore ovvero quella ricerca degli errori fatti che avevano portato alla sconfitta epocale. Forse in modo non del tutto razionale di fronte al disarmo ideologico generale, e di fronte alla convinzione che il prezzo che si sarebbe pagato in futuro per questo disarmo sarebbe stato molto salato, una rivisitazione del pensiero e dell’azione del movimento comunista doveva partire dai momenti alti, cioè dai momenti in cui il movimento comunista si era affermato capendone le condizioni oggettive e le scelte soggettive fatte che avevano portato all’apertura di una fase rivoluzionaria a livello mondiale. Nel giudizio da dare sulle esperienze socialiste del ‘900 sconfitte nello scontro con l’occidente naturalmente andavano, e vanno ancora, sottoposte ad un’analisi storica seriamente critica ma partendo dal principio che non si poteva gettare il bambino con l’acqua sporca.
Il recupero del testo di Lenin sull’imperialismo è stato fondamentale in quanto ha rotto gli schemi su cui negli anni precedenti si erano formati tutti i militanti politici. Infatti parlare di imperialismi e non di imperialismo, di competizione interimperialistica in un mondo ormai ad egemonia unica americana forniva una chiave di lettura degli scenari che si andavano invece sviluppando nei primi anni ’90 quando a fianco degli USA emergevano sia il protagonismo rampante della grande Germania unificata che quello del Giappone che in quel periodo tentò di ritrovare una propria prospettiva autonoma dopo la seconda guerra mondiale. Questa stessa chiave di lettura è servita per interpretare correttamente l’accelerazione del processo di unificazione Europea avuto con il trattato di Maastricht nel ‘92 che non era una nuova frontiera della democrazia, come veniva spacciato dai gruppi dominanti, ma la costituzione di un nuovo polo imperialista competitivo che intendeva far valere le proprie ragioni in una dimensione mondiale che costringeva gli Stati dell’Europa occidentale ad andare oltre la loro costituzione nazionale.
A partire da quel “bandolo della matassa” si è portata avanti una analisi della competizione globale che cominciava ad emergere sempre più chiaramente, degli effetti di questa sulle strutture produttive dei paesi imperialisti e delle periferie produttive, ad iniziare dalla Cina e dai paesi dell’est Europa, della modifica della composizione di classe all’interno dell’Europa e dell’Italia e dunque degli effetti sociali. Si è cominciato anche a ragionare sul versante della soggettività politica e di classe riconoscendo che queste andavano modulate sulle trasformazioni sociali in atto e che i comunisti potevano ritrovare una propria funzione solo partendo dalla trasformazione in atto nella classe e delle nuove forme “proletarie” che caratterizzavano il nostro paese. In base a queste valutazioni è stata elaborata anche l’ipotesi dei tre fronti avvero della ricostruzione di un conflitto che tenesse conto, in modo separato ed in rapporto dialettico, dello scontro teorico e strategico, di quello politico e di quello più direttamente di classe. Infine si è tentato di riutilizzare la cassetta degli attrezzi di Marx, dalla legge del valore alla caduta tendenziale del saggio di profitto alla rilettura del Capitale, per inquadrare il livello raggiunto dallo sviluppo capitalista conformando la scienza e la tecnologia alle proprie esigenze produttive e di profitto.
Gli anni ’90 da questo punto di vista sono stati enormemente produttivi ed hanno permesso di ritrovare dei riferimenti strategici ma anche di orientare il lavoro sociale, sindacale, politico in modo tale da tenere conto sia delle condizioni e delle contraddizioni emergenti ma anche dei tempi affinché tali contraddizioni emergessero. Anche l’analisi internazionale, la critica alle esperienze socialiste, l’emergere di nuovi soggetti di classe in America Latina sono stati terreni sui quali si è sviluppata da quegli anni l’analisi e l’elaborazione teorica.
Ma questo non è affatto un lavoro compiuto e va assolutamente continuato in quanto è l’unico che ci possa mettere in condizione di capire in quale mondo stiamo addentrandoci, quale soggettività comunista e di classe va costruita ed infine quale conflitto sociale è possibile sviluppare e far crescere in modo stabile. Con questo libro abbiamo provato a ricostruire e socializzare il da dove siamo partiti per fare e pensare l’ipotesi comunista su cui stiamo agendo oggi, quaranta anni dopo l’inizio di quella esperienza.