A distanza di alcuni giorni riportiamo l’attenzione sul recente passaggio elettorale e sui sommovimenti in atto dentro il complicato ciclo politico della borghesia italiana. Tale richiamo interpretativo si rende necessario, a nostro avviso, non solo per tentare di offrire un quadrante analitico tendenzialmente più completo ma – soprattutto – per incardinare questa riflessione al complesso della discussione sulla fase politica generale.
Sul contesto e gli esiti delle elezioni regionali in Emilia Romagna, rimandiamo – per una analisi dei dati e per le prime considerazioni di carattere squisitamente politico agli articoli pubblicati sul quotidiano on line Contropiano.org e, più segnatamente, nell’editoriale (http://contropiano.org/editoriale/2020/01/29/dal-voto-per-vendetta-al-voto-di-paura-0123527) e all’articolo (http://contropiano.org/news/politica-news/2020/01/27/torna-bipolarismo-obbligato-fondato-sulla-paura-0123455) – i quali oltre ad entrare nel merito dei contesti in cui si è votato analizzano anche alcuni fattori topici che hanno segnato tali elezioni: il ritorno del voto utile e lo spettro dalla paura!
A queste riflessioni – con l’obiettivo di rafforzare un punto di vista autonomo comunista scevro da ogni illusione elettoralista – vanno affiancate alcune considerazioni le quali, come è nei tratti caratteristici e nello stile di lavoro della Rete dei Comunisti, sono spunti di dibattito ma anche tracce di impegno teorico/politico che avvertiamo come nostre e che intendiamo sviluppare ed approfondire nel prossimo periodo.
Nelle analisi degli articoli sopracitati emerge la presa d’atto che le proposte di rottura (ora sul versante elettorale ma tale considerazione attiene al complesso delle dinamiche della contraddizione di sempre tra capitale e lavoro) sono a tutt’oggi schiacciate tra soluzioni fuorvianti e incapacità dei movimenti di lotta di indicare più compiutamente, ai settori subalterni della società una prospettiva di alternativa praticabile.
Questa condizione – oggettiva – non è una alchimia astratta ma è la risultante, e per molti aspetti la registrazione, di come nel nostro paese (una nazione a capitalismo maturo collocata dentro un polo imperialista compiuto) il corso della crisi capitalistica – per quanto accertato e documentato anche dagli istituti statistici ufficiali – è ben lungi dall’innescare punti di crisi sociale generalizzabili e disponibili a tramutarsi, nel breve periodo, in ipotesi di mobilitazioni articolate, organizzate e durature nel tempo.
Certo i fattori di crisi economica mordono in molte aree del paese al Sud ma anche in tante zone del Nord disegnando una geografia socio/economica ed una composizione di classe segmentata e stratificata, dove la “vecchia” unità politica e materiale della classe è stata scomposta profondamente.
Aumentano, sicuramente, le diseguaglianze e gli indici di polarizzazione tra diversi segmenti sociali ma regge complessivamente l’esercizio della governance attraverso un sapiente mix di ammortizzatori sociali, tenuta del credito/risparmio familiare (una anomalia del capitalismo italiano) e permane una crescente difficoltà a far ripartire un ciclo di lotte a seguito degli intervenuti effetti di disarticolazione e di frammentazione di ciò che residuava dei vecchi istituti (formali ed ideologici) della coscienza di classe.
Del resto è palese la differenza e lo scarto tra ciò che avviene, da oramai oltre un anno, nella vicina Francia e l’autentico calvario che devono affrontare, qui da noi, quelle vertenze e quei movimenti di lotta che provano a far vivere un punto di resistenza politica ed eventualmente, una volontà di determinare scenari di possibile rottura in avanti del pesante clima di passivizzazione sociale imperante.
Tale dato – che andrà ulteriormente sviscerato e compreso al di là di come si presenta nell’immediato – agisce profondamente in ogni aspetto della società, si introietta alla stregua di un potente narcotico tra i settori popolari e pesa, particolarmente, in occasioni delle lotte e dei passaggi elettorali dove – citando Karl Marx – “gli operai si muovono con la logica del minimo sforzo”.
Da qui la consapevolezza – vera e da ribadire continuamente – che per i comunisti le elezioni e la partecipazione ad esse sono puramente uno strumento (una occasione!) e non un feticcio immutabile e totalizzante. E’un terreno, e neanche quello più importante, tra le diverse modalità di intervento nel corpo sociale.
Per cui – senza psicodrammi e superando il fastidioso effetto di “doccia scozzese a cui sono sottoposti gli attivisti” come ha ben evidenziato Contropiano – si tratta di intendere la partecipazione alle elezioni come un tassello del percorso di definizione e costruzione della Rappresentanza Politica degli interessi dei settori popolari la quale può prevedere, tra gli altri, anche il versante elettorale – sempre con caratteristiche autonome e indipendenti – con l’obiettivo di propagandare e sperimentare un utensile che aiuta e favorisce l’ interlocuzione sociale, la sedimentazione e la sollecitazione conflittuale verso il blocco sociale.
La società e la lotta di classe non sono uno spazio liscio.
Il recente tornante elettorale e lo scenario politico degli ultimi mesi ci segnalano una rianimazione del Pd come perno di quella “sinistra” che mostrava segni di implosione e di ulteriore dissolvimento. Nel periodo di Renzi era balzato oltre il 40% dell’elettorato per poi precipitare, prima con la sconfitta al Referendum Costituzionale e poi con le elezioni politiche del 2018, ai suoi minimi storici. Il Pd non mostrava buona salute e sembrava avviato ad un declino inarrestabile a fronte dell’avanzata dei cosiddetti populismi.
Questa crisi non aveva però visto crescere una ipotesi alternativa a sinistra. Al contrario tutti i “laboratori, i cantieri, i teatri con i continui nuovi inizi” sono andati a sbattere, sia singolarmente che messi insieme. Come Rete dei Comunisti un anno fa abbiamo articolato una campagna culturale e politica denominata “L’unità della Sinistra: falso problema” in cui – in modalità decisamente controcorrente verso l’intero arco di quella che si autodefiniva “sinistra radicale” – evidenziavamo non solo il catastrofico corso politico di tutte le varianti di quella tradizione politica ma anche la necessità di una cesura netta con tale filone. Abbiamo posto un interrogativo agli altri ma anche a noi stessi su come riqualificare e rigenerare una moderna ipotesi di trasformazione anticapitalista adeguata alle modificazioni strutturali intervenute (in Italia ed in Europa). Di converso la nostra attitudine militante ed il contributo che avanziamo verso la sperimentazione in corso di Potere al Popolo ha questo tracciato d’impostazione e tale obiettivo politico e programmatico. Lì dove c’è il coraggio di sperimentare, di agire a tutto campo sulle contraddizioni di classe, di rompere con ambiguità insopportabili, i comunisti devono saperci essere e agire.
Gli eventi di questi mesi, però, hanno prodotto avvenimenti, non propriamente ordinari, con conseguenze a tutto tondo che iniziamo ad avvertire non solo attraverso i numeri elettorali o la crisi repentina dei “5 Stelle” (su cui necessita un ragionamento specifico) ma anche attraverso il riverbero, a vario titolo, lungo tutto l’arco delle contraddizioni sociali.
La fine del governo Conte 1 e la nascita del Conte 2, la novità della segreteria Zingaretti e la rinnovata liaison con Landini, con il variegato mondo dell’associazionismo e del Terzo Settore, la sussunzione culturale e la cooptazione pratica – a “cerchi concentrici” – di gran parte del ceto politico di movimento nelle spire Democrat, per arrivare alla nascita – studiata e pianificata ampiamente– delle Sardine, sono tutte tappe di una operazione politica ed ideologica del Pd tornato in mano “alla ditta” e consapevole che la posta in gioco deve riportare a casa tutti i residui della sinistra, soprattutto di quella che ha dismesso gli anticorpi verso un progetto liberale e liberista ma “antifascista”. E’ bastato attendere una settimana dalle elezioni per vedere la foto di gruppo insieme ad un padrone della peggior specie come Benetton.
Da materialisti tale situazione non ci induce certo ad un mutamento di giudizio politico – che rimane tranchant, negativo, decisivo – ma spinge ad un supplemento di analisi ad un livello più avanzato di comprensione, di demistificazione e di critica verso questa complessa operazione politica ed ideologica.
Sempre più l’evolvere degli avvenimenti – al di là dei fronzoli e degli elementi formali con cui si ammanta anche grazie ad un sistema dell’informazione compiacente e blindato – squaderna, concretamente, la connessione ideale e materiale con gli aspetti più significativi delle forme di dominio tipiche delle società a capitalismo maturo di questo settore (un vero e proprio grumo politico/materiale innervato nella società e nei suoi apparati ideologici di comando e controllo) che ancora si richiama allo scialbo ed ancorché sbiadito Pantheon di sinistra.
Non è un caso che l’analisi dei flussi elettorali del PD coincida con quei segmenti sociali che vivono – con buona pace di ogni sorta di buonismo e di universalismo democratico – dei sovraprofitti (imperialistici) derivanti dalla posizione dell’Azienda/Italia e dei settori più avveduti della borghesia continentale nell’ambito della competizione internazionale. E non è un caso che nelle aree metropolitane del paese la “sinistra” è insediata, a larga maggioranza, nei centri delle città gentrificati e tra i ceti sociali benestanti.
Si pone, dunque, l’esigenza teorica di “andare più a fondo” nella ricerca collettiva, nell’inchiesta sul campo e nella complessiva battaglia ideologica contro la “sinistra liberale” in ogni sua deviante declinazione e suggestione.
Un compito inedito per una esperienza di militanti comunisti – come la RdC – che dovrà demolire i codici, i riti e la perpetuazione di una nefasta concezione del mondo e dei relativi rapporti sociali che si configurano, ancora e pesantemente, come un ostacolo prioritario ad ogni ipotesi di rottura politica e di organizzazione degli sfruttati.
1/2/2020