Michele Franco (in Contropiano anno 27 n°1 – gennaio 2018)
Questo numero di Contropiano/rivista è sostanzialmente monotematico. I due articoli che presentiamo sono un documento della Rete dei Comunisti sulla situazione internazionale – “L’antimperialismo nell’epoca della competizione inter/imperialistica” – ed un lavoro del compagno Antonio Allegra su “Lenin e la Questione Nazionale” scritto durante le settimane della crisi catalana dell’autunno scorso.
Da circa un anno la RdC ha avviato un piano di ricerca teorica e sta sollecitando una riflessione collettiva sulla nuova fase strategica per meglio adeguare e dare organicità alla propria azione politica. Nel dicembre 2016 con il Forum “Il vecchio muore ed il nuovo non può nascere” (i cui atti sono stati pubblicati nello scorso numero di Contropiano/rivista) ci siamo interrogati sulle analogie e le differenze tra l’attuale congiuntura del corso della crisi capitalistica e il periodo storico in cui Antonio Gramsci formulò questa riflessione ancora oggi utile.
Una discussione che partendo dalla differenza analitica tra Capitalismo e Modo di Produzione Capitalistico vuole scandagliare e precisare l’approccio dei comunisti alla complessa realtà sociale tentando di evitare di confondere alcune “contraddizioni secondarie” con quelle immanenti e decisive sulle quali va invece appuntata l’analisi e l’attenzione maggiore per meglio orientarci ed agire.
Ci sforziamo di interpretare e distinguere le specificità e le peculiarità di alcuni momenti storici che periodicamente si affermano e manifestano con la tenuta o meno del MPC (Modo di Produzione Capitalistico) a scala planetaria consapevoli che quei “movimenti specifici” sono comunque il prodotto determinato direttamente o indirettamente da tale complessa fenomenologia.
Un impegno, quello della RdC, che serve a dare forza e prospettiva all’azione organizzata dei comunisti in un momento in cui la crisi del movimento di classe sembra irreversibile mentre, invece, già in altri contesti storici i comunisti (la stessa riflessione gramsciana negli anni ‘20 e ‘30 del ‘900, si è svolta in tale condizione) hanno saputo riannodare, anche in situazioni assai difficili o di resistenza, i fili della teoria con una paziente pratica di ridefinizione e di ricostruzione della prospettiva (storica ed immediata) della trasformazione, della rivoluzione e del socialismo.
E’ questo un metodo di analisi e – quindi – di lavoro militante che caratterizza l’agire della Rete dei Comunisti a partire dall’analisi delle questioni internazionali ma che investe l’intero arco di temi e di snodi teorico/politici che affrontiamo su tutti i versanti della battaglia politica e dello scontro sociale.
Lo scenario internazionale
In tal senso il documento redatto della RdC che pubblichiamo puntualizza alcune tendenze in merito all’attuale stadio della competizione globale.
Tale dinamica sta producendo una condizione di sostanziale equilibrio delle forze all’interno della quale i diversi soggetti in campo operano ognuno “pro domo sua” e in cui il confine tra competizione e collaborazione è in continuo movimento. Questi processi riguardano il piano finanziario ed economico ma anche quello militare.
A rendere ulteriormente indeterminato questo equilibrio sono le diverse faglie conflittuali locali che vanno dal Medio Oriente al Nord Africa, passano per l’Ucraina e i Paesi Baltici, arrivando fino all’Asia e alla Corea del Nord e spingendosi verso l’America Latina dove i focolai di tensione non si limitano al solo Venezuela ma si estendono all’intero subcontinente.
Per oggettivare questa condizione occorre operare un confronto con gli scenari internazionali precedenti, sia quello del periodo bipolare tra USA ed URSS dove la competizione era strategicamente alternativa e di carattere anche ideologico oltre che militare, sia quello ad egemonia statunitense (apparente, in quanto rimessa in poco tempo gradualmente in discussione) all’interno del quale il consesso globale era orientato e diretto da Washington.
La condizione che si sta, progressivamente, manifestando sul piano globale è indubbiamente in netta discontinuità con quelle precedenti e sta già creando condizioni oggettive nuove con le quali tutti i soggetti in campo dovranno fare i conti, incluse le forze del cambiamento, i movimenti di lotta e, naturalmente, i comunisti.
Insomma siamo collocati in una situazione dove prevale, in modi e su terreni diversificati, il tutti contro tutti prodotto dall’equilibrio di forze, finanziarie, economiche e militari, che impedisce da una parte una soluzione concordata e dall’altra riproduce in continuazione contraddizioni tali per cui una linea strategica di risoluzione non è a disposizione di nessuno dei principali attori internazionali.
Questa è una situazione prodotta dalla fase precedente ma che allo stato non sembra avere un possibile sbocco per cui ad una ipotizzabile crescita di un polo imperialista si possa associare un potenziale soggetto complessivamente egemonico che riesca a trainare tutti verso tale prospettiva. Questa condizione di stallo però non potrà durare in eterno, e se ora non sono prevedibili i caratteri del possibile punto di rottura (finanziario? militare? un altro tipo di contraddizione?) prima o poi si imporrà un salto di qualità – un vero e proprio sconvolgimento – della situazione obiettiva che costringerà tutti a operare delle scelte, alcune delle quali potrebbero non essere né auspicate né pianificate preventivamente da nessuno dei protagonosti di tale scontro.
L’autodeterminazione dei popoli e delle nazioni: ritornando a Lenin
Per il marxismo la questione nazionale e tutti i risvolti derivanti da tale autentico rompicapo sono sempre stati una materia sociale viva ed incandescente. Sia Marx che gli altri teorici del movimento comunista – anche in periodi diversi – si sono sempre misurati con tale problematica arrivando, in numerosi casi, ad alcune sintesi che – apparentemente ed impressionisticamente – possono essere percepite come antitetiche tra loro o comunque in contraddizione.
In realtà sia Marx sia gli altri leader del movimento comunista hanno sempre maturato ed esposto un approccio che teneva conto del corso generale della crisi, dei vari contesti in cui questa contraddizione/questione si palesava, delle formazioni economico sociali preesistenti e delle forze in campo che si misuravano e che collidevano tra loro.
Mai, quindi, il marxismo ha operato sulla questione nazionale come una sorta di laboratorio dell’astrazione alieno rispetto alla situazione reale.
Ed è in tale crogiuolo che, nel corso di un lungo arco di tempo, sono lievitate elaborazioni e lezioni teorico/ politiche con gli inevitabili elementi di approssimazione che sono proprie di questa tipologia di dialettica del divenire politico.
Il testo del compagno Antonio Allegra che pubblichiamo analizza l’approccio di Lenin alla questione nazionale attraverso una efficace periodizzazione storica e contestuale che bene rende l’idea di un metodo di lavoro (quello leninista) dinamico, mai dogmatico ed attento, invece, alle molteplici contraddizioni con cui si manifestava tale questione.
Proprio in questo autunno – a ridosso del moto sociale indipendentista e repubblicano che sta scuotendo la Catalogna e che riverbera non solo in Spagna ma nell’intera Unione Europea – nell’area comunista si sono espresse posizioni politiche che, senza alcun tipo di approfondimento e di attualizzazione, hanno riproposto un approccio che ripete stancamente la difesa dello stato unitario e l’assoluta indifferenza verso il maturare di moti sociali alternativi .
Tali movimenti oggettivamente – al di là delle numerose ed evidenti contraddizioni che sono proprie di questo tipo di fenomenologia sociale – producono importanti crepe politiche nel quadro di comando della monarchia spagnola, nel complesso delle compatibilità della borghesia continentale europea e nell’insieme degli interessi dei poteri forti del capitale.
Spesso queste posizioni di critica dogmatica (non solo in Italia ma in ogni parte del mondo) si sono ammantate e richiamate ad una presunta ortodossia principista che – nei fatti – nega l’originalità e la creatività della scienza marxista relegandola ad una sorta di caricatura incapace di interpretare le novità intervenute e le nuove, quanto spurie, possibili rotture sociali e politiche che si palesano di volta in volta lungo questo arco di contraddizioni.
L’esplosione della questione catalana sta dimostrando quanto, nell’Unione Europea del XXI secolo, la questione nazionale sia ancora vigente e prioritaria, smentendo quei profeti che, superficialmente, preconizzavano il tramonto degli stati nazionali in epoca di “globalizzazione”.
La lotta per l’autodeterminazione, di nuovo, rappresenta in vari territori dell’Europa un formidabile motore di mobilitazione popolare e costituisce uno strumento attraverso il quale alcune classi sociali – in particolare la piccola borghesia, i cosiddetti ‘ceti medi’ e le classi subalterne colpite da anni di austerity – manifestano un disagio e un desiderio di rottura nei confronti dell’attuale assetto istituzionale dominato dallo svuotamento della democrazia formale a favore di una governance ordoliberista gestita da istituzioni sovranazionali che non prevedono, come nelle fasi precedenti, la legittimazione e il consenso popolare.
In generale si può affermare che, se il processo d’integrazione ha svuotato di sovranità i governi e le istituzioni nazionali, espropriate a vantaggio delle istituzioni comunitarie (formali e informali), nel continente è in corso da alcuni anni un processo di ricentralizzazione che accentua il carattere autoritario e reazionario degli stati amplificandone le funzioni coercitive e di controllo. Un micidiale processo di concentrazione, dal profilo autoritario, sia nei confronti di eventuali ribellioni di natura sociale sia di qualunque altra contraddizione possa mettere a rischio una stabilità interna indispensabile a consentire al polo imperialista europeo di reggere una competizione internazionale sempre più feroce.
La vicenda catalana ha messo, finora, in evidenza la rigidità di una Unione Europea che di fronte al manifestarsi di un conflitto nazionale al suo interno non sa e non può fare altro che sostenere incondizionatamente lo Stato-Nazione di riferimento e le sue misura di criminalizzazione e di repressione.
La questione nazionale si pone oggi quindi, nel continente europeo, sia a partire dal recupero della sovranità popolare in quegli stati che fanno parte dell’Unione Europea e che ne sono stati espropriati, come i Pigs, o che pur non facendone parte sono già ingabbiati all’interno del suo spazio economico e normativo – si veda la sponda sud del Mediterraneo – sia in relazione al diritto all’autodeterminazione delle nazioni senza stato che invece proprio negli Stati trovano un muro, una gabbia, una barriera invalicabile sostenuta dall’Unione Europea e dalle sue istituzioni.
Non può sfuggire che uno dei momenti fondativi, costitutivi dell’Unione Europea è stata la disgregazione violenta della Jugoslavia da parte di una Germania che ha soffiato sul fuoco di nazionalismi sciovinisti pur di assorbire nella sua orbita, politica e monetaria, alcuni territori sottratti all’ex stato federale unitario. Ma quel principio di autodeterminazione della Croazia, della Slovenia e della Bosnia, difeso manu militari dalla costituenda Unione Europea – oltre che dagli Stati Uniti – non è ora riconosciuto da Bruxelles ai catalani mentre rispetto agli scozzesi si dimostra ora una certa tolleranza, ma solo dopo che Londra ha imboccato la strada della Brexit.
D’altra parte, più recentemente, l’Unione Europea non ha esitato, pur di allargare fino a Kiev la sua area di influenza, a sostenere un golpe reazionario in Ucraina e a sdoganare i fascisti e i neonazisti appoggiando al contempo una criminale guerra di aggressione contro le popolazioni russe dell’est del paese il cui diritto all’autodeterminazione, di nuovo, Bruxelles non vuole riconoscere.
Questo mentre in Palestina l’occupazione israeliana si fa ancora più feroce grazie anche alla complicità di un’amministrazione Trump che provocatoriamente ha deciso di riconoscere Gerusalemme come capitale del cosiddetto ‘Stato Ebraico’.
Alle condanne formali e di principio, finora, Bruxelles non ha fatto seguire alcun atto concreto continuando la propria collaborazione economica e militare con Tel Aviv.
Come detto, i comunisti hanno, nel corso della loro storia, affrontato la questione nazionale in diversi modi, attraverso diverse chiavi di lettura, a seconda delle epoche, dei contesti, delle necessità concrete del momento.
Non si può quindi affermare che esista, all’interno del movimento comunista, un’unica chiave di lettura su questo tema valida per tutti i contesti e tutte le epoche. Ci dobbiamo quindi affidare dall’analisi concreta della situazione concreta, forti dell’analisi e dell’esperienza storica di quei leader e di quei movimenti che con il diritto delle nazioni all’autodeterminazione si confrontarono direttamente all’interno di un contesto rivoluzionario.
La ricerca del compagno Allegra è da questo punto di vista un contributo (sicuramente non esaustivo o definitivo) che offriamo ad un dibattito teorico che, come RdC, non abbiamo mai dismesso meno che mai quando tale confronto esce dai polverosi scaffali a cui molti vorrebbero relegarlo e si misura, invece, con la complessità, le difficoltà e, finanche, con i compiti inediti dei comunisti in questa fase storica.
Un punto distintivo e costituente – questo – del processo concreto di definizione teorica e di costruzione politica ed organizzativa della Rete dei Comunisti.