Gerardo Szalkowicz / “Cubadebate” – Giacomo Marchetti (Rete dei Comunisti)
In una recente intervista Mauro Casadio della Rete dei Comunisti afferma giustamente: “Lo smacco che Cuba e la Cina hanno dato all’occidente sulla vicenda del coronavirus è la materializzazione di un fantasma che le classi dirigenti ed i riformisti avrebbero preferito non vedere”.
A questa considerazione si può aggiungere: e che non vogliono far vedere alle classi subalterne.
In effetti anche le classi dominanti del nostro Paese hanno voluto ben presto rimuovere l’aiuto concreto che il personale medico cubano ha fornito all’Italia nella fase più critica della “prima ondata” della pandemia, ed il disinteressato sostegno che questo ha prestato a livello mondiale.
Insieme a questo si è cercato di fare ignorare all’opinione pubblica che tale pratica è frutto di un lungo percorso che ha coniugato a Cuba l’assistenza medica universale gratuita basata sulla prevenzione, l’investimento nella formazione del personale ed una ricerca all’avanguardia nel settore nonostante l’embargo.
Un risultato che non cade dal cielo ma è frutto della Rivoluzione e del suo sviluppo anche nei momenti più bui del “Periodo Especial” dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Cuba – insieme a Cina – Vietnam, Venezuela, oltre allo Stato indiano del Kerala – governato dai comunisti – sono stati i Paesi che hanno gestito al meglio a livello sanitario ed a livello sociale l’emergenza pandemica. La rivista “Tricontinental” in un ampio studio che abbiamo tradotto e pubblicato in 4 parti su “Contropiano” tratta questi casi https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/07/20/coronashock-e-socialismo-cuba-0130200.
Cina e Cuba si sono poi distinte anche questa volta per un “internazionalismo sanitario” che ha caratterizzato la loro storia, cosa ha impensierito non poco le élite occidentali che hanno visto questa pratica come un vettore del Soft Power della Repubblica Popolare e dell’isola caraibica, tacendo per lo più sulla mancata solidarietà messa in campo tra membri dello stesso edificio economico-politico come l’Unione Europea o la NATO.
I successi nella sperimentazione di un proprio vaccino a Cuba – iniziato il 24 agosto – sono stati sottaciuti allo stesso tempo dai media occidentali. https://contropiano.org/news/scienza-news/2020/08/20/cuba-sta-per-iniziare-i-test-clinici-del-suo-vaccino-covid-19-0130935
La corsa al vaccino è stata interpretata sin da subito in Occidente dalle classi dirigenti con una doppia valenza: da un lato la possibilità di lauti profitti da parte dell’industria farmaceutica, dall’altra come la possibilità di disporre, se scoperto e prodotto, una sorta di differenziale strategico nei confronti degli altri competitor, e non certo come la possibilità di salvare il più alto numero di vite umane.
Una concezione che sembra essere agli antipodi rispetto a quella cubana, così come a quella cinese come ha espresso il premier Xi durante l’ultima assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “Lo sviluppo e la distribuzione di vaccini COVID-19 in Cina, ove disponibili, saranno resi pubblici a livello mondiale. Questo sarà il contributo della Cina per garantire l’accessibilità dei vaccini nei paesi in via di sviluppo”. https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/05/19/combattere-il-covid-19-attraverso-solidarieta-e-cooperazione-xi-jinping-alloms-0128117
Abbiamo tradotto da “Cubadebate” quest’articolo sulla sperimentazione del vaccino che fa un quadro della realtà della medicina cubana. Facciamo nostre le considerazioni dell’autore nel finale secondo cui: “Non sembra una pazzia, quindi, la proposta che sta prendendo forza per dare all’ “esercito dei camici bianchi” – come l’ha definito Fidel Castro – il premio Nobel per la pace”
Buona Lettura
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Soberana 01: il vaccino più avanzato dell’America Latina. Made in Cuba.
di Gerardo Szalkowicz / Cubadebate
“Se i test daranno esiti positivi, Cuba avrà il vaccino a disposizione della popolazione nel primo trimestre del 2021”
Se non fosse per la premessa quasi scontata, ovvero che tutto ciò che di buono c’è a Cuba non viene raccontato dal giornalismo egemonico, sarebbe sorprendente che la notizia sia passata praticamente inosservata: in questi giorni, il vaccino “Saberana 01” ha iniziato le sperimentazioni cliniche sull’uomo ed è diventato il primo in America Latina – e di tutti i paesi del mal chiamato “mondo sottosviluppato” – a passare a quella seconda fase.
Finora ci sono 167 potenziali vaccini registrati contro il COVID-19. Il vaccino cubano si aggiunge ad altri 29 già approvati dall’OMS per studi clinici, sei dei quali sono in fase 3, test umani su larga scala. Un’altra dozzina di vaccini indigeni sono in sviluppo in America Latina ma, ad eccezione del vaccino cubano, sono tutti in fase pre clinica.
Il vaccino che l’isola produce sta camminando a passo costante. Da quando sono iniziate le sperimentazioni cliniche, il 24 agosto, “non si segnalano eventi avversi gravi dopo l’iniezione dei primi 20 volontari”, secondo il tweeting di Dagmar García Rivera, direttore della ricerca dell’Istituto Finlay, il centro scientifico statale cubano che gestisce il progetto. Il campione comprenderà 676 persone di età compresa tra i 19 e gli 80 anni e i risultati sono attesi per il 1° febbraio. Se i test daranno esiti positivi, Cuba avrà il vaccino a disposizione della popolazione nel primo trimestre del 2021.
Camminare con passo fermo e costante: “quello che normalmente si fa in anni è stato realizzato in poco meno di tre mesi”, dice Vicente Vérez Bencomo, direttore generale di Finlay. “Nella fase di sviluppo farmaceutico e di studi pre clinici sugli animali ha presentato bassi rischi, poche incertezze e risultati incoraggianti”. Sulla base di questi indicatori iniziali, il 28 luglio il vaccino è stato testato su tre dei suoi ricercatori, che hanno anche mostrato un’elevata risposta immunitaria.
Il fatto che Cuba sia di nuovo all’avanguardia nel campo scientifico-sanitario è il risultato di una lunga esperienza nella medicina preventiva, di una massiccia immunizzazione e dello sviluppo di un’industria biotecnologica di innegabile prestigio internazionale. Dal trionfo della Rivoluzione nel 1959, la formazione professionale è stata promossa dalle università ed è stato creato un Polo Scientifico con l’obiettivo di coniugare la ricerca con la produzione.
Lo sviluppo dei vaccini è uno dei risultati più significativi: Cuba produce direttamente otto degli undici vaccini del suo programma nazionale di immunizzazione, che ha una copertura di oltre il 98% ed è, ovviamente, gratuito e universale. Nel 1962 fu effettuata la prima campagna di vaccinazione, che la rese il primo Paese a debellare la poliomielite. Un’altra pietra miliare è stato il raggiungimento, nel 1990, del proprio vaccino contro l’epatite B, facendo praticamente scomparire la malattia. E un fatto degno di nota: la piattaforma di ricerca medica cubana, composta da 32 aziende statali con più di 10.000 lavoratori dedicati alla produzione di medicinali e vaccini, è composta per lo più da donne.
Sovranità, la parola chiave
Raggiungere un vaccino “al 100% nazionale” in un paese con forti vincoli economici – a causa del blocco degli Stati Uniti – è di vitale importanza. Il presidente Miguel Díaz-Canel ha sottolineato il concetto da cui deriva il nome “Soberana 01”, affermando che “il nome del vaccino riflette il sentimento di patriottismo e di impegno rivoluzionario e umanista con cui è stato lavorato. Gesta come queste riaffermano il nostro orgoglio di essere cubani”.
La politica di produzione e di applicazione dei vaccini è solo una parte di un sistema sanitario globale che è un esempio per il mondo. Nel 1959, Cuba contava appena 6.000 medici e oggi ne conta più di 100.000, il più alto numero pro capite dell’America Latina e uno dei più alti a livello mondiale. È anche l’unico paese della regione che ha eliminato la grave malnutrizione infantile: nessuno dei 146 milioni di bambini sottopeso che vivono oggi nel mondo è cubano.
L’enfasi sulla medicina preventiva è stata fondamentale anche per il controllo del coronavirus. Dopo quasi sei mesi di pandemia, Cuba ha registrato poco più di 4.000 infezioni e 100 morti; uno dei tassi di mortalità più bassi al mondo con 8 morti per milione di persone (il più alto è il Perù con 871).
L’educazione sanitaria dell’isola ha la sua roccaforte universale nella Scuola di medicina latinoamericana (ELAM), dove in 20 anni si sono laureati 7.248 medici provenienti da 45 paesi, di cui circa 200 dagli Stati Uniti.
Forse questa solidarietà internazionalista è la caratteristica principale del modello cubano. Le brigate mediche, dispiegate in tutto il mondo da sei decenni, hanno dato anima e corpo contro tutte le calamità naturali e le epidemie (dal terremoto del 1960 in Cile all’Ebola in Africa). Prima della pandemia, c’erano circa 30.000 operatori sanitari in servizio in 61 paesi, e 46 brigate sono partite quest’anno per aiutare a combattere il COVID-19. Non sembra una pazzia, quindi, la proposta che sta prendendo forza per dare all’ “esercito dei camici bianchi” – come l’ha definito Fidel Castro – il premio Nobel per la pace.
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(traduzione a cura di Lorenzo Trapani)