Giacomo Marchetti
In Mali, dopo una settimana dal “Colpo di Stato” del 18 agosto che ha portato alle dimissioni del presidente “IBK”, i militari del CNSP ed il comitato strategico del M5-RPF si sono incontrati ufficialmente a Kati per la prima volta questo mercoledì.
Il quotidiano francese “Le Monde” racconta che il M5-RFP (fronte d’opposizione sotto il vecchio regime) è disposto ad “accompagnare” la giunta militare, citando testualmente Choughel Maïga e la conferma di Issa Kaou Djim, figura vicina all’influente leader religioso Mahmoud Dicko: “noi siamo disponibili ad accompagnare questo processo”.
Il 21 agosto una manifestazione popolare cui avevano partecipato migliaia di persone aveva festeggiato la dipartita del Presidente.
Durante il comizio, visibile integralmente sul canale Youtube “Malivox”, il dottore Oumar Mariko, storico leader socialista del Mali e presidente del partito SADI, che integra il “Movimento 5 Giugno–Raggruppamento delle Forze Popolari” ha fustigato Macron e ringraziato Ghana e Burkina Faso per le loro posizioni nei confronto del nuovo corso in Mali, criticando Alpha Condé – presidente della Guinea – per il suo appoggio alle sanzioni contro il Mali.
«Noi vi domandiamo di continuare a capire che il Mali appartiene al suo popolo e che la Francia appartiene ai francesi […] Il Mali ha bisogno di cooperazione, non ha bisogno di neo-colonizzazione»
Nega che dal 1968 – anno del Colpo di Stato dittatoriale contro il Primo Presidente eletto dopo l’Indipendenza – ci siano stati altri putsch perché nel 1991, come nel 2012 e oggi, sono state «delle insurrezioni di una parte della popolazione oppressa e repressa che ha fatto irruzione e che è stata accompagnata da una parte del popolo in armi».
Mariko critica aspramente la posizione presa dalla Comunità Economica degli Stati Africani (CEDEAO), creata proprio in Mali: «la CEDEAO è stata creata qui e rispetterà il Mali. Che i presidenti della CEDEAO lo vogliano o meno sono obbligati a rispettare il mali. Perché il Mali non è obbligato a restare nella CEDEAO» ribadendo che senza di questa il Mali non è necessariamente un Paese ridotto alla Miseria.
Tornando all’incontro del Cnsp, questo giunge dopo una serie di confronti che gli attuali militari al potere denominatisi “Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo” hanno tenuto con differenti soggetti, a cominciare dai diplomatici russi e altri ambasciatori (tra cui quello dell’Italia), oltre ad istituzioni ed incaricati di missioni internazionali presenti nel Paese o a cui partecipa il Mali.
Gli incontri con la CEDEAO, svoltisi dal 22 al 24 agosto, hanno invece portato ad un “nulla di fatto”, a parte la liberazione questo giovedì dell’ex Presidente, dopo che il 20 agosto questa organizzazione aveva negato qualsiasi legittimità ai “golpisti”.
Gli ufficiali e la composita coalizione sono stati «i due assi principali della transizione e del cambiamento atteso dal popolo del Mali»,, come riferisce il quotidiano L’Indépendent, che riporta una sintesi dell’incontro.
Come era apparso già dai primi momenti successivi al “putsch”, è stata confermata la sostanziale convergenza: «i due hanno come obiettivo comune di ricostruire il Mali istallando un vero regime democratico per affrontare le questioni fondamentali della Nazione», continua il quotidiano.
Il M5-RPF fornirà a giorni alla giunta un proprio documento di rifondazione del Paese, ed cheha invitato ad essere vigili di fronte alla confusione e alle pressione internazionali.
Infatti la CEDEAO sin da subito si è dimostrata intransigente rispetto al colpo dei militari ed ha di fatto imposto un embargo nei confronti di un suo Paese membro. Idem per altre istituzioni, al pari della Comunità Economica degli stati dell’Africa Occidentale, come l’Unione Africana e l’Organizzazione Mondiale della Francofonia, che hanno sospeso il Mali da ogni istanza organizzativa.
I maggiori artefici della linea dura sono stati i presidenti di due capisaldi della politica francese in Africa, alla fine del loro ennesimo mandato che intendono mantenere – nonostante i vivaci movimenti di opposizione nel loro Paese – come Alassane Ouattara in Costa d’Avorio e o Aplha Condé in Guinea.
Le recenti proteste contro la candidatura per il terzo mandato di Ouattara sono state represse con 173 feriti e 1.500 “trasferimenti forzati”, secondo Amnesty International.
Le Pays, altro quotidiano del Paese africano, cita uno dei responsabili del M5-RFP, Choguel Kokalla Maïga, secondo cui «l’importante è il fatto che abbiamo la stessa visione di quello che deve essere la transizione, degli obiettivi della transizione, della finalità della transizione, affinché il Mali rientri in una cornice di stabilità, di buon governo e di democrazia».
Un compito senz’altro arduo, ma che fino ad ora non è stato raggiunto, con i due mandati della la presidenza precedente e la frelativa configurazione dei rapporti internazionali del Paese; ad esempio incapaci di sconfiggere la guerriglia jihadista e di porre fine ai conflitti intra-comunitari, oltre a migliorare complessivamente le condizioni del Paese.
La giunta ha garantito alla coalizione che una delle sue priorità è la liberazione di Soumaila Cissé, capo dell’opposizione, sequestrato più di cinque mesi fa dalla guerriglia jihadista.
Il prossimo incontro si terrà questo sabato.
La Francia sembra orientata ormai ad un approccio più pragmatico, come sembra confermare la nota diplomatica, pubblicata sulla rivista Le Jeune Afrique, in cui prende atto che il ritorno in carica del Presidente defenestrato – e del suo primo ministro – è irrealistico.
Una transizione che l’Esagono si augura venga condotta dai civili e porti ad elezioni il prima possibile – cosa che è stata da subito assicurata dalla Giunta sin dal suo insediamento, per altro – questa transizione: «dovrà permettere la continuità delle operazioni internazionali in sostegno della sicurezza del popolo del Mali e alla lotta contro il terrorismo», riporta il giornale.
La Francia è presente in Mali dall’avvio della «Operazione Serval», poi estesa all’area del Sahel con l’«Operazione Barkhane», cui partecipano numerosi altri Paesi tra cui i “G5 del Sahel”, compreso il Mali, oltre alla Francia con un contingente di più di 5 mila uomini. Mentre la missione Onu Minusma – presente nel Paese – ha più di 10 mila uomini impiegati.
Intanto l’UE, all’interno della riunione dei Ministri della Difesa riuniti a Bruxelles, ha deciso di sospendere temporaneamente le sue missioni in Mali ed ha condannato il “Colpo di Stato”. L’UE in Mali addestra l’esercito e le forze di sicurezza, con Berlino che svolge un ruolo importante nelle due missioni dell’Unione.
In Germania si è aperto un accesso dibattito intorno all’eventualità che i generali golpisti siano stati formati dal contingente tedesco.
Josep Borrell – capo della diplomazia dell’Unione – ha rigettato le critiche – a differenza del ministro della difesa tedesco e leader uscente della CDU Annegret Kramp-Karrenbauer: «Noi non formiamo dei golpisti. Il 90% dei soldati del Mali sono stati formati all’interno del quadro della nostra missione. Ma i leaders del Golpe lo sono stati in Russia, in Gran Bretagna e negli USA» riporta l’inviato di «RFI Afrique» a Bruxelles.
Dall’avvio della missione dell’Unione Europea, nel 2013, 18.000 soldati sono stati formati dagli europei. Tra questi il corpo d’élites della lotta alla guerriglia jihadista, impiegato durante la feroce repressione delle mobilitazioni popolari nel corso intorno al 10 luglio.
È chiaro che il “Golpe” è stato uno doppio smacco per la Francia, sia dal punto di vista militare, sia da quello politico. Non si aspettava infatti una tale reazione alla sua intransigenza nel voler tenere in piedi un presidente delegittimato da tre mesi di massicce mobilitazioni popolari e da un Primo Ministro che era il trait d’union della politica neo-liberista tra il Mali e le istituzioni finanziarie internazionali.
Allo stesso tempo, la svolta maliana è fumo negli occhi per gli ottuagenari presidenti che hanno incarnato la politica più filo-francese nei loro Paesi. Lì l’opposizione è stata rinvigorita dal successo del cambiamento di corso in Mali.
Qui, tra mille difficoltà, si sta scrivendo una nuova pagina dell’emancipazione per questo martoriato Paese – una delle culle del pan-africanismo – e il suo coraggioso popolo.