L’omicidio del generale iraniano Qassem Soleimani e segna un punto di svolta nel recente conflitto mediorientale.
Gli Stati Uniti con questa operazione di stampo terroristico tentano di riaffermare un ruolo centrale in uno scacchiere geopolitico nel quale hanno perduto più di una battaglia.
L’occupazione dell’Iraq, con il suo strascico genocida di morte e distruzione, i continui tentativi di destabilizzazione del Libano, la distruzione della Libia e il tentativo di sovvertire manu militari il governo siriano non sono serviti a imporre di nuovo il dominio USA in Medio Oriente.
La cocente sconfitta in Siria, grazie all’intervento militare di Iran, Russia e Hezbollah libanese, hanno lasciato un segno indelebile di cambio di rapporti di forza, non solo nell’area interessata al conflitto, ma a tutto tondo a livello internazionale.
Gli alleati strategici dell’imperialismo statunitense nell’area, Israele e Arabia Saudita, oltre a subire la medesima sconfitta in Siria, sono impantanati l’uno al confine libanese a causa della potenza acquisita nel conflitto da Hezbollah, l’altra dal sanguinoso conflitto in Yemen.
In questo contesto di ridimensionamento strategico, l’amministrazione Trump ha deciso di sferrare un colpo mortale alla precaria stabilità determinatasi dopo 6 anni di guerra, che vedeva un nuovo equilibrio dopo l’infame abbandono delle organizzazioni curde nelle mani dell’esercito turco da parte delle truppe statunitensi e l’imminente e definitiva sconfitta delle milizie del Daesh nella regione di Idlib in Siria.
Non sappiamo quali saranno le reazioni a questa nuova provocazione da parte dell’asse creatosi in Siria tra Iran, Russia ed Hezbollah a questa ennesima, gravissima provocazione statunitense. Sicuramente lo scenario che si sta determinando è quello di una possibile guerra di dimensioni imprevedibili, nella quale l’Unione Europea potrebbe giocare un ruolo marginale, anche alla luce dello scenario libico, nel quale l’ingresso delle truppe turche segnano un forte ridimensionamento delle ambizioni francesi ed italiane.
In questi ultimi anni abbiamo parlato di “equilibrio delle forze” nella competizione tra potenze imperialiste e grandi paesi che stanno emergendo come potenti competitori economici e militari, a partire dalla Cina e dalla Russia. Un equilibrio che continua a basarsi sulla deterrenza atomica e su un sistema di relazioni economiche globali di interdipendenza apparentemente inestricabili.
Una cosa e’ certa, l’imperialismo statunitense non ha alcuna intenzione di perdere progressivamente il suo ruolo di dominatore internazionale senza dare battaglia. L’avventurismo trumpiano e’ espressione diretta degli interessi delle grandi multinazionali statunitensi, in uno spazio/mondo oggettivamente limitato, nel quale i cosiddetti “mercati” ed ogni spazio di profitto e di rapina di risorse, sono contesi attraverso forme di competizione che storicamente hanno sempre aperto le porte allo strumento principe del capitalismo in crisi: la guerra guerreggiata.
La scarsa attenzione data negli ultimi anni al tema della guerra da parte dei movimenti sociali, della sinistra di classe e’ il segno, insieme a molti altri, di un arretramento politico e culturale da recuperare al più presto.
In ogni epoca di crisi strutturale del capitalismo, come quella nella quale viviamo oramai da oltre un decennio, lo sbocco militare e’ un elemento da tenere sempre in considerazione come ipotesi concreta, contro il quale i comunisti debbono sviluppare il massimo di mobilitazione possibile.