Il Partito Comunista come strumento del processo rivoluzionario e “anticipazione” del socialismo
Autore: Álvaro Cunhal,
Introduzione di Fosco Giannini, postfazione di Salvatore Tiné
Formato: 14 x 1 x 21
Pagine: 216
Prima edizione: settembre 2020
Editore: La Città del Sole
ISBN-10: 8882925382
ISBN-13: 978-8882925383
Dalla postfazione di Salvatore Tiné
Nella storia del movimento comunista internazionale del ‘900, la questione del partito, del suo ruolo nel processo di trasformazione rivoluzionaria della società e quindi delle forme e della natura della sua organizzazione non ha avuto una importanza solo tecnica ma bensì profondamente politica. Si può dire che proprio intorno al nesso inscindibile tra politica e organizzazione, ovvero all’identità non statica ma storica e dialettica tra i due termini, si sia definita in una misura rilevantissima l’identità stessa dei partiti comunisti del ‘900 come la loro unità internazionalista nell’ambito del movimento comunista mondiale. Più di qualsiasi altra organizzazione politica di classe nazionale e internazionale dell’800 e del 900, il movimento comunista ha saputo sviluppare, sia pure in modi e forme del tutto originali quell’idea del “partito comunista” come parte più avanzata della classe operaia in grado di indicare il movimento complessivo della sua azione sociale e politica e così spingerla sempre in avanti, che Marx ed Engels avevano messo al centro del “Manifesto” del ’48, in stretta connessione con una concezione del comunismo inteso non come astratto ideale cui conformare la realtà storica e sociale ma come espressione teorica e consapevole di una “lotta di classe che già esiste”. Tuttavia il rapporto tra partito e classe, tra “comunisti” e “proletari” è un rapporto storico, tutt’altro che lineare e spontaneo. La coscienza di classe è essa stessa non un dato scontato ma il prodotto di una maturazione e di una esperienza storica che si svolge solo sull’aspro terreno materiale delle lotte e dell’organizzazione sul terreno della produzione immediata come su quello della riproduzione sociale complessiva, in un confronto continuo con la potenza non solo materiale ma anche ideologica e culturale del dominio capitalistico. In questo senso essa, secondo l’insegnamento fondamentale di Lenin, viene “dall’esterno”, non può prescindere dal ruolo del partito e dell’organizzazione.
Perciò proprio a partire proprio a partire da tale impostazione originaria, già le tesi sul partito approvate dal II Congresso del Komintern rivendicavano necessità di una salda configurazione organizzativa della “parte” più avanzata della classe operaia insistendo fortemente sulla necessità di una sua netta “separazione” dalla parte restante del movimento, come condizione fondamentale per condurre la lotta di classe e di massa su un terreno sempre più avanzato. E’ questo nesso di unità e distinzione tra partito e classe, tra avanguardie e masse che sta a fondamento della concezione comunista dell’organizzazione politica del proletariato. La riflessione di Cuhnal consegnata in questo aureo libro sul partito scritto e pubblicato nel 1985 si svolge tutta in una fortissima linea di continuità con questa concezione dell’organizzazione destinata a segnare non solo l’identità del movimento comunista mondiale del ‘900 ma ancor più la sua gigantesca esperienza storica. Ma è sulla natura insieme democratica e rivoluzionaria dell’organizzazione d’avanguardia che l’elaborazione del dirigente comunista portoghese si sofferma maggiormente. Il carattere separato, nettamente distinto dalla classe e dalle masse, dell’organizzazione comunista d’avanguardia si impone già nella fase costitutiva del Komintern come una necessità imposta dallo sviluppo della crisi generale del capitalismo e dai compiti politici immediatamente rivoluzionari che da quello sviluppo discendono. L’acutizzarsi delle contraddizioni di classe e quindi la necessità di spingere la lotta di classe sul terreno immediatamente decisivo della lotta per il potere richiedono un tipo nuovo di organizzazione, radicalmente diverso da quello che si era venuto consolidando nella fase dello sviluppo pacifico del movimento operaio e della II Internazionale: un tipo di organizzazione fortemente unita e disciplinata, in grado di tradurre sulla base di un rigido centralismo la strategia e la tattica, ovvero la visione complessiva del movimento sul terreno concreto dell’azione di massa e dell’iniziativa rivoluzionaria. La riflessione di Cunhal mostra come questo nuovo tipo di organizzazione necessiti insieme un massimo di unità e di capacità di direzione e insieme un massimo di democrazia. La separazione tra il terreno dell’azione immediata e quello dei fini, degli obiettivi storici del movimento proletario è caratteristico dell’organizzazione di tipo socialdemocratico, la cui azione politica finisce così per esplicarsi prevalentemente sul terreno legale e parlamentare: di qui la separazione tra gli organismi dirigenti del partito e il gruppo parlamentare e la conseguente divisione in correnti dello stesso partito.
Viceversa il partito di tipo nuovo nato col movimento comunista risponde sotto il profilo organizzativo alla necessità di riconnettere in modo permanentemente concreto e dialettico gli obiettivi immediati e la prospettiva della conquista del potere. Ma proprio per questo esso è chiamato alla definizione di una linea politica organica ed unitaria in grado di unire tutto il partito a partire dal suo nucleo dirigente centrale e quindi l’intero suo corpo collettivo. Una linea politica corretta non può che scaturire infatti da una discussione ed elaborazione collettiva, la sola in grado di produrre una sintesi reale, ovvero effettivamente in grado di spingere in avanti, su un terreno sempre più avanzato l’insieme all’azione del partito, la totalità del movimento proletario e di massa che esso è chiamato a dirigere. In questa fortissima sottolineatura dell’esigenza dell’unità ideologica e politica del partito come espressione del suo carattere di organismo unitario, la riflessione di Cunhal sembra convergere con la teoria gramsciana del partito come “intellettuale collettivo”. Il centralismo democratico è il principio fondamentale di una organizzazione la cui unità lungi dal fondarsi sul mero equilibrio “parlamentaristico” tra posizioni diverse sul piano politico come su quello ideologico trova la sua legittimazione sostanziale e il suo criterio pratico nella giustezza della sua linea politica. In questo senso l’organizzazione del partito non coincide con quella dei suoi apparati. L’apparato è solo il nucleo centrale della sua vita collettiva e della sua forza rivoluzionario. Dunque, il partito è strumento e tale deve continuare ad essere anche quanto si struttura nel suo ordine formale e nelle sue gerarchie inevitabili, funzionali alla forza e all’efficacia della sua organizzazione. L’esperienza della rivoluzione di Aprile ha costituito per il partito portoghese il più alto momento di sviluppo e maturazione di questa concezione del partito sul terreno della lotta politica e di massa per la rivoluzione democratica e socialista. Su questo terreno determinato, l’esperienza dei comunisti portoghesi si è posta in una linea di stretta continuità con l’esperienza leniniana e bolscevica del partito di quadri, differenziandosi da esperienze pure di straordinario rilievo nella storia del movimento comunista mondiale, come quella del “partito nuovo” di massa che caratterizzato la vicenda dei comunisti italiani particolarmente nel corso della Resistenza e della lotta per una “democrazia progressiva”.
Ma proprio sull’aspro terreno della lunga lotta contro la dittatura salazarista per la democrazia e per il socialismo l’esperienza del partito comunista portoghese ha saputo sviluppare e arricchire la concezione leninista del partito in una direzione profondamente legata alle specificità e alle particolarità nazionali del Portogallo. Di qui la sua capacità di adeguare continuamente in modo efficace e flessibile le forme di lotta e di organizzazione alle scadenze della lotta immediata sul terreno legale e illegale, coniugando sempre l’iniziativa, la capacità del gruppo dirigente di anticipare e prevedere gli sviluppi della situazione e dei rapporti di forza con la rapidità dell’azione di assalto, articolando ogni volta in modo diverso a seconda del mutare delle fasi o delle congiunture “guerra di movimento” e “guerra di posizione”, tattica e strategia. Così si è venuto forgiando un tipo di partito di quadri non separato, non burocratico, un organismo compatto che unisce in un tutto unico e solidale gli apparati di vertice ai quadri, i quadri ai militanti. Un partito di quadri ma profondamente popolare e “patriottico”, meno astrattamente volontaristico e “giacobino” del partito di quadri nella sua versione staliniana e forse anche leniniana. Un partito in cui il carattere di classe proletario è rafforzato piuttosto che indebolito dalla sua capacità di porsi alla testa delle masse e del popolo. Lo scioglimento del Komintern, ovvero del “partito mondiale” nel maggio del ’43 su iniziativa di Stalin assume in tal senso nella riflessione di Cunhal un significato fondamentale anche per le conseguenze che ne sono discese
nella concezione comunista del partito e dell’organizzazione. La riflessione di Cuhnal ruota tutta intorno a questo nesso inscindibile tra l’unità del movimento comunista internazionale da un lato e il suo radicamento di massa e nazionale dei partiti comunisti dall’altro. La perdurante vitalità e forza politica e organizzativa di cui il del partito comunista portoghese continua a godere ai nostri giorni in un quadro storico-mondiale completamente mutato possono essere valutate come un’ulteriore conferma del valore storico della concezione dell’organizzazione che ha ispirata l’elaborazione dei comunisti portoghesi e in particolare di Alvaro Cunhal. Ma essa contiene forse degli insegnamenti validi ancora per il presente e per il futuro.